BMCR 2012.08.46

Le Présent dans le Passé: autour de quelques Périclès du XXe siècle et de la possibilité d’une vérité en Histoire. Institut des Sciences et Techniques de l’Antiquité

, Le Présent dans le Passé: autour de quelques Périclès du XXe siècle et de la possibilité d'une vérité en Histoire. Institut des Sciences et Techniques de l'Antiquité. Besançon: Presses universitaires de Franche-Comté, 2011. 219. ISBN 9782848673172. €21.00 (pb).

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In questo breve contributo Dabdab Trabulsi affronta un tema importante, anche se certo non nuovo, vale a dire il rapporto fra le grandi opere storiche sull’Antichità e la cultura in cui si sono generate, tra autori di eccellenti monografie e il loro tempo.1 Ma al di sotto (o a fianco, o al di sopra) di questo progetto è posta una domanda che accompagna le pagine del volume, dalla prima all’ultima: esaminando alcuni celebri studi su Pericle e l’età periclea scritti nel XX sec. a.C., quasi si trattasse di un nobile pretesto (p.14), l’Autore ambisce anche ad affrontare un quesito di maggiore rilievo, se mai sia possibile cioè – osservando la varietà e la difformità dei risultati raggiunti – che esista un “veritable Périclès” (p.14). In altre parole, Dabdab Trabulsi, sommerso dalle molte facce che si riflettono sullo specchio del passato, si interroga se possa stabilirsi almeno “qualche verità” in un disciplina che ha sempre promesso di potervi accedere.

Il libro è suddiviso in otto capitoli che si possono però raccogliere due a due, formando in questo modo quattro sezioni: Il primo e il secondo capitolo prendono in esame due studi eccellenti italiani su Pericle (quelli di De Sanctis,1944, e di Levi, 1975) (pp.21-58); il terzo e il quarto gli studi ‘francofoni’ di Homo e Delcourt (pp.61-109), il quinto e il sesto le monografie su Pericle di Kagan e Burn (pp.113-160), uno studioso americano e uno inglese. Come rileva Dabdab Trabulsi nella sua Introduzione (p.11) “manquent les Allemands”, soprattutto l’opera di Berve (forse anche il Perikles di Schachermeyr) fra i tanti possibili, e la ragione è semplice, per quanto un po’ disarmante: per l’Autore il tedesco è “inaccessibile” (ibid.). Gli ultimi due capitoli (il settimo e l’ottavo) sono presentati sotto forma di digressioni, ma credo almeno la prima ben inseribile nella linea principale della ricerca: si ricordano le riflessioni su Pericle e l’età periclea raccolte nel volume monografico del “Nouvel Observateur” del 2008 (pp.163-189) e, come appendice–approfondimento, una breve ricerca sul De Sanctis, cattolico e antifascista (pp.191-205), autore del libro già ricordato in precedenza.

La parte centrale del libro, cioè i primi sei capitoli, esaminano con attenzione e osservazioni talvolta originali, una materia che è nota agli studiosi di Antichità classica e, in particolare, a coloro che si occupano di Storia greca. I libri che presenta Dabdab Trabulsi fanno parte della biblioteca minima di chi intende studiare il V sec.a.C.: e non è nemmeno oscuro ai più – credo – quali siano le prospettive che spinsero Gaetano De Sanctis, cattolico e antifascista come si ricorda in ‘appendice’, ad ammirare il dirigismo politico pericleo e la sua politica di potenza. In parte sfugge all’Autore – o non intende mostrarlo – perché Mario Atilio Levi, qualche decennio dopo, riesamini le fonti dell’età periclea con un occhio maggiormente attento alla storiografia post-tucididea. A me pare che la caratteristica del libro di Levi non sia il “Pericle dittatore” che emergerebbe dal suo studio, ma il Pericle ‘plutarcheo’ (quindi anche di IV sec.a.C.) che ci dà un’immagine meno idealizzata dell’uomo di Stato. E’ per altro notevole che le due opere siano distanti nel tempo, pensate in contesti diversi. Questo sembra interessi a Dabdab Trabulsi, ma non sempre in modo coerente. Gli studi ‘francofoni’ dedicati al Pericle di Léon Homo o a quello di Marie Delcourt seguono la traccia che si è indicata in precedenza: L’idea che la democrazia greca si affermi con Pericle quale “démocratie dirigée” dipende ovviamente da un giudizio tucidideo che nella brevità della valutazione (II 65) tentava, tuttavia, di inserire l’esperienza politica ateniese in una continuità con l’età arcaica che i moderni non accolgono in pieno. Se una ‘critica’ poteva e può essere fatta a grandi libri come quello di Homo non riguarda il loro evidente e inevitabile ‘anacronismo’, ma una forma di idealizzazione della storia greca del V secolo a.C., osservata con gli occhi di un classicismo filologico e storico-artistico che finisce per affogare completamente l’identità del periodo studiato. Il V sec.a.C. non è affatto il ‘secolo di Pericle’ e tanto meno di Atene. Ciò che unisce gli studi francofoni a quelli di lingua italiana – scritti in un arco di tempo abbastanza omogeneo – è il tentativo di trasformare la complessità di vicende che si pongono su una pluralità di piani diversi2 in una sequenza idealizzata. Il ‘tempo ‘ pericleo non è oltre il 447- 6/430-29 a.C., non certo prima, ed è controverso.

Gli studi che Donald Kagan ha dedicato al periodo esaminato sono eccellenti e numerosi. L’Autore ovviamente ricorda, nel capitolo quinto, soprattutto la monografia del 1991 che in gran parte contiene o anticipa i risultati delle altre opere sulla guerra del Peloponneso e su Tucidide. Dabdab Trabulsi presenta in modo esauriente la ricostruzione del personaggio fatta dallo studioso americano, mancando tuttavia, a mio avviso, di segnalare la differenza fra l’impostazione di una monografia storica e un’opera con carattere biografico. Il Pericle di Kagan del 1991 è lo stesso personaggio che agisce nell’opera sulle “cause della guerra del Peloponneso”(1969), ma necessariamente posto su un piano di lettura comparativa, di lungo periodo, che non hanno spazio nell’opera ‘storica’. Io non so se Pericle possa paragonarsi in qualche modo a Churchill – ne dubita anche Dabdab Trabulsi (p.125) – ma è certo che il ‘genere biografico’ si presta a letture di lungo periodo, a comparazioni ed analogie, in modo assai diverso. Al Pericle di Kagan, uscito nel 1991, quindi pensato in un’epoca assai anteriore alla fine della democrazia popolare sovietica, non si poteva chiedere certo di utilizzare toni meno trionfalistici di quelli che pervadono il suo volume in cui campeggia un democratico moderato che cerca di governare in equilibrio l’immensa missione dell’Impero.

Riguardo alla seconda parte ‘anglofona’, relativa al libro di Burn, mi chiedo se davvero esista una Pericle ‘British’ (p.160), o peggio “una scrittura inglese della storia”, se si fa eccezione per l’uso di divulgazione monografica che ne contraddistingue talvolta l’editoria.

La parte più vivace del libro di Dabdab Trabulsi è a mio avviso e per la mia sensibilità il capitolo settimo, cioè il primo dei due presentati come digressioni. Qui l’Autore riferisce, come abbiamo accennato, ai risultati di un’inchiesta del “Nouvel Observateur” comparsi sul numero 69 del 2008. Pericle è al centro della discussione, e subito si osserva come fra la biografia di Kagan e il primo anno della ‘grande crisi’ economica dell’occidente non siano trascorsi venti, ma cinquanta, cento anni. Dabdab Trabulsi non ama il tono imborghesito della rivista francese, accusata larvatamente di una sorta di trasformismo moderato, quanto cinico, che la allontana dai toni battaglieri di un tempo ormai trascorso. Non frequento questa rivista con sufficiente continuità per rendermi conto di tali variazioni. Non faccio però alcuna fatica ad immaginarmi come il luminoso secolo di Pericle si spenga fra le mani dei nuovi ricercatori, che Dabdab Trabulsi osserva con distacco e sospetto. Il bersaglio preferito è Paul Veyne (p.168) e il suo mirabolante radicalismo, ma più sorprendenti – almeno per me – sono le riserve verso la demitizzazione dell’età periclea e la ricerca di una distanza critica (p.166 sul saggio di Sandrine Hubaut) che potrebbero essere davvero salutari per leggere quel tempo storico. Non dovrebbe sorprendere (come nel saggio di Brun) che il rapporto fra democrazia e imperialismo sia più complicato (p.171-172) di come lo osservasse Gaetano De Sanctis. Quando Pierre Brulé parla di “une idéalisation abusive” riguardo al V sec.a.C. greco sostiene un argomento serio (p.174) su cui non ironizzerei come mi sembra faccia Dabdab Trabulsi. La singolarità della democrazia ateniese, mai amata dagli antichi, è vista in modo critico nei suoi aspetti sociali: il criterio nuovo – per così dire – con cui si misura quella forma di governo è l’esclusione di schiavi, donne, stranieri dall’esperienza politica.

La lotta contro ogni forma di anacronismo (Claude Weill) che Dabdab Trabulsi giudica troppo invadente (p.165) sarebbe la migliore risposta possibile al quesito posto nell’Introduzione e poi disperso durante il libro. Il fatto che il “presente sia nel passato”, cioè che ogni riflessione storica porti sul proprio oggetto d’indagine la contemporaneità in cui si trova, è un dato banale, anche se per molto tempo si è finto di credere che quello sguardo potesse farsi puro, neutro, in nome di una ‘oggettività’ che le scienze da cui abbiamo sempre tratto ispirazione ora ritengono obsoleta. E certo non è inutile considerare le ‘grandi opere’ sul passato come ‘fonti’ – per dire così – del presente in cui sono state pensate e scritte. L’esperienza umana e politica di Gaetano De Sanctis, entro e oltre il suo ‘Pericle’, ci parla in modo molto interessante dell’Italia e dell’Europa fra XIX e XX secolo a.C. in un capitolo molto stimolante di sociologia della cultura. E soprattutto sul versante ‘italiano’ gli studi sono stati abbondanti e assai produttivi.3 Anche di questo il saggio di Dabdab Trabulsi rende conto, con un’utilità che non può essergli negata.

Il capitolo settimo (quello per intenderci sul Pericle del “Nouvel Observateur” ), oltre a essere stimolante poteva anche essere l’occasione, come abbiamo detto, per trovare un percorso in quella “faticosa ricerca della verità” – per dirla con Tucidide – cui, sconsolatamente Dabdab Trabulsi dice di non credere più già all’inizio del volume (“Je n’ai, moi- même, jamais beaucoup cru à la vérité en Histoire; je le crois de moins en moins” p.16), anche se nella citazione che precede l’Introduzione stessa di Jean d’Ormesson la linea da seguire è tracciata in modo molto chiaro: la storia, la ricerca storica per meglio dire, non si occupa di stabilire “le véritable Périclés”, ma non può fare a meno di fare i conti, in nessuna epoca con quella esperienza politica, culturale, umana, di rileggerla per il proprio tempo, di tenerla a distanza per vederla oltre ogni deformazione, insegnando a guardare e ricostruire l’altro da sé come parte di sé nella differenza.

Il percorso che libro di Dabdab Trabulsi indica potrebbe condurre a questo, anche se l’autore non sembra rendersene del tutto conto e non pare gradire un esito così radicale. Il compito dei filologi, comunque, è il tentativo si sottrarre le parole dalla mitologia in cui la politica, il potere, la retorica, tendono a confinarle.

La storia, fra le altre discipline, si occupa di mantenere le distanze. In fondo è più interessante per uno storico antico capire fino in fondo la legge sulla cittadinanza di età periclea che di giudicare in seno ‘positivo’ o ‘negativo’ l’imperialismo ateniese. Interessa di più la ‘sostanza’ della eccezionale democrazia ateniese che il grande lascito morale e umano di cui si sarebbe fatta carico. Se mai vi fu.

Notes

1. L’autore si è occupato con profitto di argomenti simili a questo. Vd. BMCR 2010.06.14.

2. Una lettura non classicistica del V sec.a.C. greco credo sia ancora da scrivere, come è evidente dal Companions curati da Kinzl e Samons II. Un’impostazione nuova è indicata in S.Hornblower, The Greek World 479-323 BC, New York 2011, 4th Edition.

3. I saggi di Canfora (1976, 1976b, 1981), di Bandelli 1980, di Cagnetta (1993, 1994), indicati nell’ampia bibliografia di Dabdab Trabulsi (pp. 207-216), potevano essere considerati con maggiore profitto.