BMCR 2024.02.19

Prima di Erodoto: aspetti della memoria delle Guerre persiane

, Prima di Erodoto: aspetti della memoria delle Guerre persiane. Hermes, 120. Stuttgart: Franz Steiner Verlag, 2021. Pp. xvii, 546. ISBN 9783515128872.

La pubblicazione di questo volume di Giorgia Proietti suggella l’intensa attività scientifica che negli anni l’autrice ha saputo condurre sui temi della memoria collettiva nel mondo greco. È intuitivo che le guerre persiane, legate come sono alle Storie erodotee, a varie forme di espressione poetica della riflessione storica dei Greci, a erga sacrali e celebrativi – dediche santuariali e monumenti, in cui il ricordo si concretizza e da cui è a sua volta sollecitato – costituiscono il fulcro ideale per una ricerca sui modi e i processi di formazione della memoria; è altresì vero che la scrittura storiografica ai suoi albori (penso alle Genealogie ecataiche) appare in quel medesimo contesto storico, che ha su diversi piani una funzione e un valore di soglia. Memoria collettiva, storia e storiografia sono concetti che a proposito di un tema come i Persika entrano automaticamente in relazione, e talvolta in urto, l’uno con l’altro. In un libro come Prima di Erodoto (già il titolo lo suggerisce) l’accento batte soprattutto sul primo elemento di questa triade concettuale: è la memoria delle poleis al centro della riflessione; è il modo in cui le città greche plasmano, ‘a caldo’ o in progresso di tempo, una certa visione degli avvenimenti, offrendo una rappresentazione del proprio ruolo storico che tende a integrarsi in un contesto policentrico. Erodoto, sempre presente nella tessitura argomentativa, emerge in particolare nell’ultimo centinaio di pagine.

Atene e in generale l’Attica, com’è prevedibile e in fondo inevitabile, hanno una parte prevalente nel volume. Dopo una corposa introduzione dedicata a “Memoria e storia”, in cui ha pieno sviluppo quella solida e ben informata impostazione teorica che è particolarmente nelle corde dell’autrice, il primo capitolo (“Atene dopo il 490: Maratona come vittoria dell’esercito cittadino”) ricostruisce quello che potremmo chiamare lo strato mnestico di fondazione: nel periodo subito successivo all’evento, Maratona rappresenta la vittoria con la quale la polis ateniese, più che affermare la superiorità greca sul barbaro, ha difeso sé stessa e il proprio territorio dall’asservimento al nemico. Questa prima immagine della battaglia del 490 emerge da una paziente analisi che dal sito stesso di Maratona (con il tumulo dei caduti, le casualty lists, il rinnovamento degli Herakleia, il culto degli eroi locali Marathon ed Echetlos) trascorre ad Atene (il culto di Pan, il memoriale del polemarco Callimaco) e raggiunge Delfi (il Tesoro degli Ateniesi, con le delicate questioni di cronologia, poste in particolare dal fregio, di cui si dà debitamente conto).

Il secondo capitolo (“Dopo la guerra contro Serse: una prospettiva ‘poli-ellenica’”) concerne la seconda fase dello scontro con i Persiani e allarga la prospettiva da Atene ad altre poleis (Sparta, Corinto, Tegea, Egina, Megara, Opunte, Tespie, Tebe), non trascurando le forme di commemorazione ‘polifonica’ a Platea (l’altare di Zeus Eleutherios, le sepolture sul campo di battaglia) e nel santuario di Delfi (con la celebre iscrizione della colonna serpentina, M.-L.2 27, utilmente confrontata con la lista di Olimpia riportata da Pausania in 5.23). Il terzo capitolo (“Il lungo dopoguerra: fare i conti con il trauma”) si riavvicina ad Atene per affrontare “l’altra faccia della vittoria”, e cioè l’impatto della distruzione della città sui suoi abitanti. L’indagine tocca tutti i piani testimoniali, tra letteratura, archeologia e topografia, ricostruendo diversi momenti di un grande processo di elaborazione sociale del lutto: la monumentalizzazione delle rovine dei templi acropolici, la rappresentazione dei Persiani di Eschilo interpretata come catarsi del trauma bellico, e l’uso del cimitero del Ceramico – il dēmosion sēma, anche se Proietti non approva la denominazione invalsa – con le connesse ritualità di sepoltura e di parola, scritta e orale. Il quarto capitolo (“La memoria di Maratona e l’egemonia ateniese”) ritorna sulla battaglia del 490 per descrivere la riconfigurazione che avrebbe subìto alla luce dei fatti del 480-79, rispetto ai quali si poneva come un “primo atto” con caratteristiche distintive: aveva preservato Atene dalla distruzione, aveva iniziato una serie di grandi vittorie greche, ed era stata merito precipuo di Atene. Lo sviluppo di quest’immagine viene seguito, o meglio finemente costruito, attraverso una serie di analisi dedicate ai Persiani, a un epigramma (IG I3 503/4) del monumento ateniese delle guerre persiane (ancora noto, di solito, come “cenotafio dei Maratonomachi”, ma naturalmente il nome prescelto è già di per sé un’interpretazione), alla stele dei caduti della tribù Eretteide, rinvenuta nella villa di Erode Attico a Loukou (SEG LVI 430, già ben studiata dall’autrice)[1], al trofeo monumentale della piana di Maratona. La riconcettualizzazione della battaglia viene ben collegata alla edificazione dell’impero ateniese e della memoria mitistorica della sua città egemone: entrano nell’argomentazione significativi e pertinenti esempi quali la Stoa poikilē e, a Delfi, la Stoa degli Ateniesi e la Leschē degli Cnidi; in questa fase, Maratona diviene simbolo e garanzia del primato ateniese.

La Conclusione offre una ricognizione delle forme non storiografiche di memoria delle guerre persiane e sintetizza utilmente in uno schema gli strati di memoria considerati nel volume, relativi a Maratona, alla spedizione di Serse e al sacco persiano di Atene (p. 445); per ciascuno strato definisce il probabile contesto di formazione; traccia infine una connessione con Erodoto, mostrando come una parte degli strati individuati trovi corrispondenza nelle Storie, laddove altri sembrano assenti: da qui derivano un potenziale apporto alla questione delle fasi compositive dell’impresa erodotea (p. 448) e una serie di riflessioni sulle sue fonti. Viene messa in rilievo la funzione della polis, in particolare ateniese, come “comunità memoriale”; talune parti del racconto erodoteo (la distruzione di Atene o la vittoria di Salamina) sono ricondotte a un sostrato di intentionale Geschichte collettiva (p. 443), non riducibile dunque ad ambienti specifici o a titolarità individuali di informazione e sapienza storica (che pure, così interpreto il pensiero dell’autrice, potrebbero aver avuto una funzione di veicolo).

Veniamo in tal modo a toccare una delle questioni metodologiche di maggior interesse del libro. L’impostazione della ricerca è innovativa, per la verità, sotto vari aspetti: la nozione di propaganda politica e ogni modello di comunicazione top-down tra élite e masse sono accantonati in favore di una visione comunitaria della memoria, in cui si esprimono le istanze del corpo civico; la memoria panellenica che si sarebbe sviluppata dopo le grandi vittorie greche del 480-79 viene riarticolata e ridefinita, con lucidità penetrante, come “poli-ellenica”. Inoltre, le concrezioni della memoria ­– in iscrizioni e monumenti – sono considerate non in una immobile ‘puntualità’ cronologica, ma nella loro diacronia, attraverso le alterazioni e gli apporti nuovi che un oggetto può ricevere nel corso del tempo; e gli studiosi hanno in parte già discusso e viepiù discuteranno le analisi dedicate da Giorgia Proietti alla stele di Loukou, agli epigrammi del Ceramico, alla Stoa poikilē, al portico ateniese a Delfi. Tutto questo sarebbe sufficiente ad attestare l’importanza del libro; ma vorrei aggiungere un elemento per me non secondario, e cioè la capacità del testo di sollevare questioni e sollecitare chiarimenti: alludo soprattutto alla natura della memoria poleica e al suo rapporto con il racconto di tipo storico. La memoria prestoriografica, di cui Proietti mette in luce le radici collettive, si concentra sui grandi avvenimenti e sui caratteri funzionali che questi possiedono in re, e che a livello di rappresentazione possono essere attivati in tempi diversi (ad esempio, per Maratona, la funzione di difesa della città dalla schiavitù; poi quella di protezione di Atene dalla distruzione). Questo genere di memoria è una sorta di cellula o di struttura di appoggio del racconto, ma non è ancora racconto storico: è piuttosto una messa a fuoco di alcuni grandi eventi e delle loro conseguenze sui destini della comunità. Permane un salto tra questo tipo di ricordo, che ha una dimensione in fondo ristretta e puntuale, e la narrazione propriamente storica, del tipo che vediamo realizzato nelle Storie erodotee, ma che, nella selva anonima della comunicazione orale del V secolo, aveva probabilmente più di un parallelo. Il racconto storico, che mette ordine in una lunga sequenza di eventi, ne cerca le cause prime, raccoglie anche particolari minuti dei fatti e dà conto del contributo di masse e individui, è in fondo altra cosa dal ricordo collettivo di un evento fondante e identitario. Una narrativa di quel genere si colloca al di fuori delle capacità e degli interessi di una collettività nel suo insieme e ha per forza di cose la sua incubazione in un’attività memoriale di singoli o di gruppi ristretti. Del resto, già Maurice Halbwachs sapeva bene – e ciò è stato di recente messo in evidenza – che la memoria come fatto sociale non esclude affatto l’attività individuale, che si dà anzi come articolazione della dimensione collettiva[2]. Occorre solo evitare il rischio di spingere oltre un certo limite la visione omologante, non estranea a Halbwachs fin dai Cadres sociaux, per la quale “la società tende a scartare dalla sua memoria tutto ciò che potrebbe separare gli individui”[3]. Nella concezione di Halbwachs pare di scorgere un remoto antecedente della “comunità memoriale” di Giorgia Proietti: una formula che coglie senza dubbio un elemento di rilievo, connesso alla struttura della polis come organismo a partecipazione integrale, senza che ciò esaurisca tutti i processi di formazione della memoria storica anteriori alla storiografia.

È difficile concludere, perché le riflessioni stimolate dalla lettura di Prima di Erodoto sono molteplici. Ma occorre almeno dire[4] che la grande ampiezza prospettica dell’indagine, l’accuratezza e la versatilità documentaria delle analisi, e la capacità di tracciare una storia della memoria storica, in modo metodologicamente incisivo, fanno di Prima di Erodoto uno dei risultati più importanti che la ricerca sul V secolo a.C. abbia prodotto nell’ultimo decennio.

 

References

Giangiulio, Maurizio. 2019. “Do Societies Remember? The Notion of ‘Collective Memory’: Paradigms and Problems (from Maurice Halbwachs On)”. In Maurizio Giangiulio, Elena Franchi, Giorgia Proietti (eds), Commemorating War and War Dead: Ancient and Modern. Stuttgart: Steiner, pp. 17-33.

Halbwachs, Maurice. 1925. Les cadres sociaux de la mémoire. Paris: Alcan (rist. Paris: Albin Michel, 1994; tr. it. I quadri sociali della memoria. Napoli: Ipermedium, 1997).

Meyer, Elizabeth A. 2016. “Posts, Kurbeis, Metopes: The Origins of the Athenian ‘Documentary’ Stele”. Hesperia, 85, pp. 323-83.

Petrovic, Andrej. 2013. “The Battle of Marathon in pre-Herodotean Sources: On Marathon Verse-Inscriptions (IG I3 5013/504; SEG LVI 430)”. In Christopher Carey, Michael Edwards (eds), Marathon – 2,500 Years. Proceedings of the Marathon Conference 2010 (ICS Suppl. 124). London: Institute of Classical Studies, pp. 45-61.

Tentori Montalto, Marco. 2017. Essere primi per il valore. Gli epigrammi funerari greci su pietra per i caduti in guerra (VII-V sec. a.C.) (Quaderni RCCM 16). Pisa-Roma: Serra.

 

Notes

[1] A p. 65 nota 30 viene chiarito il problema cronologico, anche in reazione agli interventi di Petrovic 2013, 61; Meyer 2016, 369 nota 171; Tentori Montalto 2017, 96 e nota 9.

[2] Giangiulio 2019, p. 21.

[3] Halbwachs 1925, tr. it., p. 234: «alla necessità per cui gli uomini si rinchiudono in un gruppo limitato, in una famiglia, in un gruppo religioso, o in una classe sociale (per limitarci solo a questi), si accompagna un bisogno sociale di unità e di continuità. È questo il motivo per cui la società tende a scartare dalla sua memoria tutto ciò che potrebbe separare gli individui, o allontanare i gruppi gli uni dagli altri, ed è per questo stesso motivo che in ogni epoca essa rimaneggia i suoi ricordi in modo tale da metterli in accordo con le condizioni variabili del suo equilibrio».

[4] Riservo a una nota poche osservazioni critiche, in gran parte minime. Le sviste e i refusi sono molto rari: p. 139, in Simon., XXIV FGE, r. 2, va eliminato lo spazio tra tōi e integrando di conseguenza la traduzione (“su questo mare”: un deittico non irrilevante); a p. 162 aexei è reso come se fosse un futuro; in Plu., De Herod. mal. 872e, non vedo il riferimento a una historiē di Simonide di cui si parla a p. 164 nota 129, perché in quel passo historēken significa semplicemente “ha narrato”; a p. 187, r. 7 va letto “Platea” al posto di “Sparta”. Nell’epigramma della stele di Loukou, al primo verso, si legge probabilmente hesschata e non t’ esschata (messo a testo a p. 66), anche se la forma con het non ha altre attestazioni (Tentori Montalto 2017, p. 97). Lievi le incoerenze, se si considera la mole dell’opera: a p. 149 si potrebbe già offrire, con opportuno rimando, la traduzione di aichmen stesam che viene proposta e argomentata alle pp. 290-91, “attaccarono battaglia”; a p. 203 e altrove eviterei l’uso di “nazionale”, senza virgolette, in riferimento all’insieme dei Greci; a p. 290 nota 35 si potrebbe precisare che in Hdt. VII 152, 3 hē aichmē hestēkee ha un senso molto diverso rispetto all’espressione, apparentemente analoga, di IG I3 503/4, A II. Non sono sicuro che attualmente “i più” (p. 192) respingano l’idea del medismo delfico; non credo, infine, che il Tesoro degli Ateniesi, il cui fregio comprendeva almeno una Amazzonomachia (sul lato orientale), se non due, e i cui acroteri erano figure di Amazzoni, possa essere incluso entro un orizzonte identitario arcaico di tipo aggregativo e non oppositivo (pp. 114-22).