BMCR 2023.10.33

Wolves of Rome: the Lupercalia from Roman and comparative perspectives

, Wolves of Rome: the Lupercalia from Roman and comparative perspectives. Transregional practices of power, 2. Berlin; Boston: De Gruyter, 2022. Pp. xvi, 320. ISBN 9783110689341.

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Il 15 febbraio i Luperci, dopo aver compiuto bizzarri riti in una grotta situata ai piedi del Cermalo, corrono nudi, unti ed ebbri attorno al Palatino, e con i brandelli della pelle di un capro appena sacrificato colpiscono i passanti, soprattutto le donne, stimolandone la fertilità. È sufficiente questa impressionistica descrizione per comprendere i motivi per cui nessuna festività della religione romana abbia destato più curiosità e attenzione. Dopo innumerevoli articoli (ma tre soli libri), a un secolo esatto dalla monografia di Franklin, è stata data alle stampe una nuova opera dedicata ai Lupercalia, rielaborazione di una tesi dottorale difesa a Oxford nel 2015.

Con il libro, coerente, di spessore e di gradevole lettura, K. Vuković, come annuncia nella prefazione, intende analizzare i Lupercalia, spazio religioso dell’abbraccio fusionale tra “human and non-human animals”, attraverso la comparazione, costruendo un ponte (eretto su somiglianze e differenze) con l’India Vedica, perché “the story of the Lupercalia would be incomplete without recourse to Vedic religion” (p. VII).

Nel libro, composto di otto capitoli, si adotta una prospettiva tematica e non cronologica, solida impostazione che consente, per quanto a detrimento di una rigorosa analisi diacronica, una serrata comparazione tra fatti interni ed esterni a Roma: con equilibrio, e senza mai rischiare di cadere nel pericoloso tranello di creare dei “proto Lupercalia romano-vedici”, l’autore ha il merito di collocare evidenze disparate (lontane nello spazio-tempo) in un articolato sistema religioso strutturato su un pensiero analogico che affonda le radici nella preistoria indoeuropea.

Insistendo, da un lato, sulla specularità tra i noti tabù che accomunano flamen Dialis e brahmani, e, dall’altro, sul contrasto (palesato da una serie di opposizioni complementari) tra questi, i Luperci e le attività guerriere, l’autore propone di rintracciare l’origine dei Luperci nelle Jungmannschaften: i Luperci, comparabili con i Vrātyas (e i Maruts), sono i membri di una “Youthband” (termine preferito ai tedeschi Männerbund e Jungmannschaft), gruppo di “young men of a similar age that may or may not be engaged in small-scale conflicts, such as hunting, cattle rustling, and skirmishes” (p. 126).

Ribadendo la connessione etimologica tra Lupercalia e lupus, l’autore propone che i Luperci imitassero i lupi attraverso una forma di simbolica assimilazione. Uno dei tratti caratteristici delle Jungmannschaften e delle Warbands è proprio l’identificazione con animali predatori, e in particolare con il lupo (celebre è il caso degli Úlfhéðnar), un’associazione assai risalente (p. 147: “goes back to Proto-Indo-European prehistory”) che non implica un culto totemico, bensì una forma di interdipendenza con un animale, da “emulare”, dal quale si “assorbono” determinate qualità (velocità, abilità marziali, ecc.).

Richiamando la pratica rituale del ver sacrum, l’autore suggerisce che questi gruppi di giovani guerrieri abbiano rivestito un ruolo chiave nelle migrazioni indoeuropee, quando “humans followed in the footsteps of animals” (p. 28).

Se i Luperci rappresentano il ricordo (attualizzato e un po’sbiadito dal passo del tempo) delle Youthbands indoeuropee, nei Lupercalia Vuković riconosce un “male initiation ritual” (p. 165). Cifra dei Lupercalia è la liminarità temporale e spaziale: la cerimonia è celebrata nella dimensione del “fuori” (all’esterno dell’oppidum palatino), e nel “non tempo” che separa la fine (dicembre) e il principio (marzo) dell’anno romuleo di 10 mesi, nella finestra, iscritta nel novendiale dedicato al culto dei morti (Parentalia), in cui le ordinarie attività religiose sono sospese. I Lupercalia d’età storica, così contestualizzati, si palesano come una cerimonia “wild, liminal, and carnivalesque” (p. 91), e si definiscono come “a rite of passage reserved only for a select number of elite young men, not a coming-of-age ritual for Roman boys generally” (p. 74).

Coerentemente con l’interpretazione proposta, l’autore spiega in chiave iniziatica anche il singolare rito tramandato esclusivamente da Plutarco (Plut. Rom. 21.6). Il rito, dall’autore definito “bloodrite”, precede la fase dinamica della cerimonia (la corsa sfrenata dei Luperci), e prevede, dopo il sacrificio di cani e capri/e, una serie di gesti rituali di cui sono protagonisti due giovani, dapprima segnati sulla fronte con il coltello sacrificale ancora insanguinato, poi puliti con lana imbevuta di latte, infine obbligati a ridere: nonostante una fitta selva di ipotesi, il rito, la cui simbologia di morte-rinascita è palese, sancisce indiscutibilmente l’ammissione nella sodalitas di due nuovi membri.

Uno degli aspetti più dibattuti della cerimonia concerne la partecipazione del flamen Dialis. La religione di Giove, come ha ineccepibilmente mostrato l’autore, è opposta a quella dei Luperci, ma un discusso e problematico verso di Ovidio (Fast. 2.282: flamen ad haec prisco more Dialis erat) sembra attestare la presenza ai Lupercalia del flamen Dialis, statua vivente di Giove (riesumata da Augusto dopo quasi un secolo di vacanza) a cui è proibito toccare e addirittura nominare capre e cani: l’autore ribadisce l’attendibilità della notizia e, sulla scia di Frazer e Brelich, interpreta la partecipazione del flamen come una delle manifestazioni di quel temporaneo e controllato disordine che connota la natura liminare della festa, “a rite of reversal” (p. 124). Plutarco, tuttavia, oltre a non menzionare il flamen nell’accurata descrizione della cerimonia in Rom. 21, nel trattare dell’incompatibilità tra cani e flamen Dialis in Quaest. Rom. 111, ricorda che i Romani, durante i Lupercalia, κύνα θύουσιν: la logica del testo, pur senza esplicitarlo, lascia supporre la non presenza del flamen Dialis. L’assenza del flamen è anche in sintonia con l’immagine, espressa nei versi immediatamente successivi dei Fasti (2.289-291), di una fase arcadica della storia, alla quale i Lupercalia sono ascritti, che precede quell’ordine di cui Giove e il suo flamen sono i massimi rappresentanti: ante Iovem genitum terras habuisse feruntur / Arcades, et luna gens prior illa fuit. / Vita feris similis, nullos agitata per usus. Una buona soluzione all’annoso problema del verso di Ovidio è già stata offerta, anni or sono, da Danielle Porte[1]: Flamen ab hoc prisco more Dialis eat.

Un’altra vexata quaestio riguarda la divinità dei Lupercalia: le fonti attribuiscono ai Luperci un “esercito” divino, composto da Faunus, Pan, Luperca, Lupercus, Inuus, Februus, Februarius, Iuno (come Februata e come Lucina), e anche, seppur indirettamente, Mars (in Verg. Aen. 8.632, il Lupercal è presentato come Mavortis antrum). Di certo, il dio più accreditato, tra antichi e moderni, a ricevere il sacrificio è Fauno: per Ovidio i Lupercalia sono espressamente dei Fauni sacra. Anche Vuković rivendica il ruolo tutelare di Fauno, definito “the god of the Lupercal” (p. 173): Fauno, che l’autore identifica con Silvano, è un dio ambiguo e teriomorfo, selvaggio e benigno (il nome deriva da favēre), mediatore tra la natura e la cultura. L’autore, per il quale Silvanus e Faunus erano epiteti di un’unica divinità “that later developed a separate existence of their own” (p. 184), identifica l’omologo vedico di Faunus/Silvanus in Rudra, dio della natura selvaggia, violento, bellicoso e al tempo stesso collegato alla fertilità (anch’egli invocato con un epiteto, Śiva, che ne propizia il carattere favorevole). Il sistema comparativo, strutturato su una serie di consonanze mitico-rituali, interessa direttamente i Luperci: i Maruts, figli di Rudra, sono, come i Luperci, “a vigorous group of youthful warriors” (p. 199).

Il modello interpretativo, nel confrontare Faunus/Silvanus a Rudra e i Luperci ai Maruts, si rivela coerente ed estremamente seducente. Tuttavia, l’ipotesi che Fauno sia e, soprattutto, sia sempre stato  il dio del Lupercal ha incontrato in dottrina un paio di ostacoli: oltre alla poco ordinaria molteplicità di divinità assegnate ai Lupercalia, chiaro sintomo della mancanza di un unico (e certo) referente divino, la dedicatio del tempio di Fauno (in insula Tiberina) il 13 febbraio, due giorni prima dello svolgimento dei Lupercalia, sembrerebbe indicare “that Faunus was thought of as closely associated with the Lupercalia cult, but not himself the recipient of it”[2]. L’autore, in modo convincente, afferma che “the Lupercalia was a festival complex that involved more than a single divinity” (p. 78), e che il culto reso a Fauno il 13 febbraio denota semplicemente che “Faunus is publicly worshipped on two days, 13th and 15th of February” (p. 183).

Lo svolgimento dei Lupercalia all’interno del novendiale dedicato alla morte e il caso dei più vicini (nello spazio-tempo) hirpi Sorani, lupi “umani” definiti, con le parole di Serv. ad Aen. 11.785, quasi lupi Ditis patris, inducono a pensare che i Luperci fossero strettamente associati a divinità infernali. In aggiunta a Fauno, che presenta un’indubbia componente infera (Serv. ad Aen. 7.91: Faunus infernus dicitur deus), tra i candidati a patrocinare il dies februatus, dicitura ufficiale dei Lupercalia (Varro, Ling. 6.34; Paul. Fest. p. 75 L.; Plut. Rom. 21.3), spicca –così ci pare– una divinità storicamente minore, Februus (Serv. ad G. 1.43; Macrob. Sat. 1.13.3: Isid. Etym. 5.33.4; Lydus, Mens. 4.25; Varro, Ling. 6.34). Considerato dall’autore “an aspect of Faunus” (p. 78 n. 100), Februus, ben lungi dall’essere (come sovente affermato) una tarda invenzione letteraria, è registrato nei Libri pontificales, è esplicitamente accostato ai Lupercalia, è assimilato a Dis Pater, è considerato il dio eponimo del mese di febbraio, ed è il dio che sovrintende alla februatio.

Un ulteriore aspetto merita di essere preso in considerazione: il rapporto tra i Luperci e i capri. Com’è noto, non pochi studiosi negano una relazione con i lupi, e piuttosto privilegiano, non senza motivazioni, un vincolo con i capri: i Luperci sono anche detti, come i capri, creppi (Paul. Fest. p. 42.7, 49.18 L.); sacrificano capri e/o capre; onorano un dio dalle fattezze caprine; indossano pelle caprina; colpiscono i passanti con l’amiculum, fatto di pelle caprina. Nell’eziologia ovidiana della cerimonia (Ov. Fast. 2. 441-448) i colpi inferti dai Luperci alle donne sono addirittura equiparati alla penetrazione del sacer hircus. La “materialità” dei Luperci indirizza, indiscutibilmente, verso i capri, ma il nome della sodalitas riconduce, altrettanto indiscutibilmente, ai lupi. Sebbene l’autore identifichi i Luperci con i lupi, tuttavia, nell’analizzare il rito iniziatico dei due giovani, afferma che il contatto con il sangue sacrificale del capro “transmits a portion of animal vitality onto humans” (p. 204). Probabilmente, infondeva anche altro: da parte nostra crediamo, abbandonando un approccio logico-matematico e seguendo quel pensiero mitico-religioso ed analogico che ispira le pagine di questo libro, che i Luperci, almeno durante i Lupercalia, fossero sia lupi che capri[3]. Plutarco, per definire i due giovani, adotta il pregnante termine μειράκιον, che designa adolescenti con un’età compresa tra i 14 e i 21 anni. Malgrado i molti cambi che la confraternita e la cerimonia conobbero (Augusto, in Suet. Aug. 31.5, Lupercalibus vetuit currere inberbes, termine nella sostanza equivalente a μειράκιον), e sebbene dalla documentazione disponibile sia impossibile ricondurre i Luperci a una determinata classe di età, è comunque ragionevole riconoscere negli originari Luperci (usiamo il termine in senso alquanto lato) adolescenti che hanno abbandonato la pueritia, sono entrati nella pubertà, ma non appartengono ancora alla categoria degli uomini adulti: in tal senso, nella liminarità adolescenziale, i Luperci sarebbero biologicamente capri e socialmente lupi, futuri uomini che si preparano, come membri di una Youthband, ai due doveri che riserva loro la vita adulta, il matrimonio (la libido del capro è propedeutica alla riproduzione)[4] e la guerra (il furor del lupus introduce all’attività bellica del miles).

Secondo Vuković, “human animals can obtain power from their non-human companions” (p. 225): i Luperci ottenevano potere, per diventare uomini, sia dai lupi che dai capri.

Il libro, ben scritto e solido nelle argomentazioni, non solo è uno dei migliori lavori che siano mai stati dedicati ai Luperci e ai Lupercalia, ma si rivela, districandosi tra riti e miti, un piacevole viaggio nel tempo e nello spazio, un cammino, in compagnia di “human and non-human animals”, che dalla Roma imperiale risale al terzo millennio, e giunge, attraversando l’Europa e l’India, in quella fertile culla indoeuropea oggi coincidente con l’Ucraina e la Russia meridionale.

 

Notes

[1] D. Porte, Trois vers problématiques dans les Fastes d’Ovide, Latomus 35, 1976, pp. 834-850.

[2] T. P. Wiseman, The God of the Lupercal, JRS 85, 1995, pp. 1-22: 2.

[3] A. Quaglia, Fera sodalitas. Los Lupercalia, de Evandro a Augusto, PhD dissertation. Universidad Complutense de Madrid, 2019.

[4] Paul. Fest. p. 90 L.: hirquitalli pueri primum ad virilitatem accedentes, a libidine scilicet hircorum dicti.