BMCR 2022.11.23

L’invention du protomartyr Étienne

, L'invention du protomartyr Étienne. Sainteté, pouvoir et controverse dans l'Antiquité (Ier-VIe s.). Judaïsme ancien et origines du christianisme (JAOC), 21. Turnhout: Brepols, 2021. Pp. 638. ISBN 9782503590127. €105,00.

Il presente libro, una versione rimaneggiata della tesi di dottorato dell’Autore, intende analizzare il dossier di S. Stefano trasmessoci in numerose lingue antiche (latino, greco, georgiano, siriaco, arabo, copto, armeno, ge’ez, slavo, medio-irlandese e antico inglese). Un tale lavoro filologico, reso possibile dalle notevoli competenze linguistiche dell’Autore, è corredato da un’utile appendice che include la traduzione originale di alcuni testi antichi su S. Stefano e un inventario dell’insieme delle testimonianze sul culto di questo personaggio. Il testo si suddivide in tre parti, ripartite a loro volta in nove capitoli. Nell’introduzione, l’Autore rende conto delle proprie scelte cronologiche e metodologiche: il limite del VI secolo riflette la cristallizzazione del culto di S. Stefano a quest’epoca, un culto che è ivi analizzato come un “fatto sociale totale”[1], secondo i dettami dell’antropologia storica. Il saggio continua precisando il carattere del dossier in merito alla definizione di “testo agiografico” o “testo apocrifo”. In questa sede, l’Autore propone un’interpretazione personale di quest’ultimo termine, ovvero “un écrit circulant hors du canon des Écritures, mais dont l’auctoritas, à savoir la qualité d’auteur, est attribuée par le rédacteur du texte à un personnage ou un auteur du Nouveau Testament” (p. 22). Di conseguenza, i testi che compongono questo dossier non possono essere considerati apocrifi.

La prima parte del libro si concentra sulla genesi della rappresentazione di Stefano come martire nel periodo dal 37 al 415, data del ritrovamento delle sue reliquie nel villaggio palestinese di Kefar Gamala. Il primo capitolo si focalizza sulla narrazione della morte di Stefano contenuta negli Atti degli apostoli, ove il personaggio si inserisce nella tradizione giudaica del martirio (referenze ai Maccabei). Il secondo capitolo si concentra sulla ricezione letteraria di questo personaggio nella letteratura cristiana tra primo e quinto secolo. L’Autore analizza dunque tale produzione da una perspettiva diatopica e diacronica e il risultato della sua analisi è chiaro: i Padri della Chiesa dei primi secoli conoscono la figura di Stefano solo attraverso il racconto degli Atti, la circolazione di altri testi apocrifi che menzionano il santo non è dimostrabile per questo periodo. Inoltre, la figura di Stefano come proto o primo martire emerge soprattutto a partire dal IV secolo: gli scritti precedenti (ad esempio quelli di Tertulliano e Origene) insistono piuttosto sul suo carattere di profeta ispirato.

La seconda parte tratta della scoperta delle reliquie di S. Stefano nel 415 e il processo agiografico di appropriazione di questa figura sviluppatosi in ambiente gerosolomitano tra il 415 e il 460. Il capitolo tre si concentra dunque su alcuni testi chiave del dossier, in particolar modo la Rivelazione di Stefano, un testo contemporaneo ai fatti che narra della scoperta delle reliquie di Stefano nel villaggio palestinese di Kefar Gamala nel dicembre 415 ad opera di un prete di nome Luciano a seguito di una visione notturna di Gamaliele, il maestro di Paolo. Nonostante l’alto numero di recensioni (in svariate lingue), l’Autore ritiene opportuno dare un posto d’onore alla Latina A. Tuttavia, questa parte non è soltanto filologica, ma mostra anche una fine analisi storica del contesto. In effetti, l’Autore ricostruisce con dovizia di particolari gli avvenimenti legati al concilio di Diospoli del dicembre 415, facendo anche un riassunto efficace dell’influenza dell’origenismo e del pelagianesimo sui conventi di Palestina. La sua analisi riprende degli elementi di geo-ecclesiologia, citando spesso gli studi di Ph. Blaudeau[2]. Secondo l’Autore, il ritrovamento delle reliquie di Stefano e la conseguente ricostruzione letteraria sarebbero il frutto della politica religiosa del vescovo Giovanni II di Gerusalemme, desideroso di legittimare la propria posizione e quella del suo seggio nel contesto di conflitti dottrinali del periodo. Un uso “politico” del culto di Stefano è presente anche al capitolo 4, in cui l’Autore si interessa ai suoi santuari in ambiente gerosolomitano. Anche in questo caso, la rivalità tra i santuari di San Sion e del Cedron è presentata come il frutto come uno scontro politico-religioso per la supremazia dottrinale a Gerusalemme, soprattutto dopo il concilio di Calcedonia e la querelle miafisita. Questi elementi si ritrovano anche ai capitoli cinque e sei, nei quali l’Autore analizza rispettivamente il ciclo agiografico gerosolomitano della Passione di S. Stefano e le controversie legate alla data della ricorrenza del culto del santo.

Infine, la terza parte del libro si concentra sulla dimensione internazionale del culto di S. Stefano attraverso la sua diffusione. Il capitolo sette si sofferma sulle strategie geo-ecclesiologiche che soggiacciono al possesso delle reliquie nell’antichità. Più precisamente, questo capitolo mostra la funzione politica delle reliquie attraverso due esempi concreti: dapprima la traslazione delle reliquie di Stefano a Costantinopoli ad opera di Pulcheria (421) e in seguito il loro trasferimento a Roma nel VI secolo. In entrambi i casi, il ruolo legittimante di tale processo è messo in valore. Il capitolo otto tratta invece della ricezione del culto di S. Stefano in terra africana. Questo culto è reso possibile dal passaggio in Africa di Orosio, reduce da un viaggio in Palestina durante il quale si era assicurato delle reliquie del santo. In queste pagine l’Autore inserisce un excursus interessante sulle raccolte di miracoli come genere agiografico, così come una riflessione sul valore della raccolta De miraculis per la comunità di Uzalis e sul cambiamento dell’atteggiamento di S. Agostino nei confronti dei miracoli come tentativo di ristabilire un legame con i fedeli africani provenienti dalle fila dei donatisti. L’ultimo capitolo è interamente dedicato a un episodio collegato al diffondersi del culto di S. Stefano in Europa: la conversione degli ebrei di Minorca ad opera del vescovo Severo. Questo episodio, tramandatoci da Severo stesso in una lettera, è interpretato dall’Autore come un atto persecutorio messo in atto dal vescovo per affermare il proprio ruolo di patrono dell’isola a scapito del suo concorrente ebreo.

Nel complesso, si tratta di un libro di qualità eccelsa, capace di interessare un pubblico ampio, non soltanto gli studiosi dell’agiografia cristiana antica. Infatti, le considerazioni geo-ecclesiologiche, il discorso sulla tolleranza in età tardoantica e il carattere politico del culto delle reliquie arricchiscono in maniera importante un saggio già di per sé ottimo. Inoltre, le rimarcabili conoscenze linguistiche e filologiche dell’Autore gli permettono di muoversi agilmente nello spazio delle fonti antiche e moderne. Tuttavia, un unico punto resta ai miei occhi incomprensibile: perché, in una bibliografia così vasta, non prendere minimamente in considerazione i lavori di P. Van Nuffelen[3], pressoché universalmente riconosciuti come imprescindibili dagli studiosi della tarda antichità? Ciò detto, questo studio di D. Labadie, in virtù del suo stile scorrevole e del suo contenuto pregevole, è destinato a diventare un instant classic tra gli addetti ai lavori e non solo, costituendo ad oggi il saggio più completo sulla nascita del culto di S. Stefano.

 

Notes

[1] É. Durkheim, Les règles de la méthode sociologique, Paris, 1984.

[2] Ph. Blaudeau, Alexandrie et Constantinople (451-491). De l’histoire à la géo-ecclésiologie, Rome, 2006 ; id., Le siège de Rome et l’Orient (448-536). Étude géo-ecclésiologique, Rome, 2012.

[3] P. Van Nuffelen, «Gélase de Césarée: un compilateur du cinquième siècle», Byzantinische Zeitschrift, 95 (2), 2003, p. 621-639 ; Id., Penser la tolérance durant l’Antiquité tardive, Paris, 2018.