BMCR 2022.07.08

La notte di Argo: saggio di commento a Stazio, Tebaide 1, 390-720

, La notte di Argo: saggio di commento a Stazio, Tebaide 1, 390-720. Millennium, 11. Alessandria: Edizioni dell'Orso, 2020. Pp. viii, 352. ISBN 9788836130702. €28,50.

L’ultimo decennio ha visto un intenso rifiorire negli studi di epica flavia, e in particolare in quelli sulla Tebaide di Stazio. Sono stati pubblicati, infatti, i commenti di Parkes a Theb. 4 (Oxford 2012), Augoustakis a Theb. 8 (Oxford 2016; BMCR 2017.03.32), Gervais a Theb. 2 (Oxford 2017; BMCR 2018.08.40), e Micozzi a Theb. 4 (Firenze 2019).[1]

Gli unici altri commenti a Theb. 1 esistenti a tutt’oggi sono quello di Heuvel (Zutphen 1932), quello di Caviglia (Roma 1973), e quello dello stesso Briguglio ai vv. 1-389 (Alessandria 2017; BMCR 2018.06.26). Briguglio ora ci offre questo commento a Theb. 1.390-720. Il lavoro è diviso in Introduzione (pp. 1-25), Nota al testo (27-8), Conspectus siglorum (29-31),[2] Thebais 1, 390-720 (33-45), Traduzione (47-55), Commento (57-285), Bibliografia (287-324), Indice delle parole e delle cose notevoli (325-33), Indice dei luoghi citati (335-48) e Indice (349).

Nella Nota al testo, Briguglio dichiara: “Per il mio lavoro ho rinunciato ad un riesame sistematico dei testimoni; l’apparato, in cui ho utilizzato i sigla di Hall, è selettivo e vuole essere uno strumento utile al lettore per orientarsi solo nei problemi testuali discussi nel commento.”[3] Anche se ha fatto questa scelta per i sigla, dall’elenco dei punti in cui il testo offerto da lui si discosta dal testo di Hill (19962) e da quello di Hall (2007-8),[4] emerge che il testo stampato da Briguglio diverge da quello di Hall in ca. 35 luoghi, concordando fondamentalmente con quello di Hill. Discuto di seguito alcuni aspetti testuali ed interpretativi del commento di Briguglio, segnalando il numero di verso in inizio paragrafo.

495: pur scartandole, Briguglio meritoriamente ricorda sia la congettura ac fore di Gruterus (ap. F. Hand, Suspiciones in Statii Thebaidos librum I cum animaduersionibus F. Handii, Ienae 1851, 27) al posto del tradito adfore, stampata da Garrod (Klotz, in app., a quanto pare per una svista, attribuisce la proposta a Gronovius, e con tale attribuzione è difesa da Helm nella sua recensione a Klotz (BPhW 29 (1909) 993)), sia l’interpunzione suggerita da Ker (CQ n.s. 3 (1953) 175), e cioè mettere una virgola dopo ductos con esse sottinteso (“he realized that the clear will of heaven had brought to his house the sons-in-law of whom Apollo had announced that their future arrival was destined by fate”). Entrambe le proposte sono trascurate da Hall, anche se nel suo apparato secondario egli vorrebbe offrire un elenco di tutte le congetture avanzate fino ai suoi tempi (vol. 1, viii-ix).

587: l’app. legge viridi O Ppc b Cpc d J1 M4 n O3 S3 S4 U1pc U3 U5 Z2 Z19: viridis Cac S2 S5 s. Ci sono, però, alcuni errori. uiridi è lettura di P, non di Ppc, e inoltre mancano i codd. primari (“semper et ubique laudati” (Conspectus siglorum, p. 28)) che leggono uiridis. Leggi, dunque: viridi O P b Cpc d J1 M4 n O3 S3 S4 U1pc U3 U5 Z2 Z19: viridis B D G M Q R S T Cac S2 S5 s.

608-9: Briguglio traduce illa nouos ibat populata penates | portarum in biuio come “[i]l mostro avanzava, dopo aver devastato nuove famiglie; era al bivio delle porte della città,” scartando la congettura di Koch (Coniectaneorum in poetas Latinos pars altera: in Statium, Progr. Gymn. Frankfurt a. O., 1865, 5) stabat, accolta da Müller, in quanto “il verbo di moto è più appropriato all’impeto distruttivo del mostro.” Ma la congettura di Koch è tutt’altro che banale. Difatti, la punteggiatura vulgata collega ibat con portarum in biuio, un costrutto alquanto strano. Questa stravaganza è forse anche alla base dell’emendamento di Baehrens (ap. Kohlmann) portarum biuio (senza in), che andrebbe anche discusso in nota insieme a tutto il problema. Personalmente, preferirei cancellare in leggendo biuio come abl. prosecutivo (scarterei il dat. di direzione), sebbene non sia facile spiegare come sia nato in. Altrimenti si può staccare portarum in biuio da ibat con un segno di interpunzione forte, un punto e virgola, sottintendendo erat, interpretando la frase come, tra gli altri, Briguglio (cf. anche Caviglia “[i]l mostro s’avanza, desolando famiglie appena formate; era giunto al bivio della porta”), ma si sente il bisogno di connettere portarum in biuio con ibat (invero, non convince qui l’uso assoluto di ibat). Credo che la questione meriti un approfondimento.

619: l’app. legge pubes Dvl G O P E J1 M2 M4pc n S2 S3 S4 s t U2 U3 U4 Z19, 1470: plebes b h K Z: virtus D. Mancano, però, i codd. primari (vd. supra), che hanno plebes. Leggi, quindi: pubes Dvl G O P E J1 M2 M4pc n S2 S3 S4 s t U2 U3 U4 Z19, 1470: plebes B M Q R S T b h K Z: virtus D.

634-5 quis ab aethere laeuus | ignis et in totum regnaret Sirius annum: la spiegazione offerta da Briguglio per la sintassi delle due interrogative è persuasiva: la prima è introdotta da quis con sit sottinteso, mentre la seconda, in totum regnaret Sirius annum, è sempre retta, per zeugma, da quis, che assume il valore di cur/quid. In questo modo, Briguglio scarta anche quid di Z19, che, secondo lui, sarebbe pure una proposta di correzione di Gronovius “accolta solo da Hall.” Su quest’ultima affermazione, bisogna osservare che, da una ricerca cursoria, non risulta che quid sia presente nell’edizione di Gronovius, né che sia proposto nei “Gustus ad Thebaidos libros” inclusi in tale edizione. A quanto mi risulta, quid è proposto per la prima volta da Baehrens (ap. Kohlmann), e messo a testo prima di Hall da Kohlmann e da Wilkins. È stato Garrod il primo ad attribuire quid ad una congettura di Gronovius; egli è stato seguito da altri editori (in maniera molto cauta, Hill mette un punto interrogativo dopo Gronovius). Per il resto, la lezione an in totum di Mpc Behottianus sembra meriti di essere presa in considerazione.

643 non missus, Thymbraee, tuos supplexue penates | aduenio “Non sono stato mandato alla tua dimora, o Timbreo, né vi giungo supplice.” Sono pienamente d’accordo con Briguglio che chiarisce: “il gesto di Corebo è spontaneo (non missus); supplex è il devoto prostrato davanti al dio e qui anche lo sconfitto davanti al vincitore (cf. ad es. Verg. Aen. 12, 930-1 ille humilis supplex oculos dextramque precantem / protendens): il giovane, rovesciando il gesto di Turno davanti a Enea, non si riconosce vinto da Apollo.” Sembra, però, da tenere anche in considerazione l’interpretazione di Lattanzio Placido, che, oltre a fornire questa spiegazione di missus = coactus, accenna anche alla possibilità che esso significhi humilis, deiectus, e cioè si tratterebbe di un simplex pro composito (= summissus): con missus … supplexue Stazio varierebbe il virgiliano humilis supplex (ul supplexque) di A. 12.930 (cf. anche Ov. Ep. 4.149 non ego dedignor supplex humilisque precari). Quest’interpretazione, a quanto pare, non ha avuto molta fortuna tra gli interpreti più recenti.

672: In maniera convincente Briguglio stampa haec … hora est di tutti i mss. contro hae … horae del solo P. Oltre al modello omerico citato da Briguglio per giustificare questa scelta (Od. 11.379 ὥρη μὲν πολέων μύθων, ὥρη δὲ καὶ ὕπνου), da un punto di vista paleografico si potrebbe pensare che hae … horae di P sia nato da un errore nello scioglimento della abbreviazione hora ē come horae invece di hora est, col successivo aggiustamento di haec in hae.

684: Briguglio giustamente ricorda che cadentes oltre a essere congettura di Damsté (Mnemosyne 36 (1908), 363), lo è anche, in maniera indipendente, di Poynton (CR 54 (1940), 13), un dato omesso da Hall (cf. app. ad loc. e vol. 3, 419; vedi supra).

702 et adsiduam pelago non quaerere Delon: al posto di non, Kohlmann stampa nunc, messo a testo anche da Hall. Secondo Briguglio, questa proposta implicherebbe di intendere nunc riferito a quaerere: “non necessaria e priva di mordente […] la correzione del vivido non quaerere in nunc quaerere” (cf. anche l’osservazione di Klotz in app. correggendo la proposta di Kohlmann: “nunc Kohlmannus; sed negatio ad verbum referenda”). In realtà, però, secondo la correzione di Kohlmann, nunc sarebbe da leggere piuttosto con adsiduam, non con quaerere: cf. Hall “[you take pleasure] in making for Delos now firmly fixed in the sea.” Che si senta la necessità di un avverbio del genere, emerge dalla traduzione dello stesso Briguglio: “e ti piaccia non dover più andare alla ricerca di Delo, ormai stabile sul mare” (cf. anche la parafrasi di Hill in app. “seu te iuuat Cynthus cum Delos nunc sit stabilis et non iam tibi quaerenda,” e Aricò “e [sia che preferisca] Delo che non hai più bisogno di cercare, perché ormai fissa sul mare”).

704: Consento con Briguglio che stampa aetherii dono cessere parentes al posto della congettura di Barth parentis, motivata dal fatto che Latona non potrebbe concedere al figlio una qualità che nemmeno lei stessa possedeva (lo stesso ragionamento sembra alla base del fatto che questa medesima congettura è stata proposta in maniera indipendente anche da Guyet, Bentley e Lachmann). Non persuade, tuttavia, la spiegazione di Briguglio, secondo cui “[l]’intervento è poco soddisfacente sul piano della lingua e dello stile: il faticoso doppio dativo in iperbato tibi… / dono […].”. Infatti, in questo caso dono non sarebbe dativo, bensì ablativo: cf. la parafrasi di Hill in app. “per Iouis gratiam” (cf. anche Hall “by the gift of your heavenly father”). D’altronde, dal congetturale parentis, si sono susseguiti diversi interventi nel verso successivo che andrebbero discussi in nota: cf. Weber aetherii dono cessere parentis | aeternum florere genae (che tra l’altro, in. app., sostiene che il passo sia un “locus corruptus”), Lachmann aetherii dono cessere parentis | aeternae florere genae(entrambe le congetture sono state tralasciate anche da Hall).

Le note di commento sono molto utili e spaziano in tutti gli aspetti che uno studioso si aspetterebbe (esegetici, grammatici, mitologici, metrici, ecc.). Da apprezzare sono le esaustive prese in esame della maggior parte delle varianti trasmesse dai mss. e delle congetture proposte da altri studiosi.[5]

La Bibliografia adoperata da Biguglio è molto aggiornata. Il volume si chiude con un Indice delle parole e cose notevoli, un Indice dei luoghi citati e un Indice, che rendono molto fruibile il volume.

L’opera di Briguglio è un’opera essenziale per tutti gli studiosi seri non solo di epica flavia, ma di epica classica in genere.

Notes

[1] Questo recensore sta preparando un commento a Theb. 5.

[2] La segnatura di J5 è Cantabrigiensis S. Trinitatis O.9.12 (1424), non Cantabrigiensis S. Trinitatis 0.9.12 (1424) (l’errore è anche in Hall).

[3] Pertanto, non sembra tanto appropriato il fatto che Brigluglio sciolga l’abbreviazione “codd.” (p. 30) come “omnes quos novi codices” invece di “omnes quos novit Hall codices.” D’altronde, quanto all’app., non è chiaro quale sia il criterio con cui Briguglio scelga le congetture ivi riportate; comunque sia, ogni volta che ne menziona una, la contrappone sistematicamente alla lettura dei mss., il che non è sempre necessario (cf. ad es. 403 sopora codd.: sonora Hall; 455 quis codd.: quid Baehrens; 656 matres codd.: manes Alton; 699 habes codd.: obis Hall).

[4] Da aggiungere a questa lista 403 eadem che Briguglio stampa cum codd., contro Hall che mette a testo la sua congettura tum eadem. Invece, 681 est, messo a testo da Briguglio e Hill, contro at preferito da Hall, è nell’elenco, ma non in app. (dalla fusione degli app. primario e secondario di Hall, leggi: est B M O P Q R S T C s Z19: et D G d S2 S3 S5 Z2: at F3).

[5] Ci sono alcuni refusi: p. 122 (ad quem … | vestitus) “cf. n. ad 1, 447,” leggi “cf. n. ad 1, 457”; p. 185 (ad 562 postquam) “perculit (v. 566),” leggi “perculit (v. 567),” “dedit (v. 657),” leggi “dedit (v. 568)”; p. 183 (ad plebs Argiva litant) “(per il problematico 7, 217-2 cf. Smolenaars ad loc.),” leggi “(per il problematico 7, 271-2 cf. Smolenaars ad loc.)”; p. 209 (ad confessa patri) “espressione sintetica che presuppone l’uso assoluto di confiteor (già ad es. in Ov. Pont. 3, 9, 45 confesso ignoscite; cf. anche OLD, s.v. 1c): cf. Heuvel ad loc., che rimanda al corradicale fatentes di 5, 452 (per cui cf. ThLL IV, 226.55ss.)”: sembra che il rimando al ThlL sia a fatentes, ma invece è a confiteor (nello specifico, cf. 4.227-41-5 “[absolute] alicui confiteri” (con citazione del passo staziano, in cui, tra l’altro, il verbo è considerato con patri apo koinou)); p. 262 (ad regnum et furias oculosque pudentes) “Damsté 1908, p. 353-4,” leggi “Damsté 1908, p. 363” (l’errore è anche in Heuvel).