BMCR 2022.02.20

Hellenistische Wanddekorationen Syntax, Semantik und Chronologie des Ersten Stils im westlichen Mittelmeerraum

, Hellenistische Wanddekorationen Syntax, Semantik und Chronologie des Ersten Stils im westlichen Mittelmeerraum. Archäologische Forschungen, 40. Wiesbaden: Reichert Verlag, 2021. Pp. x, 290. ISBN 9783954904761. €78,00.

Il volume rappresenta la versione modificata della tesi per il dottorato, conseguito dall’Autore presso l’Università di Tübingen nel 2016. Il testo si articola in 11 capitoli: 1. Einführung; 2. Der Erste Stil in der mediterraneen Koine; 3. Material und Herstellungstechnik; 4. Chronologie des Ersten Stils; 5. Regionale Betrachtung (divisa in Nordafrica; Sicilia; Italia meridionale; centri vesuviani; Italia centrale; Norditalia e Slovenia; Spagna, Francia meridionale e Sardegna); 6. Gestaltungmittels des Ersten Sils; 7. Der Erste Stil als Mittel der Selbstdarstellung lokaler Eliten; 8. Resümee und Ausblick; 9. Zusammenfassung (in tedesco, inglese e italiano); 10: Tabellen; 11. Katalog. I capitoli sono divisi in paragrafi ben costruiti, la cui chiara articolazione consente al lettore di orientarsi facilmente nel denso testo. Concludono il volume una ricca bibliografia, l’indicazione delle tavole e l’indice dei luoghi.

Come appare evidente sin dal titolo, questo studio contiene una serie di affermazioni che lo posizionano con chiarezza nel panorama di acquisizioni anche recenti in questo campo di studi, dalle quali in più punti Lappi si discosta. La prima scelta in controtendenza è quella di considerare sotto l’etichetta di Primo Stile le decorazioni parietali prodotte nel bacino occidentale del Mediterraneo tra l’età altoellenistica e la tarda età ellenistica, senza troppo preoccuparsi della ‘biografia culturale’ di questa definizione, nata come ben noto dalla tipologia delle decorazioni parietali creata da A. Mau per Pompei.[1] Si tratta di una scelta ‘coraggiosa’, che incontrerà certamente critiche per il fatto di allargare questa definizione a contesti che nulla hanno a che fare con i centri vesuviani: essa taglia infatti di netto con decenni di studi, che si sono invece applicati a distinguere i rivestimenti parietali studiati da Mau da quelli del bacino orientale del Mediterraneo, della Sicilia e del mondo punico, seguendo metodi e creando definizioni più o meno convincenti. La scelta di Lappi non è una decisione di comodo, dovuta magari alla volontà di evitare l’inflazione di termini e definizioni tipologiche che non aiutano a fare chiarezza in un panorama ampio e variegato. Essa esprime invece la posizione dell’Autore, che identifica nello studio aree regionali e ‘di gusto’, da lui ricondotte però a una koinè che caratterizza i siti del bacino mediterraneo anche prima delle epoche indagate nel volume. Particolare attenzione è volta alla documentazione di Cartagine e della Sicilia, che possiede una rilevanza particolare per questo tipo di materiali, e che l’Autore ben conosce grazie agli scavi eseguiti a Cartagine nell’ambito della campagna UNESCO di salvataggio del sito e agli scavi italo-tedeschi di Pantelleria, sui quali ha lavorato in prima persona.

Restando ancora a quanto programmaticamente indicato sin dal titolo, parlare di sintassi e semantica di una tipologia decorativa non può non richiamare il testo di Tonio Hölscher.[2] Si tratta di un lavoro molto influente e fortunato, assai citato anche nella bibliografia di lingua italiana, che tradotto in inglese solo nel 2004 ha invece raccolto nel tempo una serie di critiche da autori altrettanto influenti nella bibliografia in quella lingua[3]: una scelta di mediazione potrebbe forse salvare metodi e interessi che proprio nella profonda diversità dei loro approcci hanno dato e stanno ancora dando importanti stimoli alla ricerca.

Un altro esempio di come questo studio si discosti anche da interpretazioni recentemente affermatisi è costituito dalla trattazione dello ‘stile zero’: come egli stesso chiarisce, Jean-Pierre Brun[4] aveva proposto questo termine provocatoriamente, intendendo comunque sottolineare l’anteriorità e la diversità rispetto al Primo Stile di un tipo di decorazione di recente rinvenimento, di cui si conservano frammenti di intonaco a fondo bianco con motivo a onde correnti dipinto in nero. La questione è complicata dall’adesione che questa proposta ha rapidamente incontrato in altri studi recenti, tra i quali citiamo quelli di Mario Torelli[5] e di D’Auria (v. infra). Per Torelli, il rinvenimento in situazioni stratigrafiche controllate  di una decorazione che per tecnica e iconografia si discosta da quello che chiamiamo Primo Stile costituisce la prova che la asiatica luxuria delle fonti non è rappresentata – come siamo abituati a credere – dalla introduzione delle scenografie architettoniche del Secondo Stile, ma è invece da riferire al Primo Stile, fenomeno di importanza fondamentale, che introduce nelle case un rivestimento decorativo che si richiama all’architettura monumentale. L’interpretazione di Torelli comporta un rialzamento della cronologia di questo fenomeno decorativo, che ha risultati non indifferenti sul piano generale. Ma anche da questa lettura, che vede nelle forme del Primo Stile una dipendenza dall’architettura monumentale, Lappi si discosta con decisione. Egli propone infatti una convincente lettura del Primo Stile come linguaggio figurativo autonomo, con una ben riconoscibile coerenza interna; il metodo seguito dall’Autore è quello di cercare di ricostruire e comprendere il funzionamento della decorazione partendo dall’analisi dettagliata dei singoli elementi che la compongono e della loro reciproca relazione. La ricostruzione che ne risulta consente di ipotizzare le motivazioni delle scelte dei committenti, mirate verso un pubblico di ‘implizierte Betrachter’, di ‘osservatori virtuali’: risulterà quindi chiaro quanto la semantica e la sintassi richiamate sin dal titolo non siano semplici espressioni esornative, ma costituiscano invece la chiave interpretativa dell’Autore.  Alla ricca bibliografia di ordine metodologico proposta nel volume per questi temi si può aggiungere lo studio di Lambert Schneider[6], che mette ben in rilievo i valori semantici di sistemi pittorici basati sul linguaggio dell’architettura e dei rivestimenti in materiali pregiati (marmi ed altro), tendenzialmente privi di figurazioni, quali sono quelli caratteristici della pittura tardoantica di destinazione domestica.

Un altro assunto dal quale il volume si discosta è quello che trova espressione nel recente volume di Dora D’Auria [7], che la stessa Autrice ha già proposto in alcuni articoli preliminari, citati da Lappi in bibliografia. D’Auria isola una tipologia decorativa particolare, definita come schema decorativo semplice, che convive con il Primo Stile perloppiù in case definite di livello medio: esso si differenzia dal Primo per la presenza di più ampie zone lisce e per la mancanza dei caratteristici elementi a rilievo, quali ortostati e bugne. Anche con questa lettura Lappi non concorda, a vantaggio di una visione del Primo Stile come fenomeno decorativo ‘globalizzante’, e considerando la variabilità della documentazione piuttosto come conseguenza della diversa funzione degli ambienti.

Anche se con riferimento ad aree diverse (la Sicilia da un lato, l’Italia settentrionale dall’altro), lo studio di Lappi ridimensiona l’influenza di Roma nella diffusione del Primo Stile. Per quanto riguarda la Sicilia, il legame con la documentazione di Cartagine apre altre strade per la presenza nell’isola di questa tipologia decorativa. Anche per quanto riguarda l’area norditalica, e pure sulla scorta di studi precedenti che hanno già offerto importanti spunti in questa direzione[8], viene ridimensionata l’influenza centroitalica nella diffusione del Primo Stile. Un esempio convincente è offerto dal santuario di Marano, catalogo n. 168, che offre un dato tecnico a sostegno di questa lettura. Si tratta del motivo delle onde correnti, che è stato individuato come possibile connessione con i frammenti di ‘stile zero’ pompeiano, ma che a Marano è associato a lesene e bugne a finto marmo, in un sistema a rilievo di Primo Stile che si differenzia chiaramente dallo ‘stile zero’. Inoltre, diversamente da quanto avviene a Pompei, a Marano le onde correnti sono realizzate seguendo linee di guida regolarmente incise: trattandosi di un motivo curvilineo, ma non circolare, appare improbabile che gli artigiani abbiano potuto realizzarlo utilizzando sistemi consueti, come una cordicella fissata al centro del cerchio; sembra invece più probabile che essi abbiano utilizzato sagome simili a quelle in piombo rinvenute a Delo.[9] Il dato tecnico, unito all’osservazione del contesto, evidenzia a Marano la circolazione ‘mediterranea’ di maestranze di alto livello, attive per una committenza di particolare impegno: grazie a una conoscenza approfondita delle tecniche e dei materiali, gli artigiani qui attivi raggiungono risultati confrontabili con le testimonianze ellenistiche dell’Italia centrale, quali quelle da Populonia, catalogo n. 136.

Concentrando l’attenzione su un argomento specifico, con l’occhio al contributo che questi studi possono fornire a una comprensione più approfondita della ideologia domestica delle società che fanno uso di queste decorazioni piuttosto che a questioni meramente tipologiche, il volume in oggetto dimostra convincentemente come anche una tipologia decorativa priva di figurazioni possa contribuire a costruire una gerarchia interna a un determinato contesto, grazie alla presenza/assenza di una serie di attributi caratterizzanti. Come Lappi giustamente sottolinea, questa scala di impegno decorativo può essere solo assai prudentemente trasferita a contesti diversi da quello sul quale è stata ricostruita, ma costituisce nondimeno un valido aiuto alla comprensione di contesti meno fortunati dal punto di vista della documentazione o della conservazione.

Oltre al panorama regionale del capitolo 5, particolare interesse rivestono le tipologie decorative, esaminate nel capitolo 6. Agli elementi dipinti o modellati plasticamente qui trattati possiamo aggiungere quelli incisi, riferendoci ad alcuni frammenti a fondo nero da Taranto in ‘stile strutturale’.[10] Rinvenuti in un pozzo e datati al III secolo a.C., questi frammenti – picchiettati come quelli citati da Lappi alle note 79 e 417 – restituiscono una decorazione che per i temi iliaci raffigurati e per le iscrizioni che identificano i personaggi rappresenta un momento importante nella ricostruzione delle esperienze tecniche e figurative che hanno dato luogo alla decorazione domestica della società romana.[11]

Le sei tabelle del capitolo 10 classificano l’evidenza nelle due aree del Mediterraneo in base a diversi attributi, con una proposta cronologica divisa nelle due aree, e con riferimento ai numeri delle schede del catalogo del capitolo 11. Quest’ultimo costituisce una parte centrale del lavoro, l’importante base documentaria alla quale nelle pagine precedenti viene costantemente fatto riferimento. Esso contiene 198 schede, divise secondo gli ambiti regionali del capitolo 5.  Le schede si presentano di dimensioni assai variabili in relazione a quanto noto e contengono voci relative al contesto, stato di conservazione, pavimenti, datazione, tecnica, bibliografia e descrizione.

Per concludere la valutazione di questo approfondito studio, notiamo che grazie all’alta qualità editoriale gli errori di stampa o di impaginato si contano sulle dita di una mano, e che le immagini delle 66 tavole – tra le quali segnaliamo le 13 carte di distribuzione finali – sono molto chiare.

Notes

[1] Geschichte der dekorativen Wandmalerei in Pompeji, Leipzig 1882.

[2] Römische Bildsprache als semantisches System, Heidelberg 1987.

[3] Seppure con toni diversi, in particolare J. Elsner e M. Squire contestano ‘a fundamentis’ l’approccio ‘linguistico’ di Hölscher (e Paul Zanker) alla produzione figurativa romana: v., exempli gratia, J. Elsner, M. Squire, “Sight and Memory. The visual art of Roman mnemonics”, in M. J. Squire (ed.), Sight and the Ancient Senses, London 2015, 204, nota 60: «Roman art as a semantic system – that is, as something analogous to language and hence able to “communicate” clearly definable “messages”».

[4] “Uno stile zero? Andron e decorazione pittorica anteriore al primo stile nell’insula I 5 di Pompei”, in P.G. Guzzo, M.P. Guidobaldi edd., Nuove Ricerche archeologiche nell’area vesuviana (scavi 2003-2006), Roma 2008, 68.

[5] “Dalla tradizione “nazionale” al primo stile”, in G.F. La Torre, M.Torelli edd., Pittura ellenistica in Italia e in Sicilia. Roma 2011, 401-413.

[6] Die Domäne als Weltbild. Wirkungsstrukturen der spätantiken Bildersprache, Wiesbaden 1983.

[7] Rileggere Pompei VI. Ricerche nella Casa del Granduca Michele (VI,5,5-6/21) e sulle abitazioni di livello medio in età sannitica, Roma 2020.

[8] Si vedano in particolare C. Pagani, E. Mariani, “Le pitture”, in B. Bruno, G. Falezza edd., Archeologia e storia sul monte Castelon di Marano di Valpolicella, Mantova 2015, 149-162.

[9] Ph. Bruneau, Bulletin de Correspondance Hellénique 99, 1, 1975, 306-308, figg. 26-27. Lamine in piombo conformate sono utilizzate anche a Populonia (v. infra) per l’armatura di un capitello corinzio.

[10] Così l’editrice, A. Dall’Aglio, “Taranto nel III secolo a.C.: nuovi dati”, in A. Siciliano, K. Mannino edd., La Magna Grecia da Pirro ad Annibale. Atti del 52° Convegno di studi sulla Magna Grecia. Taranto 2012, Taranto 2015, 434, figg. 3-4.

[11] Per la bibliografia più recente su questi importanti frammenti si veda ora I. Bragantini, Journal of Roman Archaeology 32, 1, 2019, 143, nota 60 e fig. 9.