BMCR 2021.11.49

The people and the state: material culture, social structure, and political centralisation in central Italy (800-450 BC) from the perspective of ancient Crustumerium (Rome, Italy)

, , The people and the state: material culture, social structure, and political centralisation in central Italy (800-450 BC) from the perspective of ancient Crustumerium (Rome, Italy). Corollaria Crustumina, 4. Eelde: Barkhuis, 2020. Pp. 210. ISBN 9789493194236. €50,00.

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Crustumerium è un centro antico del Lazio settentrionale. La collina sui cui sorgeva la città si trova a pochi chilometri nord di Roma, lungo il fiume Tevere, al confine con il territorio sabino. Non distante, lungo la Via Salaria, si trovano i centri sabini di Cures ed Eretum; sull’altra sponda del fiume c’è il famoso Lucus Feroniae  e, soprattutto, c’è l’etrusca Veio. Siamo dunque nel cuore di quel crogiolo culturale tiberino che ha costituito per secoli un polo di sviluppo alle porte di Roma. Fino agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso, tuttavia, nelle guide archeologiche del Lazio Crustumerium era poco più di un nome, cui non era possibile associare un sito archeologico preciso.[1] Ad onta di questo silenzio del record archeologico, questa misconosciuta città latina, come testimoniano le fonti letterarie, ha giocato un ruolo importante nei racconti relativi alle origini di Roma. Il nome di Crustumerium infatti figura da protagonista in eventi pseudo-storici che la tradizione storiografica colloca nell’età monarchica e agli inizi di quella repubblicana: in particolare, durante il periodo regio la città essa sarebbe stata oggetto di due conquiste militari, la prima durante il regno di Romolo, la seconda ad opera di Tarquinio Prisco, mentre la terza – definitiva – sarebbe avvenuta nel 499 a.C. Pochi anni dopo, nel 495 a.C., fu creata la tribù Clustumina.[2] Anche se la critica storica tende a considerare questi racconti, in particolare quello relativo all’età romulea, come la proiezione leggendaria di eventi storici successivi alla conquista di Veio e di Fidene[3], questo protagonismo di Crustumerium nelle fonti letterarie dei primordia di Roma indica l’importanza del centro latino nello scacchiere politico-territoriale del Latium Vetus orientalizzante e arcaico.

Negli ultimi decenni l’archeologia ha confermato in pieno questa importanza strategica dell’insediamento, che è stato individuato sul terreno – come molti altri siti della regione tiberina – in quell’età dell’oro dell’archeologia laziale che sono stati gli anni Settanta del secolo scorso.[4] Ben presto, purtroppo, anche i “tombaroli” si sono accorti della ricchezza del sito, che ha alimentato per anni il commercio illegale di antichità.[5] Quel che sappiamo oggi di questa città scomparsa del Lazio antico lo dobbiamo a una pluriennale attività di scavo della Soprintendenza archeologica di Roma, avviata inizialmente proprio per arginare gli scavi di frodo. Si sono poi aggiunte le attività interdisciplinari dell’Università di Groningen, che hanno fatto di Crustumerium – insieme a Satricum – il “fiore all’occhiello” dell’archeologia olandese nell’Italia centrale.

Il libro si colloca al vertice di questa lunga serie di ricerche italo-olandesi e arricchisce notevolmente il panorama delle conoscenze sul centro latino, al quale sono stati dedicati i precedenti tre titoli della collana Corollaria crustumina, un catalogo di mostra[6] e innumerevoli report scientifici di carattere preliminare.

Nella vibrante Prefazione del volume, Francesco di Gennaro ripercorre le vicissitudini legate alla riscoperta e alla esplorazione scientifica del sito, elencando i risultati raggiunti dall’impresa italo-olandese, ivi compresi quelli legati agli aspetti della salvaguardia e della valorizzazione del sito. Il riferimento alle “adverse forces” incontrate nella realizzazione del progetto danno la misura della tensione etica e morale che ha animato i protagonisti dell’impresa di Crustumerium.

Nel primo capitolo, Peter Attema e Albert Nijboer illustrano le premesse e gli obiettivi del progetto “The People and the State”, da cui origina il volume, soffermandosi sulle caratteristiche dell’insediamento, sulla importanza delle evidenze funerarie nella fase della interpretazione e sulle “domande di ricerca” che hanno guidato la programmazione scientifica. Il focus del progetto, come  annunzia il titolo del volume, è la dinamica politico-territoriale, con i suoi riflessi nella sfera socio-economica, che ha interessato il sito antico di Crustumerium nel suo lungo arco di vita (800-450 a.C.). Sorto nel IX secolo a.C. come modesto agglomerato di capanne di tipo proto-urbano in prossimità di un’ansa del Tevere, il centro ha poi assunto carattere propriamente urbano, giocando un ruolo di primo piano nei collegamenti interregionali. La sua parabola, prima ascendente, poi discendente, è legata all’ascesa di Roma.

Nel secondo capitolo Jan Sevink, Nikolaas Noorda e Michael Den Haan presentano la geologia del sito, aggiornando i precedenti modelli interpretativi che hanno interessato questa porzione della valle tiberina. Dal lavoro emerge una complessità geologica del comprensorio di Crustumerium maggiore rispetto a quanto si credeva in passato, che ha condizionato anche le ricerche archeologiche e la possibilità di ricostruire in maniera attendibile il “landscape” originario.

Il terzo capitolo, a firma di Burkart Ullrich, Nikolaas Noorda e Peter Attema, è dedicato ai risultati delle prospezioni geofisiche, che hanno fatto ricorso alla magnetometria, alle prospezioni geoelettriche e al geo-radar. Per le condizioni del sito, tuttavia, la terza metodica ha dato scarsi risultati in termini di elaborazione di modelli predittivi efficaci. Viceversa,  i surveys magnetometrici  sono risultati molto utili per la documentazione del record archeologico su scala territoriale. Il testo è integrato da numerose mappe colorate in cui sono evidenziate le anomalie riscontrate sul terreno, che hanno consentito agli autori di fornire indicazioni utili prima dello scavo archeologico.

Nel quarto capitolo Nikolaas Noorda e Peter Attema illustrano i risultati delle recenti campagne di scavo (2013-2015). I sondaggi hanno condotto alla scoperta di battuti stradali di grande interesse. Fra le scoperte più rilevanti, si pone la sepoltura “a tumuletto” MDB 390, sull’altura di Monte del Bufalo, che ha restituito un corredo antichissimo, risalente all’800 a.C. ca. L’area ha continuato per secoli ad essere utilizzata per fini di sepoltura, prima che intervenissero eventi naturali a determinarne l’obliterazione.

Nel quinto capitolo Peter Attema e Jorn Seubers ricostruiscono i cambiamenti geologici e antropici che hanno interessato il paesaggio urbano ed agrario di Crustumerium e riconoscono una importante cesura nella storia dell’insediamento – corrispondente a un vero e proprio abbandono –  intorno al 500 a.C. A partire da quella data, l’abitato di Crustumerium perderà il suo carattere urbano e diventerà parte integrante del paesaggio agrario romano. Utilizzando anche i risultati del progetto Suburbium, gli autori concludono che il territorio di Crustumerium è stato intensamente sfruttato a fini agricoli nel periodo tardo-repubblicano e in quello alto-imperiale, mentre a partire dal tardo-antico sarebbe prevalso un uso a pascolo.

Il sesto capitolo, scritto da Peter Attema e Jorn Seubers, riassume i risultati delle ricognizioni di superficie e li confronta con quelli raggiunti, fra gli anni Settanta e Novanta del Novecento, dai progetti Latium Vetus e Suburbium. Dalle ricognizioni olandesi emerge che l’estensione originaria dell’insediamento era superiore alle stime del passato (circa 60 e non 40/45 ettari). Inizialmente non ci fu sinecismo, ma sviluppo unitario dell’abitato. Secondo gli autori, deve cambiare il modello interpretativo dell’hinterland di Crustumerium:  l’area circostante l’insediamento urbano non sarebbe stata circondata da un fitto tessuto insediativo già in età arcaica, perché solo a partire dall’età medio-repubblicana il territorio si sarebbe riempito di fattorie. Questo importante cambiamento di prospettiva è stato possibile raffinando lo studio degli indicatori cronologici offerti dallo studio dei materiali.

Il settimo capitolo, opera di Barbara Belelli Marchesini, è dedicato allo studio diacronico delle necropoli.  Nell’età del ferro le tombe sono semplici fosse orientate in senso NE-SO e il corredo è ridotto all’essenziale, con  cinque  forme-base che ricorrono in tutte le sepolture. Fa eccezione la tomba MDB 390, già citata, risalente al periodo laziale IIIB2, che era sormontata da un apprestamento forse destinato al culto degli antenati. Molto più fitti e articolati sono i nuclei di necropoli utilizzati dal periodo orientalizzante fino alla fine del periodo arcaico (725 – 500 a.C.).  In questa fase, accanto alle tombe individuali (a fossa con nicchia assiale), si diffondono progressivamente le tombe a camera con dromos di accesso e loculi laterali, esito di contatti culturali con l’ambiente trans-tiberino. La cultura materiale indica una commistione di elementi locali e apporti esterni, con una enfatizzazione per le tipologie vascolari di uso simposiaco. Notevole è l’unico holmos rinvenuto, considerato una importazione e attributo al pittore di Narce. A partire dalla metà del VI sec. a.C. viene notata una rarefazione dei corredi, in linea con le pratiche di controllo del lusso funerario attestate a Roma, Veio e in alcuni centri del Latium Vetus.[7]

Nell’ottavo capitolo Walter Pantano, Flavio de Angelis e Paola Catalano presentano i risultati delle analisi antropologiche condotte sui resti umani rinvenuti nella necropoli. Dallo studio emerge un profilo completo della popolazione locale: l’aspettativa di vita si aggirava intorno ai trenta anni, c’era una elevata moralità infantile, la dieta era abbastanza bilanciata e includeva prodotti ittici, forniti dalla pesca fluviale.

Nel nono capitolo, Albert Nijboer e Peter Attema contestualizzano la vicenda storica di Crustumerium in una prospettiva locale, intra- ed extra-regionale; successivamente, gli autori analizzano i rapporti con Roma e ripercorrono gli avvenimenti storici descritti nelle fonti letterarie. L’insediamento, che nel VII-VI secolo doveva avere una discreta consistenza demografica (circa 3000/6000 abitanti)[8], appare inserito in una koiné culturale medio-tiberina. Elementi significativi di questa condivisione culturale si possono notare nell’ambito dell’edilizia residenziale, nella cultura materiale e nella tipologia tombale. Le importazioni dalle coste tirreniche appaiono sporadiche e dunque la gravitazione culturale dell’insediamento sembra proiettata verso l’interno. D’altra parte, emergono elementi peculiari al centro latino, condivisi con i centri finitimi (Fidenae). Dal punto di vista sociale, non è attestato il fenomeno delle tombe “principesche”, caratteristico dell’orientalizzante tirrenico, e si possono escludere fenomeni di rigida gerarchizzazione. La trasformazione di Roma da “città-stato” a “stato territoriale” comporta alla fine del VI sec. a.C. la definitiva sottomissione politica di Crustumerium. Con questo evento traumatico, secondo gli autori, possono essere messi in relazione la creazione della tribù clustumina e l’arrivo del clan dei Claudii a Roma.

Nel decimo capitolo sono illustrate le prospettive future del progetto.

Il libro, in sintesi, offre numerosi dati freschi sulla storia “archeologica” di Crustumerium, con un ammirevole approccio interdisciplinare. Il volume è corredato da tabelle, grafici, mappe e fotografie a colori, che interagiscono con i testi scritti da studiosi specializzati in discipline diverse, ma complementari, che contribuiscono a ricostruire in maniera esaustiva i rapporti della comunità antica con il suo territorio.

La cura redazionale è eccellente, la bibliografia completa, pochissimi i refusi. Ad onta del fatto che fra le parole-chiave inserite nel titolo manchi il termine “Land”,  l’aspetto più rilevante della trattazione è lo studio del territorio, di cui viene ricostruito diacronicamente lo sviluppo, con la importante rettifica delle precedenti ipotesi interpretative ( § 5-6). Nella struttura armonica del volume spiccano per qualità alcuni saggi, fra cui quelli ricchissimi sulla geofisica e sulle necropoli. Anche se nella discussione finale sono tenute in debito conto le riflessioni di studiosi del calibro di Cornell e Smith e sono utilizzati eccellenti contributi di taglio storico, quello che manca un po’ nel libro è una maggiore contestualizzazione del caso-studio Crustumerium dal punto di vista della storia della storiografia. Da questo punto di vista, avrebbero meritato almeno un cenno diversi contributi storiografici, da Alföldi[9] a Martínez-Pinna[10], passando per opere “simboliche” della bibliografia sul Latium Vetus, che avevano tenuto presente il caso-Crustumerium persino prima che fosse individuato il sito.[11] Ciò nulla toglie alla qualità di un libro che sarà una pietra miliare nello studio dell’antica civiltà laziale.

Table of contents

Preface, Francesco di Gennaro (VII-XI)
The people and the state project: introduction/ Peter Attema & Albert Nijboer (pp. 1-14)
The geology and soils of Crustumerium/ Jan Sevink, Nikolaas Noorda & Michael den Haan (pp. 21-40)
Geophysical prospection at Crustumerium/ Burkart Ullrich, Nikolaas Noorda & Peter Attema (pp. 41-75)
New data from settlement excavations (2013-2015)/ Nikolaas Noorda & Peter Attema (pp. 77-88)
Lanscape taphonomy and land use history/ Peter Attema & Jorn Seubers (pp. 89-96)
The archaeological surveys/ Peter Attema & Jorn Seubers (pp. 97-108).
Data from the burial grounds/ Barbara Belelli Marchesini (pp. 109-146).
An osteological and isotopic analysis of human remanis from Crustumerium/ Walter Pantano, Flavio De Angelis & Paola Catalano (pp. 147-151)
Crustumerium in context/ Albert Nijboer & Peter Attema (pp. 153-170)
The people and the state, evaluation of the research project/ Peter Attema (pp. 171-178)
References (pp. 179-194).

Notes

[1] Per esempio il sito non è contemplato ancora in F. Coarelli, Dintorni di Roma (Guide archeologiche Laterza), Roma – Bari 1981; poco più di un cenno in S. Quilici Gigli, Roma fuori le mura, Roma 1986, p. 256; ma della stessa autrice si veda la dettagliata “nota topografica” in AA.VV., Civiltà del Lazio primitivo, Roma 1976, p. 151.

[2] A. Alföldi, Early Rome and the Latins, Ann Arbor 1965, p. 317; R.E.A. Palmer, The archaic community of the Romans, Cambridge 1970, pp. 138-139.

[3] A. Alföldi, op. cit., p. 132; A. Fraschetti, Romolo il fondatore, Roma-Bari 2002, pp. 90-92.

[4] L. Quilici, S. Quilici Gigli, Crustumerium (Latium Vetus III), Roma 1980.

[5] Un intero capitolo del libro di F. Isman, I predatori dell’arte perduta. Il saccheggio dell’archeologia in Italia, Milano 2009,  è dedicato proprio a Crustumerium (pp. 54-60).

[6] Crustumerium. Death and afterlife at the gates of Rome, Ny Carlsberg Glyptotek 2016.

[7] Da ultimo: M. Arizza, Tra ostentazione e austerità. Le tombe di Veio tra VI e IV sec. a.C., Roma 2020.

[8] Nel volume La formazione della città nel Lazio. Atti del seminario (Roma 1977), Dialoghi di Archeologia n.s. 1, anno 2, 1980, p. 29, invece, la popolazione di Crustumerium viene stimata intorno a 1500 abitanti, sulla base delle stime di Beloch.

[9] A. Alföldi, op. cit.

[10] J. Martínez-Pinna, Roma y los latinos. ¿Agresividad o imperialismo?, Madrid 2017.

[11] AA.VV., La formazione della città nel Lazio, op. cit.