BMCR 2021.10.10

Parmenide: tra linguistica, letteratura e filosofia = Parménides: entre lingüística, literatura y filosofía

, , , Parmenide: tra linguistica, letteratura e filosofia = Parménides: entre lingüística, literatura y filosofía. Eleatica, 7. Baden-Baden: Academia Verlag, 2019. Pp. 274. ISBN 9783896657367. $68.00 (pb).

[The Table of contents is listed below.]

Il volume Parmenide: tra linguistica, letteratura e filosofia edito per Academia Verlag riprende le tre lectiones magistrales tenute da Alberto Bernabé nell’ambito dell’edizione 2015 del convegno internazionale Eleatica. Lo scopo dello studio è quello di proporre una lettura del poema parmenideo che prende le mosse dal legame tra il proemio e la tradizione orfica e sulle strategie linguistiche messe in atto nell’opera.

Il volume è suddiviso in tre sezioni principali. La prima è un ampio saggio introduttivo dei curatori (pp.11-46). La seconda parte (pp. 47-131), arricchita da un’ampia e aggiornata bibliografia, raccoglie i tre interventi di Bernabé. Nella terza parte (pp.119-250), vengono presentate alcune brevi note critiche di commento al testo principale da parte di studiosi del pensiero eleatico. A ciascuna nota di commento segue una breve replica di Bernabé. Infine, il libro si conclude con un saggio su Parmenide e il Rig Veda (pp. 253-268).

Nell’introduzione i curatori si concentrano nella ricostruzione della biografia e dell’attività scientifica di Bernabé dedicata allo studio e alla ricezione del pensiero di Parmenide a cui segue una dettagliata analisi critica delle lezioni. In primo luogo, i curatori affrontano il tema del proemio, sia per quel che riguarda la sua problematica natura testuale e interpretativa che in merito alla funzione specifica che esso potrebbe avere avuto nel contesto generale dell’opera. Alla luce di ciò, vengono sintetizzati molti dei temi affrontati da Bernabé nel corso della prima lezione, mostrando efficacemente l’originalità della lettura proposta dall’autore.

L’introduzione presenta inoltre i temi della seconda e della terza lezione, dedicate entrambe alla linguistica. La sezione introduttiva si conclude con una breve sintesi dei quattordici interventi presenti nella parte finale dedicata al dibattito e con una nota biografica dell’autore.

La parte centrale del volume è dunque dedicata alle tre lezioni. Il primo saggio analizza il proemio come elemento chiave dell’intero poema, tenendo ben presente il contesto storico-letterario dell’epoca.[1] Per Bernabé, il proemio è «La parte del poema en que la presencia de la tradición se advierte de maniera mas intensa» (p. 49). L’autore non manca tuttavia di sottolineare gli elementi di originalità che pure sono presenti all’interno dell’opera parmenidea, come ad esempio l’assenza di una musa ispiratrice (presente invece nei poemi tradizionali).

Ciononostante, diversi elementi della tradizione restano presenti sullo sfondo del poema, come l’immagine pindarica del carro[2] e lo stesso tema del viaggio che il giovane intraprende volontariamente per giungere dalla dea.[3] Centrale è inoltre anche la figura di Dike, che Bernabé analizza attraverso lo studio dei termini πολύποινος e ἀμοιβούς, i quali si trovano anche in frammenti orfici. L’autore dimostra efficacemente come la presenza di Dike nella tradizione orfica sia il punto di partenza per una sua “reinterpretazione” all’interno del poema parmenideo.

Uno degli aspetti decisivi della prima lezione è la definizione della figura dea nel poema. Bernabé sottolinea subito come non vengano menzionati da Parmenide né il nome della dea, né il luogo in cui essa si trova, e neppure viene fornita una descrizione del suo aspetto. La dea viene semplicemente indicata «sin epítetos», in controtendenza con la tradizione epica, alla quale Parmenide sembra comunque, in generale, rifarsi.[4] Ciò è evidente, ad esempio, nel richiamo alle Eliadi, il cui incontro con il κοῦρος viene ricondotto da Bernabé alla figura di Fetonte.

Per quel che riguarda l’identità della dea, l’autore analizza le varie ipotesi interpretative che tendono, in sintesi, a identificarla con altre divinità o a ricondurla a una personificazione di concetti astratti. La conclusione di Bernabé si pone come un’alternativa a queste ipotesi, sostenendo che l’identità della dea viene volontariamente taciuta da Parmenide proprio per evitare una connotazione religiosa di tale figura. Ciononostante, la dea si mostra come nota al κοῦρος in quanto, come nota l’autore, ella gli si rivolge con un «salve» (χαῖρε) che suggerisce una condizione privilegiata del giovane, che ha dunque una «familiaridad con lo divino». Infine, Bernabé analizza l’etimologia di ἀλήθεια (non-dimenticato) non mancando di far notare come già prima di Parmenide il termine, con la medesima accezione, viene assunto unicamente in un contesto orfico.

Bernabé conclude affermando che il proemio non ha il ruolo di descrivere né un’esperienza reale, né onirica. Esso va inteso piuttosto come una strategia letteraria che descrive, sotto forma di rivelazione religiosa, l’accesso a una verità di tipo razionale. Il tema della rivelazione non è tuttavia una novità assoluta nell’ambito della tradizione, ma viene riproposto da Parmenide in maniera originale, volto cioè a descrivere il “dono” fornito al giovane iniziato di strumenti finalizzati a un’indagine filosofico-razionale.

Nella seconda lezione si assiste a un cambio di tema, in quanto viene presentata una “propuesta de lectura” da parte di Bernabé che consiste in un’interpretazione del poema parmenideo attraverso la prospettiva di un’analisi semantica di alcuni composti linguistici presenti nell’opera, analizzati nell’ottica filosofica di Parmenide. In primo luogo, Bernabé prende le mosse dal significato originario del termine essere. Egli lo affronta dapprima come proposizione basica (ciò che è, è) mostrando come l’intento di Parmenide fosse quello di sottolineare, mediante il ricorso a una tautologia radicale, il valore originario del concetto di essere. Bernabé distingue questo uso della proposizione basica dalla tautologia matematica, che impone invece una relazione di identità tra due elementi diversi. Segue l’analisi dell’essere come iperonimo, che si traduce nel fatto che l’essere sia l’iperonimo degli ἐόντα, che Bernabé traduce come il terminus technicus per designare le cose che esistono in generale. In seguito, l’autore si concentra sul concetto di negazione, individuando due principi generali: la negazione grammaticale (che egli suddivide in negazione con participio e con infinitiva) e la negazione proposizionale.

I paragrafi dal 6. al 13. sono dedicati a un’analisi del concetto di essere e all’impossibilità di attribuire un rapporto reciproco “simmetrico” tra la parola e la cosa. Fondamentale, a tal proposito, è l’analisi del concetto di non-essere che Bernabé riconduce alla parola nulla, ricostruita attraverso un’analisi etimologica la quale mostra come il suo significato originario sia quello della negazione numerale (nessuno = non-uno). Diversa è invece l’analisi dei termini τι e ἄλλο. Essi vengono definiti cuasisinónimos di τὸ ὄν, poiché essi designano una realtà determinata; tuttavia, poiché Parmenide ammette l’esistenza di un solo ente, tali termini assumono una connotazione problematica. I paragrafi 8. e 9. sono dedicati all’analisi dei termini che indicano un mutamento nello statuto ontologico dell’essere. Questo punto si rivela centrale nell’ottica della tesi di Bernabé, il quale dimostra come nel poema parmenideo tutte le espressioni che implicano mutamento siano incompatibili con la natura dell’essere che è, invece, assolutamente unico e immutabile. L’impossibilità di far corrispondere ai termini che indicano il divenire una realtà effettiva conduce l’autore alla conclusione secondo cui, in Parmenide, non si può stabilire un rapporto di reciprocità tra il nome e la cosa, cioè tra significante e significato.[5]

Bernabé dedica quindi il fondamentale paragrafo 12. ai cosiddetti σήματα dell’essere. L’autore classifica i σήματαattraverso una categorizzazione in termini positivi (+), che indicano cioè attributi dell’essere, e termini negativi[6] (-), che fanno invece riferimento a qualità che l’essere non possiede. Attraverso questa classificazione, l’autore conclude che i σήματα possono essere considerati come «calificaciones atribuibles o predicables de “ser” porque se definen semánticamente como compatibles con los términos en los que define “ser”» (p. 88). Bernabé termina la sezione giungendo alle seguenti conclusioni: 1) non tutti i termini descritti da Parmenide corrispondono a effettivi ambiti di realtà e 2) Parmenide costruisce il suo poema attraverso il ricorso a termini che anticipano la moderna riflessione sul linguaggio e che costituiscono una riflessione originale nell’ambito della linguistica greca arcaica.[7]

La terza lezione costituisce un approfondimento della possibilità di esprimere le caratteristiche dell’essere mediante il ricorso alla negazione. Bernabé propone subito una suddivisione degli ambiti di ricerca, specificando che la ricerca verterà 1) sui termini che indicano il possesso di una condizione straordinaria; 2) dequalificazione delle capacità degli uomini comuni e, infine, 3) una descrizione delle capacità che non sono accessibili agli umani.

In primo luogo, l’autore analizza la negazione applicata ai termini di natura straordinaria chiamando in causa prima i nomi applicati agli enti divini, come ad esempio ἀθάνατος, costruito con alpha privativa e indicante l’immortalità della divinità. Segue lo studio dei nomi circoscritti all’ambito naturale, tra cui troviamo ἄφατος, che si riferisce alla notte “che non può essere vista” e ἄκρητος, che fa riferimento al fuoco cosmico che è “non mescolato”.

Il secondo gruppo riguarda i termini volti a sottolineare i limiti delle capacità umane, che si trovano principalmente nel contesto della critica alle opinioni dei mortali. Ad esempio, il termine ἄκριτος indica gli uomini senza capacità di giudizio, mentre ἄσκοπος viene utilizzato da Parmenide per riferirsi agli occhi dei mortali, che sono “ciechi” nel senso che non hanno un obiettivo, cioè il cui pensiero non è orientato correttamente. Vale la pena, infine, menzionare il termine ἀμηχανίη che in Parmenide, secondo Bernabé, assume il carattere dell’incapacità, intesa come l’orientamento verso un pensiero non corrisponde cioè alla verità dell’essere. Infine, viene analizzato il terzo gruppo di termini, che indicano le realtà inaccessibili agli uomini. L’autore fa l’esempio dell’aggettivo ἀδαής che Parmenide utilizza per indicare la notte, la quale è, appunto “non conoscibile”, “oscura e impenetrabile”.

Bernabé conclude la terza lezione tirando le somme della propria analisi sui termini negativi attraverso un confronto tra il poema di Parmenide e l’utilizzo degli stessi termini nella tradizione arcaica precedente. L’autore conclude che il metodo linguistico attuato da Parmenide costituisce un nuovo approccio all’utilizzo di alcuni termini, i quali acquisiscono un significato originale e innovativo proprio alla luce di una Weltanschauung peculiare alla sua prospettiva filosofica.

La seconda parte del volume è occupata dai commenti critici di specialisti del pensiero eleatico, che prendono le mosse dalle lezioni stesse. Per quel che riguarda la prima lezione si segnalano, in particolare, i saggi di Bredlow e Daniele. Bredlow sottolinea come il proemio abbia una valenza più vicina alla cosmogonia descritta nella seconda parte del poema che non al sapere arcaico, mentre Daniele propone un ampio intervento che si conclude con la tesi secondo cui la componente filosofica non deve essere circoscritta a quella mistica, ma quest’ultima dovrebbe invece essere considerata come una componente “propedeutica” al prosieguo logico-razionale dell’opera.

Per quel che concerne i commenti alla seconda lezione fondamentale è l’intervento di Kraus, il quale discuti alcune delle tesi di Bernabé. In particolare, Kraus sottolinea come l’utilizzo dei σήματα al negativo sia, almeno apparentemente, in contraddizione con quanto Parmenide dice in altri punti del poema circa la possibilità di esprimere il non-essere. Kraus si propone di sciogliere l’aporia ipotizzando che i semi siano da intendersi come «negazioni doppie o negazioni di termini in senso negativo» (p. 188).

La terza lezione è stata infine analizzata da Santoro quale discussant. Lo studioso commenta l’intervento di Bernabé alla luce della moderna prospettiva filologica “del Duemila”. Particolarmente rilevante nell’ottica della discussione è il fatto che Santoro intende in maniera problematica il fatto che Parmenide faccia uso di aggettivi negativi per comunicare concetti che avrebbe potuto esprimere con la stessa efficacia in termini positivi (ad esempio “eterno” in luogo di “non nasce, né muore”).

Il volume si conclude con un’appendice di Bernabé e Julia Mendoza sull’uso dei termini “essere” e “non-essere” nel Rig Veda e in Parmenide. Lo studio si concentra principalmente sulle analogie e le differenze tra i due testi, con particolare attenzione all’uso sostantivato del participio neutro per esprimere concetti filosofici astratti.

Non si segnalano refusi nel testo.

Alla luce di quanto detto, l’opera di Bernabé si rivela un contributo decisivo nell’ambito degli studi sul pensiero eleatico. L’interpretazione del poema sullo sfondo della cultura arcaica e l’“esperimento” della linguistica con il relativo “dibattito” rendono il volume un testo originale nell’ambito degli studi parmenidei e che si candida ad aprire un filone di indagine proficuo e promettente, proprio in virtù del fatto che esso pone l’attenzione su un aspetto non preso ancora sufficientemente in esame dalla critica.

Indice

Introduzione
Sulla via di Parmenide: Alberto Bernabé tra linguistica, letteratura e filosofia (Bernardo
Berruecos Frank – Stefania Giombini
)  p.11

Le lezioni
Parménides: entre lingüística, literatura y filosofia (Alberto Bernabé)  p. 49
Parménides poeta: tradición e innovación en el proemio del poema p. 49
Parménides a través del prisma de la lingüística p. 72
Afirmar negando: compuestos negativos en Parménides p. 95
Bibliografia  p. 114

Il dibattito
Discours en creux et négation de la négation. Quelques objections à la “sémantique de la Disjontion” et au principe d’ “incompatibilité semique” (Magali Année)  p. 121
El poema de Parménides y la lírica arcaica. Notas a la primera Lección Eleática de A. Bernabé (Bernardo Berruecos Frank) p. 135
¿Espacio iniciático o espacio cosmológico? Una nota sobre el proemio de Parménides (Luis Andrés Bredlow) p. 146
Linguistica e scienza (Giovanni Casertano)  p. 153
Intervento di G. Cerri sulle Lezioni di Bernabé 2015 (Giovanni Cerri) p. 155
El insoportable peso de la negación. A propósito de la tercera Lección de A. Bernabé (Néstor-Luis Cordero) p. 157
Lampi sul proemio. Mito, simbolo e ritualità in Parmenide B 1 DK (Stefano Daniele) p. 161
Parmenide e la costruzione del linguaggio epistemico. Due domande a Bernabé (Nicola Stefano Galgano)  p. 173
Commento ad Alberto Bernabé, Parmenidés a través del prisma de la lingüística (Manfred Kraus)  p. 181
El “giro linguistico” de Parménides (Massimo Pulpito)  p. 189
Parmenide tra mito e filosofia (Sofia Ranzato)  p. 202
Senso e ragion d’essere del proemio nella cornice del poema (Livio Rossetti)  p. 207
Commento alla terza lezione di Alberto Bernabé (Fernando Santoro) p. 216
Respuestas (Alberto Bernabé) p. 221

Appendice
“Ser” y “no ser” en el RigVeda y en Parménides: usos diversos de un mismo recurso
(Alberto Bernabé – Julia Mendoza)  p. 253
Gli autori p. 269

Notes

[1] Critico sul leading role del proemio nell’ambito dell’intera opera di Parmenide è Rossetti, il quale tende anche a ricalibrare il legame del proemio con la tradizione orfica antica (pp. 207-215).

[2] Sul rapporto tra Pindaro e Parmenide si veda, in particolare, il commento di Berruecos (pp. 135-145).

[3] Questi elementi sono approfonditi dal commento di Ranzato (pp. 202-206).

[4] Si veda, a tal proposito, il commento di Pulpito, che propone di identificare la dea con Persefone (pp. 189-201).

[5] Rimando, a tal proposito, al commento di Galgano (pp. 173-180).

[6] Per un commento su questo aspetto rimando al commento di Kraus (pp. 187-188).

[7] L’elemento linguistico viene ritenuto prevalente rispetto a quello filosofico da Année nel suo commento (pp. 121-134).