BMCR 2021.08.35

“Mon cher Mithra …”: La correspondance entre Franz Cumont et Alfred Loisy, (2 vols.)

, , , "Mon cher Mithra ...": La correspondance entre Franz Cumont et Alfred Loisy, (2 vols.). Mémoires de l'Académie des inscriptions et belles-lettres, 55. Leuven: Peeters, 2019. Pp. lx, 448; pp. vi, 647. ISBN 9782877543743. €120,00.

‘Monumentale’ è l’aggettivo più adatto per descrivere l’edizione in due volumi in quarto, per un totale di circa 1160 pagine, del carteggio tra Franz Cumont (1868-1947) e Alfred Loisy (1857-1940), apparsa nei Mémoires de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres per le sapienti cure di Annelies Lannoy, Corinne Bonnet e Danny Praet. Questa edizione, che segue di alcuni anni la pubblicazione, nella medesima collana, del carteggio tra Franz Cumont e Mikhaïl Rostovtzeff (2007), precede di un solo anno l’uscita contemporanea di altri due lavori dedicati proprio a Loisy e Cumont. Mi riferisco alla monografia di Annelies Lannoy, Alfred Loisy and the Making of History of Religions (Berlin: De Gruyter, 2020), e a Doura-Europos, il volume che raccoglie 49 articoli di Cumont sugli scavi di Doura-Europos, edito nella Bibliotheca CumontianaScripta Minora (BICUMI 7) a cura di Danny Praet, Ted Kaizer e della stessa Lannoy (Turnhout: Brepols Publishers, 2020). L’imponente carteggio, che conta 409 lettere datate tra il maggio 1908 e il maggio 1940, è uno straordinario documento storico che testimonia l’intenso scambio intellettuale e l’amicizia tra due veri giganti della storia e della scienza  delle religioni a cavallo tra il XIX e il XX secolo: Cumont, il grande studioso belga del mitraismo, e Loisy, l’insigne biblista francese, scomunicato nel 1908 dal Sant’Uffizio per le sue tesi moderniste.La materia è ripartita in due volumi, dei quali il primo contiene l’Introduction (pp. i-lvi), la Note à l’usage des lecteurs (pp. lvii-lix) e Le dossier épistolaire (1908-1940) (pp. 1-448), il secondo i Commentaires (pp. 1-514) e gli Annexes (pp. 515-646), che comprendono a loro volta l’Appendice biographique (pp. 517-557), la Liste des références (pp. 559-622) e l’Index (pp. 623-646). L’ampia introduzione si articola in quattro sezioni (1. Le corpus épistolaire [pp. ii-vii]; 2. Deux parcours biographiques [pp. vii-xxii]; 3. Le contexte historique [pp. xxiii-xxxv]; 4. Les thématiques saillantes [pp. xxxv-lvi]), nelle quali, dopo la presentazione del dossier epistolare, si ricostruiscono attentamente i percorsi biografici di Cumont e Loisy, passando poi a inquadrare storicamente il carteggio – testimonianza di primo piano della crisi modernista e osservatorio privilegiato sulla prima guerra mondiale – e a enuclearne infine i temi principali (sacrifici e misteri, scienza delle religioni, scienza francese versus scienza tedesca, religione e religioni, contatti epistolari con altri studiosi).

A ragione gli editori osservano che lo stile dei due interlocutori è un riflesso delle loro diverse personalità e che le loro riflessioni sul mondo antico e tardoantico in particolare – storia delle religioni, paganesimo, cristianesimo, giudaismo, mazdeismo, la figura di Paolo, la storia dei testi evangelici, la formazione della Chiesa – si calano sempre nel presente, non solo quello dei dibattiti scientifici (il ruolo della scienza tedesca, il modernismo, i progressi dell’Altertumswissenschaft), ma anche quello dello scenario politico internazionale che vede la nascita dei regimi totalitari (pp. xviii-xix). Molto efficacemente si rimarca la diversità di approccio dei due studiosi alla religione e alle religioni (p. xlviii) e con pari incisività si coglie il contrasto fra la ricerca ‘ascetica’ di Loisy, abituato ad alzarsi all’alba con le sue galline a Ceffonds, e quella ‘dinamica’ di Cumont, assiduo frequentatore delle biblioteche e sempre al corrente delle recenti scoperte archeologiche e delle nuove pubblicazioni (p. lii). Data l’ampiezza del materiale qui pubblicato, non potrò che soffermarmi solo su alcuni passi delle lettere, che offrono lo spunto anche di integrazioni alle puntuali e ricche note del commento.

La lettera 71, datata 17 novembre 1912, mostra un Cumont entusiasta lettore di Choses passées, l’opera autobiografica che Loisy aveva cominciato a pubblicare in fascicoli dall’ottobre 1912 nella Correspondance de l’Union pour la Vérité (in seguito apparsa in volume nel 1913), nella quale ripercorreva le vicende della sua vita sino alla scomunica (I, p. 61). Nel rispondere a Loisy, che nella lettera 75 del 5 aprile 1913 gli aveva chiesto notizie sul precario stato di salute di Pio X (“l’Unique”), Cumont non è tenero nei confronti del pontefice che aveva condannato il modernismo: “Il a fait peser sur l’Église une domination si rude et a nui si aveuglément à la science, que son départ sera salué de toutes parts par un cri de soulagement” (I, p. 65 [lettera 76 del 14 aprile 1913]). Tranchant appare ancora il giudizio di Cumont, nella lettera 77 del 3 maggio 1913, sulla religiosità degli italiani: “Même quand il pratique, l’italien {ou du moins le romain} est médiocrement croyant: il voit de trop près le côté ‘boutique’ du Vatican et n’a pas un respect complet pour des paroles et des actes qu’il soupçonne être inspirés par des motifs très mesquins” (I, p. 67). Severo è poi il giudizio di Loisy su Benedetto XV nella lettera 169 del 16 settembre 1917: “Benoît XV n’est pas athée intellectuellement, il est sans humanité morale” (I, p. 177).

Di grande interesse è un passaggio ‘profetico’ della lettera 219 di Cumont, datata 8 gennaio 1920, nel quale gli editori vedono “une ouverture rare et significative sur la conception que se faisait Cumont de la religion” (II, p. 292): “Je suis persuadé qu’après la période purement ‘scientifique’ du xixe siècle nous allons à une époque où les maîtres de la pensée et les directeurs des peuples accorderont une part plus grande à cette foi qui repose, comme vous le montrez, sur le sentiment d’une communication entre notre sens intime et le grand mystère qui nous entoure” (I, p. 249). Commentando la lettera 227 di Cumont del 3 <agosto> 1920, “Je vous envoie en même temps que ces lignes un compte rendu que vient de faire Buonaiuti de vos ‘Mystères’” (I, p. 258), gli editori aggiungono: “Nous n’avons pas pu consulter cette publication, qui n’est pas mentionnée dans la bibliographie rédigée par M. Ravà, 2015” (II, p. 302). La recensione cui allude qui Cumont, e poi lo stesso Loisy nella sua risposta del 5 agosto, apparve nella rassegna “Cristianesimo antico”, pubblicata da Ernesto Buonaiuti (1881-1946) nella sezione “Bollettini” di Religio. Rassegna bimestrale di storia delle religioni 2 (1920) 62-86. Le pagine dedicate a Les mystères païens et le mystère chrétien (1919) sono 71-73, in cui non mancano le critiche di Buonaiuti al biblista francese. Significativa è l’affermazione di Loisy contenuta nella lettera 242, datata 6 agosto 1921: “Mon premier point est que la comparaison est la lumière de l’histoire, et mon second point, qu’il faut comparer et point confondre” (I, p. 280).

Trattando della lettera 338 di Loisy, datata 8 aprile 1929 (I, p. 379), gli editori passano sotto silenzio il problema, posto dallo stesso Loisy, di identificare l’autore e il giornale dove era uscito l’articolo italiano “In cerca di pace”, scritto in occasione del congedo di Loisy dal Collège de France. Essi si limitano infatti a citare (II, p. 437) un articolo di Andrée Viollis, al quale l’“article insensé” si riferiva. “In cerca di pace” apparve a firma di “dgs.” (don Giuseppe Scarpa) sul settimanale veneziano “La Settimana religiosa”, 24 marzo 1929, p. 2.[1] In questo articolo, Giuseppe Scarpa (1877-1968), arciprete del duomo di S. Mauro di Cavarzere (Chioggia) dal 1928 al 1968 ed esponente dell’antisemitismo cattolico,[2] si scagliava contro il più famoso dei modernisti: “L’iniqua attività senile profusa contro la Chiesa e quindi contro lo stesso Iddio che l’ha fondata, non gli permetterà di trovar la pace: ben altrimenti noi ci auguriamo che egli possa trovarla rientrando in se stesso, e guardando con infinito pianto, dall’abisso in cui è caduto, al cielo sereno che si stende sulla terra dove al Signore ha elevato i suoi primi canti e dove ha celebrato il suo primo sacrificio.”

Accesa è la discussione tra i due studiosi, nelle lettere 346-354 (datate fra il dicembre 1929 e il settembre 1930; I, pp. 385-395), sulla resurrezione di Cristo e la scoperta del sepolcro vuoto (invenzione nella tradizione cristiana per Loisy), originata dalla celebre “iscrizione di Nazareth”, la cui editio princeps fu pubblicata da Cumont,[3] il quale sostenne un legame dell’editto imperiale (un rescritto di Tiberio, secondo Cumont) con la narrazione di Matteo 28, 12-15, ipotesi oggi accantonata.[4] Nella lettera 367, scritta da Roma il 27 dicembre 1931, Cumont, riferendosi alla recente pubblicazione dei tre volumi di Mémoires pour servir à l’histoire religieuse de notre temps (1930-1931), osserva: “J’ai constaté ici que vos ‘Mémoires’ avaient forcé les portes même des convents. On les lit sans bienveillance mais on les lit chez les Dominicains et les Jésuites” (I, p. 406). Merita a questo proposito ricordare l’impressione che fece l’opera, appena uscita, sul teologo domenicano Yves Congar (1904-1995), che subì l’influsso dei modernisti.[5] “Mann muss den Muth zu irren haben” è il dictum attribuito da Cumont a Theodor Mommsen (1817-1903) nella lettera 368 del 19 luglio 1932 (I, p. 408), e giustamente gli editori richiamano nel loro commento il soggiorno di Cumont a Berlino e i suoi rapporti epistolari con Mommsen (II, p. 474). Ignoro la fonte di Cumont, che potrebbe citare da una conversazione con Mommsen o da una lettera di quest’ultimo, ma vorrei notare che l’espressione compare due volte quasi identica nell’orientalista berlinese Paul de Lagarde (1827-1891).[6]

Le trascrizioni delle lettere sono state realizzate “selon la méthode autoptique” (p. lvii) e il confronto con le illustrazioni presenti alle pp. 232-237 del I volume (riproduzioni degli originali della lettera 41 di Cumont [13 luglio 1911] e della lettera 52 di Loisy [1° gennaio 1912]) dimostra che gli editori sono stati sostanzialmente fedeli ai criteri adottati.[7] Degli Annexes, inseriti nel II volume, risulta senz’altro utile l’Appendice biographique, riservata alle persone menzionate più volte nel carteggio, mentre l’Index, che segue l’ampia bibliografia, avrebbe costituito un migliore strumento di consultazione, se la sezione “Termes” (II, pp. 632-640) fosse stata organizzata per voci e sottovoci.

In conclusione non possiamo che accogliere con entusiasmo la pubblicazione di questi due ponderosi e dotti volumi, curati in maniera quasi impeccabile,[8] che gettano nuova luce su Franz Cumont e Alfred Loisy, due protagonisti indiscussi della Repubblica internazionale delle lettere nella prima metà del XX secolo.

Notes

[1] Vd. Giovanni Vian, “La stampa cattolica e il fascismo a Venezia negli anni del consenso: ‘La Settimana religiosa’ (1929-1938)”, in Stampa cattolica e regime fascista (= Storia e problemi contemporanei 33) (Bologna: CLUEB, 2003) 85-115, in partic. 103-104.

[2] Vd. Raffaella Perin, “Antisemitismo nella stampa diocesana negli anni Trenta del Novecento”, Storicamente 7 (2011) art. 48 (Storicamente.org).

[3] “Un rescrit impérial sur la violation de sépultures”, Revue historique 163 (1930) 241-266.

[4] Cf. Gianfranco Purpura, “L’editto di Nazareth de violatione sepulchrorum”, Ivris Antiqvi Historia. An International Journal on Ancient Law 4 (2012) 133-157, in partic. 140-143.

[5] Cf. Journal d’un théologien, 1946-1956, édité et présenté par Étienne Fouilloux, avec la collaboration de Dominique Congar, André Duval et Bernard Montagnes (Paris: Les Éditions du Cerf, 2000) 24.

[6] Cf. “Die persischen glossen der alten”, in Gesammelte Abhandlungen (Leipzig: F. A. Brockhaus, 1866) 147-242 (168); “Uebersicht über die im Aramäischen, Arabischen und Hebräischen übliche Bildung der Nomina”, Abhandlungen der königlichen Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen 35 (1888) 1-240 (70).

[7] Le pochissime divergenze riguardano dettagli minimi, ad es., nella lettera 41 (I, p. 35) la parola “vin” (l. 7 dal basso) non è sottolineata come nell’originale (I, p. 234) e dopo “raisin” (l. 5 dal basso) viene posta una virgola che manca nell’autografo (ibid.).

[8] Mancano il commento alla lettera 136 di Loisy del 1° luglio 1916 (II, p. 172) e quello alla lettera 260 di Cumont dell’8 agosto <1922> (II, p. 348). Gli errori e i refusi non sono numerosi, cf. I, p. 63, l. 6: omesse le virgolette di chiusura dopo “passées”; I, p. 203, l. 7: ἄγραμματος [ἀγράμματος]; I, p. 238, l. 12 (cf. II, p. 274, l. 11): ὠδινοῦσα [ὠδίνουσα]; I, p. 272, l. 5: omesse le virgolette di chiusura alla fine della citazione di Hor. Ep. 1, 11, 27; I, p. 336, l. 7 (dal basso): κοινὴν[κοινήν]; I, p. 346, l. 6: aggiungere [sic] dopo “Una fede et una disciplina”; I, p. 393, l. 3 (dal basso): viveret [vivere] (a meno che “viveret” non si legga nel testo di Loisy e, in questo caso, occorrerebbe aggiungere [sic]); II, p. 274, l. 9: femme [belle-sœur].