BMCR 2021.05.18

Verborum violis multicoloribus: studi in onore di Giovanni Cupaiuolo

, , Verborum violis multicoloribus: studi in onore di Giovanni Cupaiuolo. Studi latini, n.s. 95. Napoli: Paolo Loffredo, 2019. Pp. 652. ISBN 9788832193251. €41,00.

Il volume qui recensito raccoglie i lavori che ventotto autorevoli studiosi hanno dedicato a Giovanni Cupaiuolo, al momento direttore della prestigiosa rivista “Bollettino di Studi Latini” e della collana “Studi Latini”, per celebrarne la feconda carriera, svoltasi interamente nell’ateneo di Messina. Molti dei lavori qui presentati riprendono temi e interessi di ricerca trattati dal Cupaiuolo nel corso della sua brillante carriera, quali, ad esempio, l’interesse per la Spätantike e, in particolare, per Sidonio Apollinare, per il teatro terenziano e per gli scritti senecani. Curatori del volume sono due allievi del dedicatario, Silvia Condorelli e Marco Onorato, i quali hanno voluto offrire un munus al proprio Maestro (p. 5).

Due elementi emergono fin da una prima lettura: il labor limae che contraddistingue ogni singolo contributo qui raccolto; la varietas di argomenti, di approcci e di metodologie che arricchisce il volume. Ad aprire il volume, a seguito della ricca e dettagliata Premessa a cura dei curatori, è un profilo di Giovanni Cupaiuolo tratteggiato da Giuseppe Giordano, il quale, dopo aver passato in rassegna le tappe principali dell’impegno profuso da Cupaiuolo a favore dell’Università di Messina, non ha mancato di sottolineare la profonda humanitas e la nobiltà d’animo che contraddistinguono il dedicatario del volume, doti che ho potuto personalmente constatare agli albori della mia carriera da studentessa universitaria.

Della memoria storica dell’Università degli studi di Napoli Federico II, cui Cupaiuolo deve la sua formazione, si occupa Giovanni Polara, il quale, offrendo una disanima dell’insegnamento del latino e del greco nell’ateneo federiciano di Napoli all’indomani della unità di Italia, propone un excursus che si protrae fino all’attualità.

Il primo contributo è quello di Giuseppe Aricò, che analizza un passo ovidiano (met. 14.158 s.) sottolineando la complessità del rapporto col modello virgiliano. A questi segue l’indagine di Antonella Borgo, che indaga come al book burning si accompagnassero atti di violenza fisica nei confronti degli autori di tali opere considerate diffamatorie. Sempre su Ovidio si concentrano Rosalba Dimundo e Paolo Esposito; questi, partendo dalla vexata quaestio delle cause che portarono all’esilio a Tomi (8 d.C.), sottolinea come Ovidio abbia beneficiato dell’esilio “divenendo emblema non più solo del poeta brillante e di successo, ma anche vittima del potere, che però non riesce ad annientarlo”. Dimundo illustra invece come Ovidio si appropri di stilemi epigrammatici, che confluiscono nella sua produzione elegiaca. Carmelo Salemme si concentra sulla seconda prova fornita da Lucrezio (2.1067-76) per dimostrare l’esistenza di mondi illimitati nell’universo. Arturo De Vivo mostra come, narrando l’episodio di Arminio, Tacito alluda alla morte sospetta di Germanico, ponendo in parallelo i due personaggi ed evidenziandone le analogie e differenze, al fine di instillare nel lettore il sospetto della colpevolezza di Tiberio. Di ampio respiro è l’intervento di Mario Lentano, che mostra come la declamazione minore 317 pseudo-quintilianea sia intessuta di topoi retorici e propone ai §§ 2-3 una punteggiatura diversa da quella fin qui adottata nelle edizioni, al fine di restituire la contradictio, “quasi una marca strutturale della declamazione di scuola” (p. 403).

Su Seneca, cui il dedicatario ha rivolto una monografia nel 1975[1] – tuttora una pietra miliare negli studi sul De ira – sono incentrati i lavori di Marco Onorato e di Flaviana Ficca. Quest’ultima si concentra sulla personificazione dell’ira, soffermandosi sulla citazione virgiliana, che riveste sempre una notevole importanza nell’opera senecana. Onorato rivolge invece la sua attenzione al primo coro dell’Hercules Furens, dimostrando, in maniera estremamente convincente, attraverso una fitta trama di rimandi intertestuali, la complessa assimilazione dell’Alcide al Sole, “con cui Ercole condivide una ricorsività cronotopica che lo innalza al di là della dimensione umana ma lo trasforma in una fonte di continui affanni per familiari e concittadini” (p. 438).

Al teatro arcaico sono dedicati i contributi di Gianna Petrone e Fabio Gasti. Gasti, sulle orme dell’interesse di Cupaiuolo per la fortuna di Terenzio, ricostruisce il Fortleben di un verso dell’Eunuchus, che in virtù della “sua funzione paremiologica” (p. 373), ebbe un’amplissima diffusione.[2] Petrone mostra come Plauto nei Captivi anticipi quegli ideali dell’humanitas che contraddistinguono il teatro terenziano. Un caso particolare di ricezione è analizzato da Giovanni Cipriani e Grazia Maria Masselli, i quali esaminano la ripresa del modello di Cesare da parte di Gadda, per il quale la grandiosità di Cesare offre lo spunto per riflettere, di contro, sulla negligenza dello Stato italiano nel primo conflitto mondiale. Graziana Brescia si concentra sulla ricezione dell’episodio dello stuprum di Lucrezia nel commento di Servio, il quale rilegge la vicenda risentendo degli influssi declamatori e retorici.

Circa metà dei contributi concerne la letteratura tardoantica, cui Giovanni Cupaiolo ha rivolto il proprio interesse ben prima del ricco fiorire di studi che si è registrato in anni recenti. In particolare, si segnalano alcuni contributi dedicati a Sidonio Apollinare, “un autore alla cui fortuna critica il dedicatario di questo volume ha dato notevole impulso, ispirandone lo studio ad allievi e colleghi” (p. 7). Tra i lavori rivolti all’Arverniate mi sembra particolarmente riuscito quello di Silvia Condorelli, la quale lumeggia efficacemente come l’epistula 9.11, presentata dal lionese come una excusatio, vada altresì letta come una oratio pro se. Sergio Foscarini dimostra come l’alta frequenza dei grecismi nell’opera di Sidonio non sia indice della frequentazione di fonti in lingua greca da parte dell’autore, bensì vada ricondotta alla massiccia presenza di essi nelle opere tecniche della lingua latina. Rosa Santoro mostra come la rappresentazione del cibo e il consumo dei pasti dia il destro a Sidonio, portavoce della nobiltà galloromana, per esprimere pregiudizi verso i barbari tacciati di rusticitas. Prendendo in esame alcuni componimenti sidoniani, Stefania Santelia ripercorre l’evoluzione delle terme che, complice l’affermarsi del cristianesimo, nella tarda antichità subiscono un netto ridimensionamento. Sidonio riscosse un grande successo in età moderna come si evince dal lavoro di Anita Di Stefano, la quale analizza la praefatio dell’edizione sidoniana di Giovan Battista Pio come elemento paratestuale, di cui l’elogio di Sidonio rappresenta un tentativo di omaggiare non solo il vescovo di Clermont, ma anche di celare le défaillances del commento stesso. Anche il contributo di Vincenzo Fera indaga un aspetto singolare della ricezione di Sidonio da parte di Petrarca, il quale omette l’invectiva in Sidonium dalla raccolta delle Familiari.

Sul versante della letteratura tardoantica si incentra anche il lavoro di Rosa Maria D’Angelo, che, analizzando due epigrammata bobiensia (59 e 60), nota come l’auctor abbia voluto mettere in luce due componenti della avaritia, strettamente correlate, come già aveva evidenziato Giovenale (14.107-118): quella legata alla cupiditas pecuniae retinendae e quella connessa alla cupiditas pecuniae adquirendae. Lietta De Salvo rilegge l’opera di Gregorio di Tours per ricostruire la realtà sociale della Gallia in età merovingia, in cui la figura del vescovo, ruolo ricoperto da Gregorio dal 573 al 594, assume un’importanza sempre maggiore. Lucietta Di Paola Lo Castro analizza alcune lettere di Ennodio, facendo luce sulla condizione femminile di fine V e inizio VI secolo attraverso un’analisi approfondita di due tipologie muliebri. Domenico Lassandro presenta la nuova edizione del De Nabuthae historia di Ambrogio, su cui sta lavorando insieme a Stefania Palumbo; dopo aver vagliato tutti i manoscritti al fine di una corretta constitutio textus, Lassandro dedica particolare attenzione all’attualità del messaggio che l’opera veicola. Teresa Piscitelli ricostruisce i tratti salienti del perduto Commento alla Genesi da parte di Origene sulla base di riferimenti al Commento enucleabili da altre opere di Origene e di frammenti riportati da altri autori, al fine di fornire un’interpretazione di initium, che, nella ricostruzione della studiosa, è identificabile con il greco ἀρχή. Partendo dall’analisi del poema didascalico Liber Apotheosis (617-630) di Prudenzio, Kurt Smolak analizza l’evoluzione del mito della vergine, reinterpretato in chiave cristiana, fino a giungere allo pseudo-ovidiano De vetula, la cui esegesi ha dato adito ad una ripresa di Ovidio nel XIII secolo come poeta cristiano.

Il volume, oltre ad omaggiare uno dei più illustri latinisti italiani, propone una serie interessantissima di saggi i cui contenuti, che si estendono nell’arco dell’intera latinità, offrono numerosi spunti di riflessione, che vanno dalla filologia alla linguistica, alla storia sociale, alla ricezione, alla cultura materiale. Quest’ultima è oggetto di indagine di Raffaella Tabacco, la quale, richiamandosi in apertura a due lavori di Cupaiuolo sulla cultura del cibo nel mondo antico, esperisce, attraverso un vaglio attento delle fonti, l’uso del riso nella cultura romana, che, se scarsamente utilizzato come alimento, trova ampio impiego come medicinale. Questo contributo conclude il volume. Sarebbe stato auspicabile fornire in calce un indice dei passi discussi all’interno del volume, nonché una bibliografia dei lavori di Cupaiuolo.[3]

Nel complesso, questa Festschrift rispecchia perfettamente la varietà di argomenti e l’ampio raggio di ricerca raggiunto dal dedicatario nell’arco della propria attività di ricerca. Per concludere, il volume è il giusto riconoscimento per un insigne studioso, che ha saputo incidere profondamente nell’ambito degli studi latini, per citare ancora la rivista da lui fondata congiuntamente a Fabio Cupaiuolo, e che ancor oggi dirige con cura e rigore scientifico insieme a Valeria Viparelli. La complessità e la varietà degli argomenti trattati, che si esprime in una pluralità di approcci e metodologie, perfettamente ricalca l’iter intellettuale percorso da Giovanni Cupaiuolo. Pertanto, questa ricca raccolta, magistralmente curata da Condorelli e Onorato, è il giusto munus di due illustri allievi al proprio Maestro, il cui acuminato sguardo filologico – ci auguriamo – continuerà a dare i suoi frutti ancora a lungo.

Indice dei contributi

S. Condorelli, M. Onorato, Premessa
V. Viparelli, Nota del condirettore della collana di Studi latini
G. Giordano, Giovanni Cupaiuolo e l’istituzione universitaria
G. Aricò, Due note sull’episodio ovidiano di Achemenide
A. Borgo, Forme di violenza sugli intellettuali nella Roma del primo impero: dall’esilio al book burning
G. Brescia, Uno schiavo etiope nel cubiculum di Lucrezia (Serv. ad Verg. Aen, 8.646)
G. Cipriani, G. M. Masselli, Gadda e il mito di Cesare. Rimpianto e disperazione di uno scrittore in armi
S. Condorelli, La lettera 9.11 di Sidonio Apollinare a Lupo di Troyes: luci e ombre di una excusatio epistolare
R. M. D’Angelo, Forme dell’elaborazione retorico-poetica di un dogma filosofico di carattere etico: il duplice senso di avaritia in Epigrr. Bob. 59-60
L. De Salvo, Le opere di Gregorio di Tours: lo specchio di una società
A. De Vivo, Il nemico, il veleno, il necrologio di Arminio (Tac. ann. 2.88)
R. Dimundo, Ov. am. 2.19 e gli impedimenta amoris
L. Di Paola Lo Castro, Feminae religiosae e viduae nella Corrispondenza di Ennodio
A. Di Stefano, Commentarios in Apollinarem petis. L’epistola prefatoria di Giovan Battista Pio all’edizione sidoniana del 1498
P. Esposito, L’esilio di Ovidio: un mistero irrisolto
V. Fera, Un fantasma petrarchesco: Sidonio il temerario
F. Ficca, Talem nobis iram figuremus: la personificazione di una passione ‘bestiale’ in Sen. ira 2.35.5
S. Foscarini, Una pista lessicale nella prosa di Sidonio Apollinare: i grecismi
F. Gasti, Fortuna e varia ricezione di un motto terenziano (eun. 41)
D. Lassandro, Per una nuova edizione del De Nabuthae historia di Ambrogio
M. Lentano, L’eccezione e la regola. Note sulla declamazione minore 317 dello pseudo-Quintiliano
M. Onorato, Modelli e funzioni dell’immaginario solare nel primo coro dell’Hercules furens di Seneca
G. Petrone, Lessico e drammaturgia della fallacia nei Captivi di Plauto
T. Piscitelli, In principio (Gen 1-2a) in Origine
G. Polara, Latino e greco nell’università di Napoli nel primo secolo dell’unità d’Italia
C. Salemme, Dal caso alla necessità: Lucr. 2.1067-76
S. Santelia, Intramontabili deliciae thermarum: versi dalla tarda antichità latina
R. Santoro, Dal mito al rito. Il pasto dell’‘altro’ tra tradizione letteraria e scienza medica
K. Smokak, Virgo caelestis. Ein Himmelsphänomen bei Prudentius und “Ovidius”
R. Tabacco, Il riso nelle fonti latine: cereale pregiato di importazione e di uso medico

Notes

[1] G. Cupaiuolo, Introduzione al De ira di Seneca, Napoli 1975.

[2] G. Cupaiuolo, L’ombra lunga di Terenzio, Napoli 2014; Cupaiuolo si è interessato molto al teatro di Terenzio: si consideri anche Id. Bibliografia terenziana, 1470-1983, Napoli 1984; Id. Terenzio: teatro e società, Napoli 1991.

[3] Pochi sono i refusi riscontrati: notariii in luogo di notarii (p. 159); topi in luogo di topoi (p. 389).