BMCR 2021.02.29

Figure ovidiane, controfigure rushdiane (Aracne, Niobe, Filomela,…)

, Figure ovidiane, controfigure rushdiane (Aracne, Niobe, Filomela,...). Biblioteca di Vichiana, 2. Pisa: Fabrizio Serra Editore, 2019. Pp. 180. ISBN 9788833151847. €38,00 (pb).

[L’autrice della recensione ha studiato presso l’Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’ (laurea e dottorato) e ha sostenuto un esame durante il percorso triennale con l’autore del libro recensito. L’autore del libro recensito non è stato referente, lettore o correlatore di tesi (triennale, magistrale o dottorale) dell’autrice. L’autrice è attualmente cultrice della materia presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Napoli ‘Federico II’, ma non ha né ha avuto rapporti di ricerca o istituzionali con l’autore del libro recensito.]

Docente presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, il prof. Crescenzo Formicola non necessita di presentazioni. La sua ultima monografia, Figure ovidiane, controfigure rushdiane, secondo volume edito da Fabrizio Serra nella pregevole ‘Biblioteca di Vichiana’, indaga il rapporto, tuttora perdurante, tra letteratura classica e contemporanea e ha il merito di porre il lettore di fronte ad un confronto – tanto inedito quanto interessante – tra il poderoso poema ovidiano e due romanzi rushdiani: The Satanic Verses e Shame. L’idea di fondo è che i testi, quello ovidiano e quelli rushdiani, abbiano tra loro una corrispondenza inattesa di immagini, di intenti, di spirito e che concorrano alla loro reciproca interpretazione mediante rapporti ipotestuali e ipertestuali: non solo Ovidio è eletto modello rushdiano e perciò utile a interpretare il pensiero e l’opera di Rushdie, ma lo stesso Rushdie offre spunti, suggestioni, interpretazioni del testo latino che contribuiscono a una sua più moderna – e postmoderna – lettura. Il sotteso messaggio ovidiano che la vita, il mondo, l’uomo siano sottoposti a continuo mutamento – da Rushdie empatizzato e riadattato al proprio contesto – rende Ovidio un poeta solo cronologicamente lontano ma esistenzialmente e spiritualmente vicino. Le metamorfosi rappresentano così il tempo che passa, i cambiamenti storici, politici, sociali, che entrambi gli autori vivono e interpretano attraverso il mito e la sua ricezione.

Seguono la ‘Premessa’ (p. 11) dodici agili ma densi capitoli. Nel primo, ‘Destini migranti e multiculturalismo. “Je suis Ovide”’ (pp. 12-19), Rushdie compara la propria condizione di emigrante, vissuto tra India e Pakistan, esiliato poi in Inghilterra e dimidiato tra cultura orientale d’origine e occidentale di adozione, all’esperienza e all’esilio di Ovidio, vissuto tra il I sec. a.C. e il I d.C., in una fase delicata della storia di Roma: tra il crollo della Repubblica e l’ascesa di Augusto. Entrambi sottomessi all’autorità politica e dissidenti dai consueti abiti mentali, Ovidio e Rushdie trasformano lo status di migrante, cui l’esperienza li ha destinati, in “nuovi modi di essere” (p. 17) forieri di prospettive rivoluzionarie che frantumano il reale e danno voce a una visione esistenziale “liquida”, priva di saldi princìpi. Così Rushdie elegge Ovidio a praeceptor e a modello letterario e, sebbene sia ispirato anche da Svetonio e da Virgilio, riflette, come lui, sul problema dell’identità che muta (‘Ispirazioni classiche’, pp. 20-24) e che continua a mutare.

Nel terzo capitolo, ‘La nuova aetas ovidiana: il ‘realismo magico’ ante e post litteram’ (pp. 25-29), l’A. avanza l’ipotesi che il realismo magico, cui aderisce Rushdie, abbia il suo precursore in Ovidio, il cui mondo di illusioni e di trasformazioni sarebbe stato assorbito dall’autore contemporaneo con l’obiettivo di rifugiarsi in un ‘altrove’ in cui tutto sia possibile, anche sovvertire l’ordine attuale. Comune ai due autori, infatti, è l’atmosfera surreale e il fatto che i personaggi – come Aracne di Ovidio o Chamcha in Rushdie – sfidino i propri limiti, sopravvivendo alla ὕβϱις con la trasformazione. Impavida, Aracne sfida Minerva nell’arte della tessitura, nel tentativo di rovesciare l’autorità divina. Sebbene sia punita con la trasformazione in ἀράχνη, la giovane rappresenta l’atto di ribellione, colei che rivendica la dignità della condizione mortale e si riappropria della propria identità, divenendo “simbolo dello statuto ideologico delle Metamorfosi” (p. 32, nel capitolo IV, ‘Shame The Satanic Verses Metamorphoses’, pp. 30-34).

Rushdie fa proprio l’insegnamento ovidiano, la cui anima perdura nel tempo, e fonde passato e presente rinnovandoli; rivisita, infatti, la cultura indiana mediante la lente occidentale e, fiero del suo nomadismo, capovolge la concezione androcentrica tipicamente pakistana a favore di una “occidentalizzazione della mentality” (p. 37), che difenda la ribellione di Anahita come Ovidio difende quella di Aracne (capitolo V, ‘Reminiscenze trasversali: la ribellione’, pp. 35-38).

Il VI capitolo (‘Il bene e il male in Ovidio e in Rushdie: Aracne e Minerva,’ pp. 39-56) entra nel vivo della trattazione. L’A. offre un’ampia analisi del mito di Aracne e confronta la sua tela con quella di Minerva: la prima raffigura scene di donne sottomesse allo strapotere degli dèi con chiari intenti critici; la seconda episodi di potere e di egemonia divina. E se da una parte Minerva diviene simbolo di forza e del dibattito politico, dall’altra Aracne è simbolo di ribellione e di coraggiosa opposizione.

Il rapporto con l’ipotesto ovidiano interpretato in questi termini caratterizza l’opera di Rushdie. La sfida di Aracne ispira quella dei suoi personaggi, così come il potere di Augusto sembra sovrapporsi a quello del Pakistan, e lo stesso Augusto sembra assimilarsi a Khomeini che condanna Rushdie. La lotta descritta da Ovidio tra Bene e Male, presentata da ambo le prospettive, dell’oppresso e dell’oppressore, coincide con quella descritta da Rushdie in The Satanic Verses, in cui le categorie di Bene e Male non sono mai nette o totali, essendo il “cómpito” dell’uomo quello di “restare eternamente nel dubbio di saper riconoscere il vero bene ed il vero male” (p. 55).

Segue la storia di Niobe (capitolo VII, ‘Il bene e il male in Ovidio e in Rushdie: Niobe e Latona’, pp. 57-65), che ostenta lo stesso orgoglio di Aracne e vanta di avere 14 figli, 7 volte quelli di Latona. Com’è giusto per chiunque commetta ὕβϱις, Niobe viene punita con la morte dei figli e con la metamorfosi in pietra. Allo stesso modo Bilquìs Hyder (in Shame) ‘uccide’ sua figlia, Sufiya, di cui rifiuta il genere, innescando in lei una tale vergogna che ne frena lo sviluppo mentale e ne alimenta la violenza fino all’omicidio.

Ultima la storia di Filomela (capitolo VIII, ‘Horror e tragedia: il mito di Procne Filomela Tereo’, pp. 66-86), vittima di stuprum e promotrice di vendetta. Filomela minaccia Tereo, suo cognato e stupratore, di rivelare l’accaduto a Procne, sua sorella e moglie di Tereo, ma soprattutto – ed è qui la novità ovidiana ricavata dalla lettura rushdiana – minaccia di sovvertire l’imperante ordine maschilista. Filomela a cui Tereo ha tagliato la lingua perché taccia, si ribella al sistema patriarcale e mediante una tela (come nel mito di Aracne) denuncia lo stuprum. Emerge sia nel mito di Filomela sia in quello di Aracne l’incapacità femminile di sottomettersi all’uomo, a cui di fatto la donna si oppone vendicandosi ed esibendo una, seppur occulta, parità di genere. Per vendicare Filomela Procne uccide suo figlio Iti, di cui offre le carni al marito perché se ne cibi inconsapevole; allo stesso modo Raza perde il primogenito maschio perché nato morto. In ambo i casi si interrompe la discendenza: la morte di Iti, le cui carni sono macabramente offerte al padre, mutila la stirpe di Tereo; allo stesso modo Raza non accetta di avere una figlia femmina perché causa di interruzione della discendenza maschile. La finale trasformazione di Procne e Filomela in uccelli (come descritto nel testo ovidiano) decreta la loro evasione da una realtà di sesso, violenza e vergogna. Varie allusioni rushdiane presenti in Shame traggono ispirazione dalla storia di Filomela, a cui Rushdie si rifà – anche se non direttamente – consapevole del messaggio universale di cui è portatrice, “fatte salve le debite diversità ambientali, ideologiche” (p. 84). Al di là dei singoli episodi e del loro svolgersi, emerge, infatti, sia dai racconti ovidiani che da quelli rushdiani, l’incapacità maschile di affrontare il sesso femminile e all’opposto la tenacia delle donne di opporsi al potere maschile, interrompendo il silenzio. Si riconferma, così, nel capitolo IX, ‘Arazzi e shawls: da Aracne a Filomela a Rani, da Rani a Filomela ad Aracne’ (pp. 87-91), l’anarchico ruolo delle donne che, pur private della parola, come Filomela, mediante stratagemmi (come il tessere un arazzo che rappresenti i soprusi) danno voce alla loro denuncia. L’espediente dell’arazzo ‘parlante’ descritto da Ovidio, sia per il mito di Aracne sia per quello di Filomela, è accolto anche da Rushdie, che fa ricamare a Rani la condanna di Iskander.

L’insegnamento ovidiano, che si fonda sul rovesciamento del mos, diviene storico e politico: “lo scontro tra civiltà […]”, scrive l’A., “segna una fase del percorso verso la civilizzazione; il prezzo che gli attori […] pagano è la loro trasformazione, la perdita dei loro connotati, la distruzione del loro autentico sé” (p. 90). Si chiarisce, dunque, il ruolo della metamorfosi e della lezione ovidiana. La sopravvivenza dei protagonisti, puniti con la ‘sola’ trasformazione, descrive la primaria legge della vita: il cambiamento a cui il mondo e l’uomo sono costantemente sottoposti nel tempo.

L’originalità ovidiana (capitolo X, ‘Ambivalenze semantiche, voci e controvoci: una sintesi’, pp. 92-101) sta quindi nel ruolo di co-protagonista concesso ai personaggi mortali e nella sfida che Aracne e Filomela lanciano alle divinità. La metamorfosi con cui è punita la loro ὕβϱις diviene metafora e simbolo delle trasformazioni storiche e antropologiche: Ovidio non può consentire che i mortali sovrastino gli dèi, ma può offrire, da praeceptor quale è, un insegnamento ai suoi lettori contemporanei e a quelli delle future generazioni: che il continuo mutamento è legge naturale che fa sì che nel tempo possano verificarsi anche esiti diversi.

Rushdie, come Ovidio, dà spazio alle donne e condanna la loro sottomissione al burqa mettendo in scena la vergogna della condizione femminile in Pakistan e delle reazioni (queste però secondo schemi occidentali) che attivano meccanismi di violenza. La Storia entra nella vita dei personaggi, il potere finisce con l’imporsi e col soggiogare chi gli si oppone, causando la perdita della speranza, di fronte alla quale la metamorfosi sembra sia l’unica alternativa possibile (capitolo XI, ‘Metamorfosi palingenesi ‘sperectomy’: Superi incriminati’, pp. 102-108). Il capitolo XII, ‘Défaillances divine, divine vendette, incertezze umane’ (pp. 109-114) passa rapidamente in rassegna altri miti ovidiani: quello di Dafne e di Apollo, Callisto e Giove e di Pigmalione e la ragazza d’avorio. Si conferma come e quanto il testo ovidiano risulti fortemente attuale: sia perché caleidoscopico e aperto a una libera e matura interpretazione del lettore, sia perché solidale con la sofferenza femminile (da Ovidio in fondo denunciata). Rushdie coglie l’indole ribelle del poeta latino e, seguendo il suo esempio, dà spazio alla denuncia politica, sociale, antropologica. Una denuncia oggi visibile proprio grazie – e questo l’A. lo ribadisce più volte – alla lettura dei romanzi rushdiani.

Chiude il volume la ‘Bibliografia’ (pp. 115-131), ampia, nutrita e ordinatamente divisa in due macrosezioni: ‘Ovidio: Edizioni e commenti’ (pp. 115-116); ‘Studi’ (pp. 117-128); e ‘Rushdie’, ripartita in ‘Narrativa’, ‘Collections’, ‘Interviews’, ‘Studi’, pp. 128-131. Seguono l’’Appendice I’ (p. 133), che include il testo latino degli episodi più citati: ‘Il mito di Aracne’; ‘Il mito di Niobe’; ‘Il mito di Procne, Filomela e Tereo’ (pp. 133-157), nonché la loro traduzione allestita ad hoc dall’A, e l’‘Appendice II’ (pp. 158-164) in cui l’A. presenta la complessa materia dei romanzi rushdiani indugiando rapidamente sul loro intreccio e sulle notizie biografiche dell’autore, utili a chiarire alcuni aspetti esegetici dei romanzi citati. Sarebbe stato, invero, più utile per il lettore che l’A. offrisse i dati contenuti nell’‘Appendice II’ dopo la ‘Premessa’ (o includendoli nella ‘Premessa’) facilitandogli il contatto con l’autore contemporaneo e con la ricostruzione delle trame rushdiane che, non di rado, lasciano il lettore disorientato e costretto a ripercorrere le pagine lette per ricostruire i destini dei personaggi citati. Chiude il volume l’‘Indice degli autori moderni’ (pp. 165-169) e l’‘Indice dei luoghi citati’ (pp. 171-174).

L’opera è destinata ad un pubblico esperto e non sempre è di facile fruizione, non per demerito dell’A. ma per la complessità dei contenuti. Risulta più scorrevole la seconda parte (dal capitolo VI in poi), in cui lo studio dei miti ovidiani è ampio e gradevole e in cui non mancano raffronti interessanti con il testo rushdiano. Appare però, a mio parere, visibile – anche dalla ripartizione bibliografica (pp. 115-128 dedicate alla bibliografia di Ovidio; pp. 128-131 a quella di Rushdie) – il divario tra l’ampiezza della trattazione ovidiana e quella rushdiana, i cui riferimenti sono talora inseriti nel testo in maniera periferica rispetto all’argomentazione su Ovidio, che risulta centrale. Ciò nonostante, la novità del tema, la perizia documentaria e l’alto livello della trattazione hanno il merito di offrire al lettore inedite prospettive di indagine e inoltre frequenti e interessanti spunti, che fanno dell’opera monografica un prodotto prezioso e di alto spessore.