Mai come in questi anni la tragica storia d’amore di Ero e Leandro, nota sin dall’antichità per due epistole ovidiane (Her.18-19) e l’epillio Τὰ καθ᾽ Ἡρὼ καὶ Λέανδρον di Museo (V sec. d.C.), ha attirato l’interesse degli studiosi. Dopo la monografia sulla fortuna della leggenda nell’antichità e nel medioevo pubblicata da Silvia Montiglio, ad opera di cui sta per uscire anche una nuova traduzione inglese (con testo greco a fronte) del poemetto di Museo,[1] ecco apparire, nella serie dei Brill’s Companions to Classical Reception, il denso volume di Brian Murdoch. In questo libro, che è il risultato di una lunga consuetudine dell’autore con il tema trattato,[2] Murdoch, prendendo le mosse dall’indagine di Max Hermann Jellinek,[3] ha voluto esplorare, in un continuum senza cesure cronologiche e limitazioni di generi artistici, letterari e musicali, la straordinaria fortuna della leggenda dei due amanti separati dalle opposte rive dell’Ellesponto. Se lo scopo dichiarato nella prefazione era dimostrare “the lasting nature of the tale by the way in which it continues as a theme right down to the present, as comedy as well as tragedy” (p. ix), questo è stato ampiamente raggiunto. Tuttavia, l’abbondanza delle risorse digitali e la miriade di informazioni reperite da Murdoch nel mare di Google (pp. ix-x) non sempre lo sottraggono al rischio di trovarsi tra Scilla e Cariddi in questa vera summa della ricezione della leggenda di Ero e Leandro. Da una parte, infatti, la disponibilità di edizioni online lo porta a utilizzarle senza verificare il testo alla luce delle moderne edizioni critiche,[4] dall’altra, il desiderio di elencare tutto (o quasi) sulla fortuna della leggenda lo spinge spesso a catalogare e a sperimentare la vertigine della lista.
Nel capitolo 1, “Hero and Leander: Constants and Questions”, Murdoch si sofferma sulla molteplicità delle versioni e interpretazioni della leggenda nel corso dei secoli. La storia popolare giapponese “At Yaidzu” (pp. 16-17), raccolta da Patrick Lafcadio Hearn nel suo In Ghostly Japan (1899), riecheggia con una inversione dei ruoli la vicenda di Ero e Leandro. Qui è infatti la figlia di un pescatore che si reca a nuoto dal suo amante ad Ajiro e trova la morte durante una traversata notturna.[5] Suggestiva è l’ipotesi (p. 17 n. 20) che dietro Ajiro si celi un’eco di Abido (Abydos), la città dove viveva Leandro, ma non escluderei che sia anche il nome greco Ἡρώ (pronuncia itacistica “Iró”) ad essere echeggiato nel toponimo giapponese 網代 (Ajiro). L’autore liquida sbrigativamente (p. 18 n. 23) l’ipotesi di Montiglio, secondo la quale già il Iudicium coci et pistoris iudice Vulcano di Vespa (Anth. Lat. 199 R. = 190 Sh. B.), databile al IV-V sec. d.C., conterrebbe un’allusione comica alla leggenda (v. 89 Orpheu, tu tolle chordas, Leandre, lacertos). Che il Iudicium sia però tutt’altro che “an obscure and not very good work” e che l’allusione a Leandro rientri in un gioco parodico che coinvolge diversi personaggi mitici, è stato illustrato di recente.[6]
Il capitolo 2, “The Classical World”, è uno dei più brevi e forse il meno congeniale all’autore. Si limita a trattare sinteticamente le fonti del mito nell’antichità classica, partendo da Verg. Georg. 3.258-263 e passando poi agli epigrammi di Marziale (de spectaculis 25, 25b;[7] 14, 181), alle Heroides di Ovidio (18-19) e all’epillio di Museo.[8] Condivisibile la conclusione di Murdoch (p. 45), secondo cui i tre principali modelli classici (Ovidio, Museo e Marziale) hanno influenzato in gran parte la successiva ricezione letteraria della leggenda anche in riferimento alla forma e allo stile.
Il capitolo 3, “Ovid (Often) Moralised: the Middle Ages”, indaga la moralizzazione (e cristianizzazione) della leggenda nei testi medievali, un aspetto della ricezione del mito che ha il suo archetipo nella Fabula Ero et Leandri (Mit. III, 4) di Fabio Planciade Fulgenzio (V-VI sec. d.C.).[9] Riferendosi all’Ovidius moralizatus di Pierre Bersuire (Petrus Berchorius), Murdoch sostiene che quest’opera “does not cover the tale” (p. 51 n. 14), ma questo è inesatto.[10] A p. 69 la citazione della Leandreide (ca. 1375-1380) dalla raccolta di Carlo del Balzo (1889), dove il componimento figurava anonimo, è inaccurata (ad esempio, si deve leggere “promictendo” e non “promittende”), ma andava in ogni caso utilizzata l’edizione critica di Emilio Lippi, che ha pubblicato il testo col titolo Leandreride e l’attribuzione a Giovanni Girolamo Nadal.[11]Per La Istòria de Leànder y Hero (ca. 1460) di Joan Roís de Corella (pp. 77-78), cf. Bienvenido Morros Mestres, “The Story of Hero and Leander: A Possible Unknown Source of Celestina”, in Enrique Fernandez (ed.), A Companion to Celestina (Leiden-Boston: Brill, 2017) 141-158 (in particolare 152-158).
Nel capitolo 4, “Heroical Poems: the Renaissance and After”, il più lungo del volume, Murdoch si destreggia abilmente fra le numerose traduzioni e parafrasi delle Heroides di Ovidio e dell’epillio di Museo (pp. 83-91)[12] e le indipendenti rielaborazioni poetiche del mito (pp. 91-136) che sono apparse fra il Rinascimento e la fine del XVIII secolo in Europa.
Il capitolo 5, “Ballads, Folk and Literary”, è dedicato alle ballate popolari e letterarie composte sul tema a partire, rispettivamente, dal XVII e dal XVIII secolo. Fra le prime, nelle quali si nota la tendenza a modificare i nomi e i luoghi della leggenda nota, ritroviamo la ballata popolare tedesca “Königskinder”, la scozzese “Clyde Water”, l’armena “Akhtamar” (1891) di Hovhannes Tumanyan e la canzone pop americana “Running Bear” (1958 o 1959) di Jiles Perry Richardson. Fra le seconde, che assumono in taluni casi la forma di un poema narrativo, sono da ricordare almeno quelle di Friedrich Schiller (1801), Leigh Hunt (1819, 1832), Thomas Hood (1827), Carl Robert Zache (1884) e Brookes More (1926).
Nel capitolo 6, “Focal Points: Reflections in the Lyric”, la presentazione delle versioni poetiche della leggenda obbedisce a un criterio selettivo, data l’abbondanza e varietà dei componimenti lirici che datano a partire dal XV secolo. Dopo l’iniziale selezione di epigrammi ed epitafi (pp. 176-180), Murdoch dedica spazio (pp. 180-188) al sonetto “Pasando el mar Leandro el animoso” di Garcilaso de la Vega, focalizzato sulla morte di Leandro, e la cui influenza non si è limitata all’area spagnola e portoghese, ma si è estesa a quella anglosassone con le poesie di Robert Herrick, John Keats, Thomas Moore e A.E. Housman.[13] Fra gli altri adattamenti poetici del mito si possono citare “Hero” di Friedrich Hölderlin e “Written after Swimming from Sestos to Abydos” di Lord Byron, da lui composto qualche giorno dopo la celebre traversata a nuoto da Sesto ad Abido (3 maggio 1810).[14]
Il capitolo 7, “The Challenge of Drama”, tratta di otto versioni drammatiche del mito che precedono il dramma di Grillparzer e sono apparse fra il sedicesimo e l’inizio del diciannovesimo secolo in varie parti di Europa. Tra queste, il dramma Hero und Leandros (1822) di Alois Joseph Büssel necessita di essere considerato autonomamente “without reference to Grillparzer” (p. 234).
Gran parte del capitolo 8, “The Waves of Sea and Love: Grillparzer and After”, è dedicata al dramma Des Meeres und der Liebe Wellen (1831) di Franz Grillparzer, di cui vengono citati numerosi passaggi (pp. 236-259). Successivamente (pp. 263-270) Murdoch si sofferma ad analizzare tre opere che sembrano derivare dal testo di Grillparzer: il dramma poetico-musicale Hero and Leander (1890-1892) di Harold Kyrle Money Bellew, Hero and Leander. A Tragedy (1908) di Martin Schütze e il film Ero e Leandro (1910) di Arturo Ambrosio.
Il capitolo 9, “Choice Pieces of Drollery: the Burlesques”, esamina alcune delle numerose versioni comiche ispirate dal mito di Ero e Leandro, iniziando dal burlesque in prosa contenuto nei Lenten Stuffe (1599) di Thomas Nashe e finendo con Die Sage von Hero und Leander oder “Falsche Sparsamkeit” (metà del XX sec.) di Heinz Erhardt, che è nel medesimo tempo “a parody of Ovid, as well as a burlesque of the constants in the story” (p. 304). Fra i tanti esempi di riscrittura in chiave burlesque della storia si possono menzionare Romance/Poema burlesca (1589, 1610) di Luis de Góngora y Argote, Fábula d’Hero y Lleandro (metà del XVII sec.?) di Antón González Reguera (Antón de Marirreguera)[15] e The Loves of Hero and Leander, a Mock Poem (1651, 1653) di James Smith.[16]
Nel capitolo 10, “Set to Music: Cantatas, Operas, and Musical Plays”, Murdoch è alle prese con l’abbondante ed eterogeneo materiale musicale accumulatosi nell’arco di quattro secoli, dal recitativo Hero’s Complaint to Leander (1628) di Nicholas Lanier sino alla rapsodia Hero und Leander (2003) di Dmitri Terzakis. La cantata di Händel Ero e Leandro(“Qual ti riveggio, oh Dio”; HWV 150), composta nel 1707 per il cardinale Pietro Ottoboni (p. 314), potrebbe riflettere – Murdoch non vi allude – una cristianizzazione del mito.[17]
Nel capitolo 11, “Modern Experiments”, spiccano le sperimentazioni dello scrittore serbo Milorad Pavić, autore del romanzo The Inner Side of the Wind, or the Novel of Hero and Leander (1993 [1991]), e della giornalista e fumettista tedesca Anke Feuchtenberger, che ha illustrato la storia nel suo Hero und Leander (2004). Nonostante le grandi differenze che separano queste due opere, entrambe si ispirano sia a Museo che a Ovidio (p. 363).
Dopo il breve capitolo 12, “Some Shallow Story of Deep Love?”, che contiene una plausibile giustificazione dell’origine della leggenda (p. 373), la ricca bibliografia e un indice selettivo dei nomi degli autori principali e dei titoli dei testi citati chiudono un volume che, tralasciando alcune imprecisioni e sviste,[18] è destinato a restare uno strumento indispensabile per quanti continueranno ad occuparsi della leggenda di Ero e Leandro.
Notes
[1] The Myth of Hero and Leander. The History and Reception of an Enduring Greek Legend (London-New York: I.B. Tauris, 2018), cf. la rec. di Richard F. Hardin su BMCR 2018.07.18 (http://bmcr.brynmawr.edu/2018/2018-07-18.html). Musaeus’ Hero and Leander (London-New York: Routledge, forthcoming).
[2] “Das tragische Netz in Grillparzers Des Meeres und der Liebe Wellen”, Études germaniques 27 (1972) 232-242; “Die Bearbeitungen des Hero-und-Leander-Stoffes. Zur literarischen Ovid-Rezeption im späten Mittelalter”, Studi medievali 18 (1977) 231-247.
[3] Die Sage von Hero und Leander in der Dichtung (Berlin: Speyer und Peters, 1890).
[4] Questo vale anche per la pregevole, ma pur sempre datata, raccolta di fonti antiche in Hans Färber, Hero und Leander. Musaios und die weiteren antiken Zeugnisse (München: Heimeran, 1961), che l’autore utilizza per le sue citazioni.
[5] Cf. Robert L. Gale, A Lafcadio Hearn Companion (Westport, CT-London: Greenwood Press, 2002) 102-103.
[6] Emanuele Berti, “Una declamazione per burla. Il Iudicium coci et pistoris di Vespa (Anth. Lat. 199 R. = 190 Shackleton Bailey)”, Maia 70 (2018) 163-182 (177 e n. 78).
[7] Cf. Roland Béhar, “Cum peteret dulces audax Leandros amores… Lectures européennes d’une épigramme de Martial, entre 1530 et 1550”, in Isabelle Garnier et al. (edd.), Paroles dégelées. Propos de l’Atelier xvie siècle (Paris: Classiques Garnier, 2016) 29-50.
[8] Vd. Domenico Accorinti, “Musaios II”, in Reallexikon für Antike und Christentum 25 (2013) 162-171; Nicola Nina Dümmler, “Musaeus, Hero and Leander: Between Epic and Novel”, in Manuel Baumbach-Silvio Bär (edd.), Brill’s Companion to Greek and Latin Epyllion and Its Reception(Leiden-Boston: Brill, 2012) 411-446.
[9] Domenico Accorinti, “Cave amorem: letture allegoriche e morali del mito di Ero e Leandro”, in Delphine Lauritzen-Michel Tardieu (edd.), Le voyage des légendes. Hommages à Pierre Chuvin (Paris: Éditions du CNR, 2013) 383-401 (https://books.openedition.org/editionscnrs/23968).
[10] Vd. Fausto Ghisalberti, L’“Ovidius moralizatus” di Pierre Bersuire (Roma: Cuggiani, 1933) 117-118 (f. 44r-v); Accorinti, “Cave amorem”, 397-398.
[11] Emilio Lippi (a cura di), Giovanni Girolamo Nadal, Leandreride (Padova: Antenore, 1996) 11 (la citazione in questione).
[12] Per la traduzione francese di Clément Marot (1541), vd. Guillaume Berthon, “Aux marges du poème de Musée traduit par Marot. Mettre en livre une traduction au début des années 1540”, in Isabelle Garnier et al. (edd.), Paroles dégelées, 51-67.
[13] Sulla poesia “Tarry, delight, so seldom met” di A.E. Housman (pp. 187-188) cf. Carol Efrati, The Road of Danger, Guilt, and Shame: The Lonely Way of A.E. Housman (Madison-Teaneck, NJ-London: Associated University Press, 2002) 201-223.
[14] Vd. Thomas Schmidt, “George Gordon Byron. Written after Swimming from Sestos to Abydos”, in Günter Zapf-Hubert Butzer (edd.), Große Werke der Literatur. Band XIII. Eine Ringvorlesung an der Universität Augsburg 2012/2013 (Tübingen: Francke, 2015) 91-114.
[15] Cf. Ramiro González Delgado, “El mito de Hero y Leandro en las letras asturianas”, in José María Maestre Maestre et al. (edd.), Humanismo y pervivencia del mundo clásico. Homenaje al Profesor Antonio Fontán, III.4 (Alcañiz-Madrid: Ediciones del Laberinto, 2002) 1843-1854.
[16] Vd. Timothy Raylor, Cavaliers, Clubs, and Literary Culture: Sir John Mennes, James Smith, and the Order of the Fancy (Newark: University of Delaware Press; London-Toronto: Associated University Presses, 1994), cap. 9 (“James Smith and the Mock-Poem. The Loves of Hero and Leander”).
[17] Accorinti, “Cave amorem”, 399-400.
[18] L’errata corrige sarebbe lungo e mi limito a una selezione: p. 10 n. 8 (l. 4): Munetanu [Munteanu]; p. 29 n. 7 (l. 9): Herman [Hermann]; p. 40 n. 17 (l. 11): Panoplis [Panopolis]; p. 48 n. 4 (l. 1): trescento [trecentesco]; p. 86 n. 11 (l. 2): autore [autori]; p. 122, l. 10: eine [eure]; p. 173, l. 2 (cf. p. 198, l. 16): étiens [éteins]; p. 192, l. 19: Hölderin [Hölderlin]; p. 308 n. 4 (l. 1): Corelli Paracini [Coralli Peracini]; p. 321, l. 15: Siempre [Sempre]; p. 321, l. 6 (dal basso): lu [in]; p. 325 n. 26 (l. 1): Allaci [Allacci]; p. 325 n. 26 (l. 2): il [le]; p. 327, l. 16: amor [amar]; p. 327, l. 17: I do not want love, give me peace [I do not want to love, give yourself peace].