BMCR 2016.05.34

Public Spending and Democracy in Classical Athens. Ashley and Peter Larkin series in Greek and Roman culture

, Public Spending and Democracy in Classical Athens. Ashley and Peter Larkin series in Greek and Roman culture. Austin: University of Texas Press, 2015. xvi, 191. ISBN 9780292772045. $50.00.

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Negli ultimi tempi si è assistito a un intensificarsi delle ricerche sulla finanza antica, in particolare su quella ateniese. Il campo d’indagine si è sviluppato in varie direzioni. Soltanto per dare un’idea, si possono ricordare i saggi sulla influenza dei fattori finanziari nella mentalità antica, specie nell’Atene del V secolo; gli studi sulle conseguenze della pratica contabile; le sintesi che vanno dai testi specialistici sull’Attica, sino ad autentici trattati, come l’ultimo a firma di Migeotte. Sarebbe intrigante interrogarsi sulle ragioni dell’emergenza di un simile interesse, anche se forse non è casuale il riflesso delle vicende contemporanee, con le ondate di crisi finanziarie; così potrebbe non essere casuale la sincronia fra la crisi del ’29 e l’uscita del fortunato volume di Meritt, Athenian Financial Documents of the Fifth Century, nel 1932.1

Public Spending and Democracy si inserisce dunque in un filone di studi assai nutrito. David Pritchard, sostenitore dell’incidenza della guerra sulla democrazia ateniese, nei suoi risvolti storici, politici e culturali, mette sotto esame il profilo finanziario dell’argomento, proponendo una revisione del dogma che Boeckh ha trasmesso alla scienza antichistica, secondo cui gli Ateniesi avrebbero sperperato le loro sostanze in feste e processioni e per il funzionamento della democrazia, sistema reso costoso dall’introduzione degli stipendi erogati a una schiera sempre più numerosa di magistrati e altri addetti all’apparato della polis.2

Il libro è organizzato con chiarezza e l’autore mostra padronanza di fonti disparate, dalle epigrafi, come—per fare solo un esempio—la stele dei logisti, all’oratoria di IV secolo, sino alla Athenaion Politeia di scuola aristotelica. Il primo capitolo ‘Public-Spending Debates’ (pp. 2-26) funge da premessa: stabilisce i termini del dibattito; delimita il periodo preso in esame; indica la documentazione e ne evidenzia i limiti; detta dei cenni sul sistema politico e gestionale ateniese nel V e IV secolo. L’obiettivo non è tuttavia quello di indagare le leggi e/o le regole sottese alla spesa pubblica (traduzione forse modernizzante di ‘public spending’), ma è invece quello di quantificare la spesa in tre settori, quelli delle festività religiose; dell’amministrazione democratica e, in particolare, degli stipendi ( misthoi); della guerra.3

Obbedendo al disegno annunciato, seguono tre capitoli che, nonostante l’apparente aridità della materia, riescono di facile lettura e sono argomentati in maniera brillante. Nel secondo capitolo, ‘The Cost of Festivals’ (pp. 27-51), partendo dal calcolo dei costi delle Grandi Dionisie e delle Grandi Panatenee si giunge ad una stima annua di c. 100 talenti.4 Nel terzo capitolo si prende in considerazione ‘The Cost of Democracy’ (pp. 52-90), con un calcolo degli stipendi per giudici, consiglieri, cittadini all’assemblea, magistrati, sottosegretari, schiavi pubblici. L’autore prende posizione su varie questioni, non ultime quelle relative al pagamento dei misthoi, nel V e nel IV secolo, e discetta intorno alla interdipendenza fra regime democratico, misthophoria e fondi raccolti da prelievi fiscali ‘imperiali’. Il nodo concettuale sciolto in queste pagine risulta cruciale non solo nell’organizzazione schematica del lavoro di Pritchard, ma anche nella sua struttura dialettica: il ridimensionamento delle erogazioni per l’amministrazione della polis e di quelle civili è il preludio alla presentazione delle spese militari.

Nel capitolo intitolato ‘The Cost of the War’ (pp. 91-113) si dipana la problematica delle spese militari, mettendo a confronto dati preservati in vari documenti, anzitutto nelle iscrizioni pubbliche che promanano dalla burocrazia della lega delio-attica e negli atti amministrativi ateniesi di epoca ‘imperiale’. Per fare un esempio, attraverso un esame della stele dei logisti ( IG I 3 369), che registra i debiti contratti dalla polis nei confronti dei tesori sacri e gli interessi maturati nel ciclo panatenaico 426/5-423/2, e l’incrocio con dati preservati in epigrafi contemporanee, come il decreto inerente la revisione del phoros del 425/4 ( IG I 3 71), si giunge a dimostrare come sia plausibile, per il periodo intercorso fra gli anni 433/2 e 423/2, un gettito complessivo di circa 16.000 talenti e una spesa media annua di 1.400 talenti. Si mette così in luce come il costo astronomico della guerra archidamica rappresenti un punto di svolta nella storia finanziaria; come esso sia correlato a forme di incrudimento della tassazione; come esso rappresenti un ‘picco statistico’ nell’indagine sulla materia. Nelle due tabelle esplicative (pp. 97 e 111) è evidenziato che alla spesa media annuale di guerra negli anni ’20 del V secolo di 1.485 talenti, si contrapponga quella negli anni ’70 del IV secolo di 522 talenti: si intuisce così sia l’andamento della parabola delle disponibilità finanziarie sia l’incommensurabilità fra le somme calcolate nelle pagine precedenti e il denaro impegnato in tempo di guerra.

Le conclusioni ‘Public-Spending Priorities’ (pp. 114-120) sono brevi e incisive; sunteggiano il contenuto già chiaro della monografia: si ribadisce la confutazione dell’assunto di Boeckh; si ammette che fosse generoso il finanziamento di feste e attività politica, ma allo stesso tempo che la disponibilità per le attività belliche sorpassasse di gran lunga quella per gli altri due capitoli. Rilevante è il termine priority : il demos ateniese evidentemente percepiva le spese di guerra come una priorità, anche rispetto ad altre sfere, come quella religiosa. La guerra avrebbe infatti consentito ai cittadini di mostrare la loro arete, ottenere degli onori e mietere dei meriti, spesso posti al centro della reputazione e citati in tribunale per suscitare la charis dei giurati. Il concetto di priority è uno dei più originali di tutto il volume, soprattutto sotto il profilo della critica storica, nella misura in cui esso racchiude in sintesi una concezione pragmatica e lineare della macchina istituzionale ateniese, che si muoverebbe ottemperando a una visione utilitaristica, coerente e razionale. L’elaborazione del concetto è suppletiva della comprensione delle modalità e dei contesti decisionali specifici, da studiare caso per caso nella concreta prassi assembleare, inevitabile nodo da sciogliere per chi voglia difendere una tesi come quella del Pritchard.

Si tratta di un testo denso e di personalità. Alla fine della lettura di un saggio scritto con il pregio della precisione e della concisione, il lettore prova soddisfazione. Pur con tutte le difficoltà di una quantificazione basata su dati incompleti, e anche tenendo conto che il corpus epigrafico del V secolo è soggetto a una rinnovata stagione di studio e di revisione, l’evidenza di una preponderanza delle spese militari nell’Atene di V e IV secolo sembra acquisita e si rivela un dato solido su cui ragionare. Al di là della revisione dello studio del Boeckh, si può leggere il saggio sullo sfondo di una letteratura che indaga in maniera sempre più consapevole il lato oscuro della democrazia, e in specie del regime ateniese. Il punto di vista, in questo come in altri casi, risulta tuttavia decisivo. Alcuni, da ‘burocrati’ o ‘formalisti’, potrebbero spingersi a riflettere che la differenza tra democrazia e altri regimi non sia nelle sole scelte di utilizzo dei fondi, ma anche nella prassi decisionale relativa alla destinazione del denaro disponibile e nel protocollo attraverso il quale si effettuino e si rendicontino le spese e si verifichino poi i documenti contabili. Altri, da ‘pragmatici’, potrebbero chiedersi se le spese di guerra siano veramente tali, o tali divengano solo quando si è persa una guerra. Altri, infine, da ‘psicologi della società’ e ‘studiosi delle emozioni’, potrebbero interrogarsi sulla caratura emozionale delle decisioni finanziarie e delle decisioni di guerra assunte dall’assemblea ateniese. Ad ogni modo, l’autore ha raggiunto lo scopo, annunciato in apertura del libro, di sollevare un dibattito al quale non mancheranno certo di giungere altri contributi. ​

Notes

1. Sul pensiero finanziario: S. Todd Lowry, The Archaeology of Economic Ideas. The Classical Greek Tradition, Durham 1987; R. Descat, “Aux origines de l’oikonomia grecque”, QUCC 28, 1988, 103-119; M. Faraguna, “Alle origini dell’ oikonomia : dall’Anonimo di Giamblico ad Aristotele”, RendLinc 9.5.5, 1994, 551-589. Sulla pratica finanziaria: J. Davies, “Athenian Fiscal Expertise and its Influence”, MediterrAnt 7, 2004, 491-512. Sintesi sull’economia e sulla finanza ateniesi: L. J. Samons II, Empire of the Owl. Athenian Imperial Finance, Stuttgart 2000; L. Kallet, “The Athenian Economy”, in L. J. Samons II (ed.), The Cambridge Companion to the Age of Pericles, Cambridge 2007, 70-95; C. Flament, Une économie monétarisée. Athènes à l’époque classique (440-338), Paris 2007; L. Migeotte, Les finances des cités grecques aux périodes classique et hellénistique, Paris 2014.

2. A. Boeckh, Die Staatshaushaltung der Athener, Berlin 1817.

3. L’uso di ‘public’ può essere ’empirico’ e non tecnico, oppure orientato specificamente al dibattito sulla problematica delle categorie sacro/pubblico. Fondamentali, fra gli altri, i contributi di W. R. Connor, L. Migeotte e J. M. Blok: per una bibliografia esaustiva v. il recente Migeotte, Les finances des cités grecques aux périodes classique et hellénistique, pp. 685-711.

4. Il tema dei lavori pubblici e in particolare dell’edilizia sacra può forse ancora riservare delle riflessioni preziose, vista l’eco che esso ebbe nell’Atene democratica e considerate le polemiche e i dibattiti assembleari sulla spesa per la realizzazione dei lavori sull’Acropoli, tramandati da Plutarco nella Vita di Pericle. ​