BMCR 2015.03.20

Aristotele e la storia. Ithaca

, , , Aristotele e la storia. Ithaca. Padova: CLEUP, 2013. 217. ISBN 9788867871506. €20.00 (pb).

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Frutto del dialogo e del confronto fra storici dell’antichità e storici della filosofia, il volume riunisce undici saggi, elaborazione di altrettanti seminari tenuti all’Università di Padova fra il 2011 e il 2012 da studiosi affermati e giovani ricercatori nell’ambito di un progetto di ricerca dedicato a Filosofia e storia nel pensiero politico di Aristotele.

Come evidenziato dai curatori nella Premessa, il tema generale, che fa da filo conduttore ai diversi contributi, è quello del “ruolo della storia nel pensiero aristotelico” (p.7). Benché il titolo traduca con precisione quello del noto saggio di Raymond Weil,1 non ci si trova di fronte ad una nuova trattazione sistematica, sia pur a più mani, del discusso rapporto fra Aristotele e la storia ma ad una serie di saggi che, con diverso approccio e approfondimento e qualche inevitabile sovrapposizione, offrono interessanti affondi su alcuni aspetti che vanno dall’uso e dalla qualità dei dati storici presenti nelle opere aristoteliche, al valore epistemologico attribuito dal filosofo alla storia, al suo rapporto con la storiografia, ad aspetti qualificanti della sua teoria politica.

Il numero dei saggi quanto la varietà dei temi sfiorati consente in questa sede solo una rapida panoramica dei rispettivi contenuti.

Una sintetica ma efficace rassegna del vivace dibattito—lungi dal considerarsi esaurito—che negli ultimi due secoli ha diviso la critica apre il saggio di Mauro Moggi che riprende il titolo stesso del volume. Con approccio decisamente positivo, nel rilevare il contributo offerto alla ricostruzione storica dall’analisi di alcuni degli exempla historica offerti nella Politica, l’Autore evidenzia come il vero problema non risieda tanto nell’atteggiamento assunto da Aristotele nei confronti della storia o dell’attività storiografica, quanto nel valore del materiale storico confluito nelle sue opere, Athenaion politeia compresa, che, a suo parere, si rivela di grande interesse per i contributi “numerosi e preziosi” che può offrire in particolare per lo studio delle istituzioni e della società greche. Il ruolo riconosciuto dal filosofo all’indagine storica quale strumento imprescindibile per la formazione dell’uomo di stato, rilevabile a suo parere da un noto passo della Retorica 2 dedicato ai compiti da affidare all’indagine dell’ἐπιστήμη politica, non solo escluderebbe manipolazioni ma deporrebbe a favore di una registrazione del passato per quanto possibile informata e corretta. Nel connettere il materiale storiografico con la politica e non con la retorica, il filosofo si sarebbe inoltre collocato in una posizione vicina a quella di Eforo, difensore della specificità e autonomia della storiografia rispetto ai logoi epideiktikoi. La stessa centralità della polis nella visione aristotelica escluderebbe, infine, che la formazione all’attività politica, fondamentale per la sopravvivenza stessa della comunità civica, potesse basarsi per lo Stagirita su un sapere, quello storico, caratterizzato dalla falsità.

Col saggio di Enrico Berti l’attenzione si sposta sulla teoria politica. Mediante una rilettura critica dei capitoli della Politica dedicati all’analisi delle costituzioni, lo studioso sottopone a verifica la visione fondante dell’aristotelismo politico medievale e moderno che ha indicato nel filosofo un sostenitore della monarchia. Pur riconoscendo che Aristotele non può essere considerato un pensatore favorevole al tipo di costituzione che i Greci chiamavano ‘democrazia’, l’Autore coglie nella costante affermazione del valore dei molti, rispetto a quello dei pochi o del singolo, ravvisabile in alcuni passi a suo parere fondanti,3 quanto nelle argomentazioni connesse ad alcune nozioni basilari (‘città’, ‘autorità’, ‘uomo’, ‘cittadino’, ‘costituzione ottimale’), i segni di una posizione di fondo sostanzialmente favorevole a quella che oggi chiameremmo una ‘buona democrazia’ (p.52). Nella tensione dialettica fra ideale e reale, che percorre l’intera opera, tale visione della democrazia troverebbe precisi riscontri nella costituzione ‘media’, quella “più conforme al suo concetto di polis come società naturale” (p.46), quanto nella stessa ‘politìa’.

Le nozioni di dynamis e agonisma costituiscono il filo rosso che fa da sfondo all’analisi, di taglio storiografico, di Alessandra Coppola mirata alla ricerca di possibili connessioni ‘a distanza’ fra le riflessioni dello Stagirita e quelle della storiografia di V secolo a.C. In un confronto che investe in particolare l’opera tucididea, la studiosa evidenzia come il concetto di dynamis, che Aristotele indica quale criterio-guida nella valutazione della grandezza di una polis,4 trovi un suo significativo antecedente nella riflessione tucididea, in particolare nel noto invito a non lasciarsi ingannare dall’aspetto esteriore delle città.5 [Agonisma], a sua volta, termine pregnante nella valutazione aristotelica dei poeti, da biasimare quando nel competere spingono il racconto oltre le proprie intrinseche possibilità recando danno all’insieme, rappresentava già, sempre in Tucidide,6 il fine fuorviante di quanti, poeti e logografi, ponevano il diletto dell’uditorio al di sopra della verità. Se un riferimento indiretto del rapporto a distanza fra le riflessioni dello storico e del filosofo può riscontrarsi nel tentativo polibiano di composizione delle due visioni, è, infine, nello schema di sviluppo della società greca, in cui l’idea della dynamis si incrocia in entrambi gli autori con quella del confronto sincronico e con la descrizione diacronica del passaggio dallo stato naturale a quello poleico, quanto in alcuni tratti della città perfetta, che l’ipotesi iniziale sembra trovare ulteriori conferme.

Traendo spunto dalle considerazioni di quanti hanno a vario livello evidenziato l’esistenza di punti di convergenza tra l’ Athenaion politeia e le riflessioni teoriche dello Stagirita, Silvia Gullino analizza il quadro offerto in quest’opera del governo dei Cinquemila, l’oligarchia moderata instaurata ad Atene nel 411 a.C., in un confronto serrato con alcune aporie discusse nella Politica, che sembrano richiamarne implicitamente la vicenda. Da tale analisi, condotta con ampio riferimento alla storiografia e alla pubblicistica coeve, la studiosa trae elementi per ipotizzare un rapporto in certo senso biunivoco fra i contenuti delle due opere, testimonianza per un verso dell’influsso esercitato dalle riflessioni suscitate dalle vicende storiche sull’elaborazione delle teorie politiche aristoteliche, per altro di un pari influsso delle sue analisi teoriche sui giudizi espressi nell’ Athenaion politeia.

Al significato del concetto di ἱστορία nel cruciale giudizio espresso da Aristotele nel confronto con poiesis in Poet. 9, 1451 b 6 è dedicato il contributo di Gino Sorio che, nello specifico, sofferma la propria attenzione sul modo in cui debba essere inteso il riferimento alle “cose particolari” (τὰ καθ᾿ἔκαστον), oggetto privilegiato d’indagine, secondo il filosofo, dell’ἱστορία. Nonostante il rimando a mo’ di esempio nel passo alla figura di Alcibiade, egli ritiene che nella sua analisi il filosofo abbia in realtà tratto motivo di riflessione dall’approccio storiografico di Erodoto, autore menzionato nella stessa Poetica poche righe prima (1451 b 2-4) del passo in oggetto. Mediante il confronto fra la nozione erodotea di causa e quella aristotelica,7 l’Autore giunge alla conclusione che l’ἱστορία si configurerebbe nella visione aristotelica come “un sapere che non è una semplice narrazione di fatti visti nella loro accidentale puntualità ma piuttosto una ἐπιστήμη che ha a che fare con αἰτία e ἀπόδειξις” (p.93). La filosoficità e dunque l’universalità della storiografia, termine che meglio esprimerebbe il significato di ἱστορία per il filosofo, consisterebbe dunque non tanto nelle conclusioni quanto nella spiegazione dell’individuale per mezzo dell’universale, o comunque di una nozione più universale della conclusione. Nella relazione in senso causale dei canoni interpretativi del fatto storico con quella che Aristotele chiama ἡ περὶ τὰ ἀνθρώπεια φιλοσοφία,8 la storiografia si rivelerebbe, infine, quale scienza dotata di possibilità conoscitive di fatto superiori a quelle della scienza della natura.

Il libro primo della Politica è oggetto, da punti di vista diversi, dei saggi di Silvia Gastaldi e Rita Salis dedicati, rispettivamente, all’analisi del rapporto fra città e famiglia e alla concezione aristotelica della polis.

Nel ripercorrere l’analisi aristotelica, che si sviluppa secondo un ordine concettuale di tipo teleologico, la Gastaldi evidenzia come i rapporti nell’ambito dell’οἰκία vengano spiegati col ricorso all’analogia con le forme di organizzazione politica e le modalità di distribuzione del potere al loro interno. Si tratta di una lettura che trova, come afferma l’Autrice, “un’utile integrazione” (p.109) nell’ottavo libro dell’ Etica Nicomachea, ove l’analogia fra sfera politica e sfera privata risulta approfondita fino a coinvolgere l’intera gamma delle forme costituzionali. In linea col ruolo attribuito nel libro alla physis, la gerarchia dei rapporti familiari trova per il filosofo una sua giustificazione nella differente configurazione psichica delle varie figure e nella conseguente rispettiva capacità di accesso alle virtù etiche il cui pieno possesso va riconosciuto al solo capo famiglia. Mediante tale lettura, con un rapporto inverso fra teoresi e realtà, Aristotele “conferisce un solido fondamento teorico alla situazione storica del suo tempo” (p.114).

Spostando lo sguardo sulla polis, Rita Salis si interroga sulla relazione fra il tipo di trattazione contenuta nella Politica e la realtà storica della Grecia antica. A partire dalla determinazione del ruolo rivestito dalla scienza politica nel sistema filosofico aristotelico e dei suoi presupposti metodologici, l’Autrice evidenzia come intento del filosofo non sia quello di delineare un quadro storico della polis, ma la descrizione di un modello ideale cui accostarsi, per quanto possibile, nella tensione al compimento del fine stesso della polis : la piena realizzazione dell’uomo e, quindi, la felicità. In tal senso, la trattazione aristotelica della genesi della polis, pur non priva di attenzione per il contesto storico, ne mostrerebbe tuttavia uno studio esclusivamente funzionale all’indagine teorica, non classificabile secondo un’ottica storiografica.

L’affermazione di Gorgia riportata da Aristotele nella sezione del terzo libro della Politica (1275 b 25) dedicata alla definizione del concetto di cittadino offre lo spunto ad Alonso Tordesillas per un’analisi più ampia del rapporto fra politica e retorica. L’ironica metafora con cui il sofista, in un intraducibile doppio gioco lessicale, paragona la fabbricazione dei mortai a quella dei cittadini di Larissa, offre lo sfondo storico-politico su cui si innesta il confronto fra l’analisi aristotelica che lega la definizione del cittadino alla ricerca sulla politeia e l’analisi sofistica che la connette al discorso.

Alla nozione di εὐγένεια, che proprio nelle opere aristoteliche, a partire dai frammenti del purtroppo perduto Περὶ εὐγενείας, testo in forma dialogica composto nel periodo trascorso dal filosofo nell’Accademia platonica, diventa oggetto di approfondimento, è dedicato il saggio di Cristina Rossitto. Attraverso un’analisi puntuale dei frammenti (fr. 92 e 94 Rose 3) quanto delle ulteriori occorrenze presenti nell’ Etica Nicomachea (5, 6, 1131 a 20-29) e nella Retorica (1, 5, 1360 b 31-38), l’Autrice mostra come la tematizzazione aristotelica della nozione ruoti sostanzialmente intorno alla sua valenza storico-socio-politica.

Il volume si chiude con due contributi, di Romana Bassi su Francis Bacon interprete di Aristotele e Tiziano Dorandi su Diogene Laerzio e la storia della filosofia antica, che si staccano dal tema di fondo del volume per dilatarne la riflessione su due esempi, ben diversi, di ricezione del pensiero aristotelico. Mentre il contributo di Dorandi presenta il punto di vista di un editore9 sulle luci e le ombre del contributo di Diogene Laerzio allo studio della storia della filosofia antica, l’analisi della Bassi sulla rilettura baconiana del celebre passo di Politica 1, 2 1253a 27-29,10 posto ad incipit del saggio Of Friendship, integralmente riscritto per l’ultima edizione degli Essays, apre uno squarcio sulle modalità di applicazione di quello che l’autrice definisce il ‘filtro baconiano’ all’interpretazione dei testi aristotelici.

Come emerge da questa breve analisi, la raccolta di saggi proposta, anche per l’approccio interdisciplinare scelto, costituisce un utile sussidio per chiunque voglia accostarsi al tema. L’opera si presenta in una veste accurata11 ed è corredata da due indici distinti dei nomi e dei luoghi aristotelici.

Notes

1. R. Weil, Aristote et l’histoire. Essai sur la «Politique», Paris 1960.

2. Rhet. 1, 4, 1359 b 19-1360 a 38.

3. E.g. Pol. 1281 a 40-b 10; 1282 a 14-23; 1286 a 26-35.

4. Pol. 1326 a 8-13.

5. Thuc. 1, 10, 3.

6. Thuc. 1, 22, 4.

7. Vd. Phys. 2, 7, 198 a 14-21; An. Post. 2, 11.

8. EN 10, 22, 1181b15.

9. Cf. Diogenes Laertius, Lives of Eminent Philosophers, edited with Introduction by T. Dorandi, Cambridge 2013.

10. “Whosoever is delighted in solitude is either a wilde Beast, or a God”.

11. Non mancano, tuttavia, alcuni refusi riscontrabili alle pp. 12, 60, 70, 75, 76, 77, 78, 117, 192, 200. Errato l’inserimento nell’indice dei luoghi aristotelici della citazione dell’ Ath.pol. pseudo-senofontea di p. 13.