Il volume curato da Giovanna De Sensi Sestito e Maria Intrieri raccoglie i contributi presentati nella riunione scientifica tenutasi a Cosenza (5-6 maggio 2010).1 L’introduzione (pp. IX-XIV) dei curatori espone tempi, modalità e scopi della riunione.
Delle quattro sezioni che compongono il volume, la prima (“Fra l’Epiro e l’Occidente”) si apre con il contributo di Jean-Luc Lamboley e Maria Paola Castiglioni, che tentano di far luce sull’intrico di leggende sui nostoi troiani in Epiro e Magna Grecia. Partendo infatti dalle due tradizioni conservateci sulla fondazione di Siris2 e col supporto della decorazione vascolare di un cratere frammentario rinvenuto nella necropoli di Metaponto3, gli autori sottolineano il duplice valore funzionale del mito, volto alla legittimazione dinastica e a quella territoriale, laddove fu utilizzato su larga scala per giustificare a livello propagandistico le politiche espansionistiche di due grandi personalità ellenistiche: Dionisio I e Pirro I.
Analizzando i materiali bronzei di origine anellenica rinvenuti nel santuario di Perachora, Stéphane Verger esamina la rete di relazioni commerciali fra lo Ionio, l’Adriatico ed il Tirreno che si sviluppò fra l’VIII ed il VI secolo a.C. Egli riconosce due gruppi, testimoni di due fasi distinte: nel primo sono compresi materiali etruschi ed orientali, nel secondo invece, reperti di provenienza balcanica, adriatica e gallica. Colla fondazione delle sue colonie nell’ultimo quarto del VII secolo, Corinto fu il vettore privilegiato (ma forse non unico) di questi oggetti rinvenuti, tra l’altro, in santuari panellenici (Isthmia ed Olimpia) fino alla metà del V secolo a.C.
La seconda sezione è dedicata all’Epiro. Nella sua sintesi, Sandro De Maria traccia la genesi e lo sviluppo della polis di Phoinike, nata per sinecismo probabilmente nel IV secolo su uno dei tanti siti d’altura che costellavano la Chaonia, e sviluppatasi in maniera repentina nel III-II secolo, quando l’allargamento della cinta muraria comprende tutta l’estensione della collina su cui s’impianta l’abitato, secondo lo schema urbanistico scenografico a terrazze. Gli altri siti minori, uno dei quali ( Matomara) presenta tracce di frequentazione in età arcaica, rimasero in vita sotto forma di phrouria o villaggi fortificati.
Dopo aver fatto un breve resoconto della documentazione archeologica proveniente dai siti di Rodotopi e Megalo Gardiki (dove si è supposta in passato la localizzazione di Passaron), Georgia Pliakou, nell’esporre i risultati preliminari dei recenti scavi effettuati all’interno del castello bizantino ed ottomano di Ioannina, propone l’affascinante ipotesi di identificarla con la “perduta” capitale dei Molossi, anche grazie alla scoperta di un frammento di rilievo in marmo con dedica a Zeus Areios, usato come materiale da costruzione in una casa privata e proveniente molto probabilmente dalla vicina acropoli.
Dall’esame diacronico e diatopico della carica istituzionale degli hieromnamones, Adele D’Alessandro propone di vedere l’introduzione di questa carica nel regno molosso come un’iniziativa di Alessandro per limitare il potere dell’assemblea dei rappresentanti delle tribù, utilizzando il santuario di Dodona come nuovo luogo di riunione, secondo l’esempio fornitogli dal cognato Filippo II nei confronti di Delfi.
Nella loro breve rassegna, Gëzim Sala e Shyqyri Hysi mettono in evidenza le caratteristiche di popolamento della valle del fiume Drinos sulla base delle tracce archeologiche rinvenute nei siti posti nella zona, riuniti all’interno di un Parco archeologico con sede ad Antigoneia.
Esaminando la documentazione epigrafica latina, Alessandro Cristofori pone l’accento sui mestieri che, in aree di incontro fra il mondo romano e quello greco qual’erano l’Epiro e l’Illiria meridionale, sebbene rimangano un elemento accessorio, sono pur tuttavia presenti nelle epigrafi sepolcrali e spesso legati ad un sistema di valori prettamente romani. Come tali, le professioni legate al servizio pubblico piuttosto che al settore produttivo (pesca ed agricoltura) sono più visibili in quanto portatrici di un diverso prestigio sociale.
La terza sezione si occupa di Corcira e delle colonie corinzio-corciresi. Maria Intrieri focalizza la sua attenzione sul passo di Strabone (VI, 2, 4) in cui la fondazione di Corcira è collocata durante una delle tappe effettuate da Archia nel suo viaggio verso Siracusa, con la quale tradizioni storiche e mitiche ricollegano l’isola dei Feaci, assieme a Crotone e Locri. I sincronismi nelle loro fondazioni potrebbero essere frutto della propaganda corcirese che ad opera di Prosseno mirava a rivendicare per Alessandro, il primogenito di Pirro, oltre al regno sull’Italia concessogli dal padre, il diritto al possesso dell’isola tramite l’eredità materna.
François Quantin mette in guardia dal ritenere i pantheon coloniali come un semplice fenomeno di riproduzione del modello metropolitano. Esaminando il caso delle colonie corinzie in Sicilia (Siracusa), Epiro (Ambracia) ed Illiria meridionale (Epidamno), l’autore propende per un’interpretazione di Artemide come una dea non prettamente corinzia ma frutto dell’attività coloniale, in quanto la dea era posta a custodia dell’armonia civica, contro le staseis.4
Dal confronto fatto sulle due diverse tradizioni che narrano il matrimonio di Giasone e Medea (secondo alcuni a Iolco, secondo altri a Corcira), Anna Di Gioia ritiene che la versione corinzia del mito sia stata codificata in età cipselide ad opera di Eumelo: la politica egemonica di Periandro non avrebbe mai accettato una parte attiva dell’isola sul mito riguardante Medea, erede al trono corinzio per parte di madre.
Unica fra le tre colonie cipselidi a rimanere sempre fedele alla metropoli, Ambracia fu durante la seconda metà del V secolo a.C., al centro delle operazioni militari corinzie nel delicato territorio fra l’Epiro e l’Acarnania e, a detta di Ugo Fantasia, giocò un ruolo di primo piano soprattutto nel processo di “ellenizzazione” della regione acarnana piuttosto che delle tribù epirote, i cui rapporti con Atene furono invece il viatico per la definitiva loro accettazione nel mondo “greco”.
Sulla scia dei versi tratti dalla commedia Menaechmi di Plauto, Sara Santoro legge le proiezioni di Epidamno verso Occidente (iconografie funebri, ceramiche apule, etc.) come segni della partecipazione della città alla intensa circolazione di uomini ed idee fra le due sponde dell’Adriatico.
Grazie alla recente scoperta di un contratto di prestito ipotecario fra due donne inciso su laminetta di piombo (II secolo a.C.), Lavinio Del Monaco propone di riconoscere nei numerali incisi dopo i nomi l’indicazione delle fratrie, come nelle tavolette rinvenute a Camarina.
Dall’isola di Creta, famosa fin dall’antichità per la sua variegata flora, avrebbe potuto, secondo Giuseppe Squillace, prendere le sue informazioni Eumaco di Corcira, un altrimenti ignoto rhizotomos d’età imperiale, citato frettolosamente in un breve passo di Ateneo (XV, 681e).
Elisabeth Deniaux sottolinea il forte valore di Corcira che, durante l’espansione romana nella penisola balcanica, assunse un ruolo strategico per le campagne militari contro la Macedonia di Filippo V. All’indomani della battaglia di Azio, con la pacificazione del Mediterraneo sotto le insegne del primo Augusto, l’isola ritornò ad essere semplicemente lo scalo marittimo d’un tempo, porta d’ingresso fra le due penisole.
E questa sua vocazione, l’isola dei Feaci la mantenne ovviamente per tutta la sua storia, come mostra Gioacchino Strano nel suo contributo dedicato al periodo bizantino, quando l’isola fu oggetto del contendere fra il malato impero bizantino ed il neonato regno normanno nella penisola italiana.
La quarta sezione. intitolata “Intersezioni” è aperta dall’articolo a firma di Giovanna De Sensi Sestito sulle spinte egemoniche che sconvolsero le terre bagnate dal mar Ionio fra il IV ed il III secolo a.C. Sulla base di un doppio confronto tra le iniziative dei due dinasti siracusani (Dionisio I ed Agatocle), volte a conseguire una loro intromissione nelle vicende di Corcira, e le due spedizioni che imbastirono i due re molossi (Alessandro e Pirro I) nella comune speranza di creare un regno di tipo ellenistico in Italia, l’autrice ne coglie le similitudini e le differenze ideologiche, rintracciabili sotto le azioni politico-militari citate dalle fonti antiche.
Indipendentemente dalla diatriba sulla corretta identificazione di Argo Amfilochos nei resti rinvenuti nei pressi della località di Haghios Ioannis, Claudia Antonetti offre la lettura di due epigrafi funerarie inedite dove sono ricordati i nomi di due donne (Simakas e Troiàs) e di un (mercenario-mercante?) italiota, Chresimos, databili fra il IV ed il III secolo a.C.
Pur in assenza di studi accurati su coniazioni di piccolo taglio (il cui peso specifico sembra invece opportuno rivalutare), Benedetto Carroccio si propone di analizzare criticamente il reale impatto economico e monetario delle coniazioni volute dai due hegemones epiroti durante le loro campagne militari in Italia, fornendo altresì delle nuove proposte di cronologia interna sulla base degli avvenimenti bellici.
Stefania De Vido, analizzando le fonti sulla vita di Dione, pone la sua attenzione sul periodo ateniese dello statista siracusano, dove all’ombra dell’Accademia, si preparò il “Prologo” alla spedizione, fatto di alleanze strategiche di Siracusa, sia con Atene che con Sparta (tramite Corinto). Il fallimento dell’impresa è da addebitarsi proprio all’ideologia di vecchio stampo aristocratico di Dione che non seppe cogliere le fratture, causate da Dionisio I (e da Agatocle poi), in virtù delle quali fu segnato il destino non più periferico della Sicilia all’interno del mondo greco.
Anna Maria Prestianni Giallombardo rilegge la spedizione di Timoleonte in Sicilia sotto un’ottica di più ampio respiro, intravedendo non solo nel contributo (sia economico che di uomini e mezzi) non indifferente di Corinto, il chiaro ultimo tentativo da parte dell’oligarchia al potere di riesumare una politica egemonica nell’Ionio ma anche il supporto economico di Filippo II, all’epoca fresco vincitore della terza guerra sacra e protettore del santuario delfico, il cui responso dato al condottiero corinzio potrebbe essere letto proprio come avallo della corte macedone. A testimonianza di ciò, resta il dato numismatico che lega nell’iconografia dello Zeus Eleutherios presente nei conii siracusani, l’immagine dello Zeus olimpico, tipico della monetazione di Filippo II.
Facendo un breve excursus sul corpus delle iscrizioni di Locri Epizefirii e delle sue sub-colonie, Maria Letizia Lazzarini accenna ad alcuni temi ancora in sospeso quali la nomenclatura delle magistrature locresi (che richiamano le corrispondenti della Locride Ozolia come anche lo stesso alfabeto usato) e le sigle che precedono i nomi (attribuibili secondo l’autrice alle fratrie e non ai demi di appartenenza). Su un’iscrizione di recente scoperta nell’area dell’antica Alope in Locride Opunzia compaiono però molti dei nomi comuni alla colonia italiota. Infine, la dedica dei Locresi ed i suoi alleati rinvenuta ad Olimpia andrebbe riferita alla vittoria su Crotone per la conquista di Temesa e sarebbe databile così al 480-470 a.C.
Il contratto di ipoteca di Corcira, già analizzato da Del Monaco, da lo spunto a Paola Grandinetti per l’interessantissimo quadro fornito sulla condizione della donna nella gestione del patrimonio familiare. L’autrice ritiene che l’istituto della tutela legale, pur diacronicamente presente in gran parte del mondo greco in età ellenistica, si sia affievolito permettendo ad alcune donne di alto rango di disporre dei propri beni senza il benestare del kyrios, ma solo con la sua sanzione legale.
Secondo Lucia D’Amore, in età ellenistica si completò il lungo processo di assorbimento di Reggio all’area siceliota (ed in primis siracusana), come testimoniano non solo i dati forniti dalle fonti epigrafiche ma anche quelli sulle istituzioni civiche, sull’onomastica locale e sulle attività produttive e commerciali.
La presenza di Italioti e cittadini romani, attestata da epigrafi funebri nelle regioni occidentali della penisola ellenica (Etolia, Acarnania, isole Ionie), è dovuta, secondo Sofia Zoumbaki, alle relazioni commerciali che queste regioni intrattennero con la sponda occidentale del mar Ionio fin dall’epoca geometrica.
Nelle sue “Conclusioni”, Jean-Luc Lamboley non manca infine di porre l’accento sulle più importanti acquisizioni e le più innovative ipotesi presentate nel corso del convegno. A chiusura del volume, la lista delle Abbreviazioni e gli Indici ne permettono un miglior uso che sommato all’aspetto editoriale più che decoroso e la presenza encomiabile di Estratti in inglese dei contributi presentati rendono la miscellanea accessibile ad un vasto pubblico accademico e foriera di nuovi sentieri di ricerca che possano dar spazio alla Terza Grecia, la cui flebile voce sussurra dalle due sponde dello Ionio senza ricevere di solito che una piccola eco.
Notes
1. Il volume è il secondo nella serie Diabaseis. Fa seguito a Cl. Antonetti (ed.), Lo spazio ionico e le comunità della Grecia nord-occidentale: territorio, società e istituzioni. Atti del convegno internazionale (Venezia, 7-9 gennaio 2010), Diabaseis, 1, Pisa, Edizioni ETS, 2010. (BMCR 2011.12.13)
2. J.-L. Lamboley, Légendes troyennes d’une rive à l’autre du canal d’Otrante, in E. Deniaux (ed.), Le Canal d’Otrante e la Méditerranée antique et médiévale. Colloque organisée à l’Université de Paris X (Nanterre, 20- 21/11/2000), Bari, 2005, pp. 15-22.
3. T. Morard, Les Troyens à Métaponte, Mainz, 2002.
4. Uno studio in parallelo dei culti di Corinto e Siracusa è stato prodotto da P. Reichert Südbeck, Kulte von Korinth und Syrakus. Vergleich zwischen einer Metropolis und ihrer Apoikia Würzburger Studien zur Sprache und Kultur: Archäologie, Religionswissenschaft – Bd. 4, Dettelbach: J.H. Röll., 2000. Di recente, la figura carismatica della dea Artemide è stata oggetto di un interessante lavoro collettivo, per i risultati del quale, cfr. T. Fischer-Hansen – B. Poulsen (eds.), From Artemis to Diana: The Goddess of Man and Beast Acta Hyp, XII, Copenhagen, 2009.