BMCR 2020.11.39

Peace and war in Rome: a religious construction of warfare

, , Peace and war in Rome: a religious construction of warfare. Stuttgart: Franz Steiner Verlag, 2019. Pp. 361. ISBN 9783515123785. €64,00.

Table of Contents
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Pubblicato per la prima volta nel 1990 sempre dalla Franz Steiner Verlag con il titolo “Domi militiae: die religiöse Konstruktion des Krieges in Rom”, frutto della revisione della tesi di dottorato discussa da Jörg Rüpke a Tübingen nel 1989, il volume viene ora riproposto per un pubblico più vasto in lingua inglese, con emendamenti e aggiornamenti rispetto alla vecchia edizione, in particolare nella già poderosa bibliografia (siamo passati dalle 33 p. della prima edizione alle 41 p. di quella attuale). Il lavoro è infine arricchito dal prezioso saggio conclusivo di Federico Santangelo (With gods on their side, home and away, pp. 279-308) con il quale lo studioso italiano tratteggia con grande abilità il ruolo centrale che “Domi militiae” ha avuto nel dibattito storiografico, una sorta di “recensione lunga” nella quale si menzionano non solo alcuni saggi che si ispirano ai concetti proposti da Rüpke ma anche lavori che tentarono di ribaltarne la visione e fornirono un’alternativa chiave di lettura (come e.g. il dibattito sul significato e sulle finalità della devotio, intesa come sacrificio di espiazione o votum).

L’esercito fu senza dubbio un fattore determinante nella Storia di Roma, caratterizzata da un’ininterrotta catena di eventi bellici che portarono un insieme di minuti villaggi del Lazio occidentale a costruire un impero mediterraneo. Inserendosi nel dibattito sull’imperialismo romano,[1] Rüpke si proponeva di analizzare questo processo con particolare attenzione al periodo compreso fra la media età repubblicana e il principato augusteo, partendo da una prospettiva nuova ed evidenziando quelle implicazioni religiose che attraverso rituali e sacerdozi precedevano, accompagnavano e chiudevano una spedizione armata e ne garantivano l’approvazione divina.

La guerra dunque non come evento traumatico da esorcizzare ma come fatto sociale, che coinvolgeva in maniera differente le varie componenti della comunità e per questo motivo celebrata con appositi festeggiamenti ricordati nel calendario; la religione come strumento con il quale anestetizzare quelle pulsioni che nell’emergenza avrebbero potuto minare la coesione interna o esterna. Questa complessa materia viene scandagliata con acribia, facendo abbondante uso delle fonti, e viene organizzata in 5 sezioni e 18 capitoli, divisi in paragrafi e sottoparagrafi quasi autonomi.

Se la sezione I, quasi una seconda introduzione, fissa le coordinate topografiche, temporali, cerimoniali, ideologiche dell’intero discorso, è nelle sezioni II-IV, il cuore del volume, che si affrontano preparazione, svolgimento, conclusione della guerra descritte attraverso sia le cerimonie, sia le motivazioni psicologiche degli attori ad esse preposte (interessanti le riflessioni sull’evoluzione del collegio dei fetiales, sulla natura degli auspicia, sulle origini della devotio, sul tempio di Giano). Abbandonata l’Urbe, Rüpke focalizza la sua attenzione sui castra, sui culti collettivi, come quello del genius, o personali, riprendendo o anticipando le riflessioni di maestri come Eric Birley, John Helgeland, Yann Le Bohec o Adrian Goldsworthy; infine troviamo i riferimenti alle decorazioni per i valorosi, alle spolia opima, al complesso rituale del trionfo e alla sua progressiva trasformazione. La sezione V, una sorta di ampia conclusione, si sofferma di nuovo sui rapporti tra guerra e religione, riprendendo in generale quanto nei precedenti era stato descritto nel particolare.

L’articolata struttura agevola il lavoro di quanti consulteranno non sistematicamente il volume ed è spia di un preciso modus operandi dell’autore che, pur senza perdere di vista l’obiettivo generale, si sofferma sui passaggi intermedi, entra nei dettagli, raccoglie e confronta prove, descrivere l’evoluzione di determinati aspetti, talora seguendo il flusso dei pensieri trascina il lettore lontano da quello che era stato il punto di partenza ma che solo in apparenza potrebbe sembrare fuori tema.

È una prosa ricca, piena di sillogismi, che spesso strizza l’occhio all’antropologia e alla sociologia, in ossequio a quella cifra stilistica che ha caratterizzato i lavori successivi dello stesso Rüpke[2]. Per lo studioso tedesco erano i rituali a rendere iustum il bellum, a svincolare il successo dalle abilità del singolo, per questo motivo magistrato e spesso membro di differenti collegia sacerdotali, a generare quel consenso che permetteva all’imperator di sospendere le garanzie giuridiche del civis ora divenuto miles, che consentivano al termine del conflitto di reinserire con il trionfo o l’ovatio il comandante vittorioso e le sue truppe nella vita comunitaria oppure di ristabilire la pax deorumminata da una sconfitta.

Attraverso la religione diventa allora possibile rileggere e.g. le trasformazioni urbanistiche dell’Urbe, le differenze giuridiche e religiose degli spazi (moderna in questo senso la concezione del limes così come in quegli anni andavano sviluppandola Charles R. Whittaker e Pol Trousset), la riorganizzazione dell’esercito, il passaggio dal contadino-soldato al militare professionista, il ruolo della donna nella comunicazione religiosa; su questa linea si potrebbero e.g. reinterpretare il pomerium come difesa non dagli hostes ma dalle ambizioni degli imperatores, come limite che permetteva ma poi recideva quel legame personale e totalizzante fra condottiero-soldato, oppure intendere lo scioglimento dei vota come una forma legalizzata di ridistribuzione alla collettività di quanto conquistato dal dux.

È una ricostruzione coinvolgente ed affascinante quella proposta da Rüpke, che, come ben dimostrato da Santangelo, ha inciso profondamente, direttamente o indirettamente, sulla storia degli studi. Certo non mancano delle criticità, a partire dal titolo della nuova versione in inglese (Peace and war), fuorviante rispetto al vecchio “Domi militiae” giacché il tema della Pax occupa uno spazio minoritario e quasi riflesso nella narrazione (p. 21); né sembra aver avuto adeguato spazio il rapporto sempre più pervasivo con il mondo greco che muterà profondamente la società romana portando ad un progressivo ripensamento del concetto di Pace, che diventa riconciliazione non solo fra uomini e divinità ma anche fra esseri umani, che viene imposta dal vincitore al vinto ma che è anche libero otium, che è presupposto essenziale al raggiungimento della prosperità,[3] o a trasformare la figura del dux, differente da quella ancora in auge nella media età Repubblicana, dopo la guerra annibalica celebrato come individuo dotato di specifiche virtutes che lo differenziavano dagli altri cives e in particolare non per il coraggio ma per l’abile uso della mêtisperfidia.[4]

Rimangono curiosi il riferimento ai comitia curiata e non centuriata per la proclamazione della guerra (p. 125), oppure la notizia che i prigionieri di guerra di solito non erano catturati in battaglia o dopo un inseguimento (p. 216); troppo speculativa l’idea che nella realizzazione di una fitta rete stradale fosse sottesa l’aspirazione alla “subjugation of nature and world” (p. 54); non convince che la pratica dell’evocatio deorum sia definitivamente terminata durante la tarda Repubblica, sostituita da un’acritica interpretatio delle divinità straniere, da Rüpke connessa alla difficile assimilazione dei nuovi cives (p. 165), giacché sporadici esempi potrebbero essere attestati durante il principato (e.g. con Vespasiano) e la stessa interpretatio spesso parrebbe una scelta consapevole dei provinciali piuttosto che un’imposizione del potere centrale[5]; metodologicamente lascia perplessi la preferenza fra le fonti letterarie degli Annalisti rispetto agli storici più tardi, quasi che questi ultimi fossero meno genuini, fra quelle epigrafiche o papirologiche di testi del II-III secolo d.C., come e.g. il Feriale Duranum, per descrivere le pratiche religiose dei legionari di età repubblicana o augustea (pp. 179-184), come se quella dei soldati fosse una categoria monolitica, immutabile nel tempo, impermeabile sia al substrato dei singoli militari sia alle influenze del contesto geografico o culturale in cui questi operavano; viene per altro da chiedersi se, tralasciati alcuni culti specifici dell’accampamento, sia realmente possibile distinguere la religione dei soldati da quella dei civili, come se i primi adorassero divinità praticamente ignorate dagli altri.

Sono questi rilievi che tuttavia non inficiano il lavoro di Rüpke, dettagli che spesso fanno parte delle scelte personali e insindacabili di ogni autore e che, a dispetto del passare degli anni, non impediscono di continuare a dare un giudizio positivo su questo volume.

Table of contents

Introduction
Part I: Rome: a city prepared
1 A bellicose polity?
2 Warfare in the context of time
2.1 War as reflected in the calendar
2.2 The so-called military cycle of festivals
2.3 Warfare and the fasti
3 Domi militiae
3.1 The sacral topography of war
3.2 The Pomerium: on Rome’s sacral topography
3.3 Imperium auspiciumque: Political and religious competencies
3.4 Orbis terrarum: on Roman religious geography
3.5 The military inclusion of the non-military zone
4 Populus est exercitus
4.1 Roman warriors
4.2 Non-combatants
4.3 The draft
4.4 Exceptional forms of mobilization
4.5 The military oath
4.6 The legal status of soldiers
4.7 Summing up: initiation into an impasse?
Part II: Rome at war
5 Declaring war
5.1 Fetials: A change in the mode of declaring war
5.2 The just war
5.3 The decision for war
6 Leaving Rome
6.1 Prodigies: Religion as a medium of communication
6.2 Auspices and sacrifices: Legitimizing and reflecting in religious terms
6.3 Combating anxieties
6.4 A multitude of ritual tools
6.5 The doors of Ianus
6.6 Augurium salutis
7 On the March
7.1 Assembling the army
7.2 Crossing frontiers
7.3 Divination
8 Battle
8.1 Preparing for battle
8.2 Religious weapons: Vota
8.3 Religious weapons: Self-sacrifice and devotions
8.4 Religious weapons: Calling out the gods of the enemy
Part III: In the camp
9 The camp
9.1 General aspects
9.2 The camp as a sacral unit
10 Religion organized for soldiers
10.1 Public religious roles
10.2 Routine ritual
10.3 The course of the year
10.4 Sacral topography
11 Religion organized by soldiers
11.1 The cult of the standards
11.2 The cult of the genius
11.3 Worshipping the emperor
11.4 Places of assembly
11.5 Groups
11.6 Being on foreign ground
Part IV: Rome in Victory
12 After the battle
12.1 Burning weapons
12.2 Burying the dead
12.3 Distributing decorations
12.4 Honouring the general
13 After war
13.1 Capitulation
13.2 Prisoners and plunder
14 Back into the city
14.1 Thanking the gods
14.2 Objects of pride
14.3 The Triumph
14.4 Vows need to be fulfilled
Part V: War and religion in Rome
15 The religious construction of war
15.1 The oldest level
15.2 The middle Republic
15.3 The later Republic
15.4 Augustus
16 The political construction of war aided by religion
16.1 The campaign’s ritual framework
16.2 The imperator at the centre
16.3 The military and the commonwealth
16.4 Killing and being killed
17 The religion of the legionaries
17.1 Religion in the camp
17.2 Surviving military service
17.3 Religion as a crisis phenomenon?
17.4 A religion of specialists?
17.5 Religion in foreign parts
18 Historicizing war and religion.

Notes

[1] Al capolavoro di W. V. Harris, War and Imperialism in Republican Rome, 327-70 B.C., Oxford: Clarendon Press, 1979, sembrano da aggiungere almeno le brevi sintesi nei volumi 1 e 2.1 della Storia di Roman, Torino: Einaudi, 1988 e 1990 (e.g. Mario Torelli, Luigi Capogrossi Colognesi, Filippo Cassola, Guido Clemente, Michael Hewson Crawford, Emilio Gabba), o di Maria Teresa Schettino (La guerra: strategia e tecniche militari. In: Storia d’Europa e del Mediterraneo. I. Il mondo antico. III. L’ecumene romana. V. La res publica e il Mediterraneo, Roma: Salerno editrice, 2008, pp. 423-436).

[2] E.g. J. Rüpke, Pantheon. A new History of Roman Religion, Princeton: University Press, 2018.

[3] Sul tema, oltre alle sporadiche indicazioni di Rüpke, non possiamo non ricordare e.g. I. Lana, Studi sull’idea della pace nel mondo antico, MAT, 13 (1989) pp. 1-68; P. Catalano, P. Siniscalco (eds.), Concezioni della Pace, Roma: Herder, 2006; A. Ibba, A. Mastino, “L’imperatore pacator orbis” in: M. Cassia, C. Giuffrida, C. Molè, A. Pinzone (eds), Pignora amicitiae. Scritti di storia antica e di storiografia offerti a Mario Mazza, Acireale – Roma: Bonanno editore, 2012, III, pp. 139-212.

[4] G. Brizzi, Il guerriero, l’oplita, il legionario: gli eserciti nel mondo classico, Bologna: il Mulino, 2002.

[5] E.g. A. Cadotte, La romanisation des dieux. L’interpretatio romana en Afrique du Nord sous le Haut-Empire, Leiden ; Boston, Brill, 2007; A. Mastino, « La Pax Flavia dopo il Bellum Iudaicum: una “evocatio” ? ». in M. G. Sanna (ed.), Historica e philologica, Studi in onore di Raimondo Turtas, Cagliari: AM&D Edizioni, 2012, pp. 25-47.