BMCR 2025.03.27

Christianity, philosophy, and Roman power: Constantine, Julian, and the bishops on exegesis and empire

, Christianity, philosophy, and Roman power: Constantine, Julian, and the bishops on exegesis and empire. Greek culture in the Roman world. Cambridge; New York: Cambridge University Press, 2023. Pp. xix, 359. ISBN 9781009299299.

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Il saggio di Lea Niccolai si compone di sei ampi capitoli preceduti da un’introduzione e seguiti da una conclusione. Completano il volume una lista delle figure (pp. viii-xi), una prefazione (xiii), dei ringraziamenti (xiv-xvi), una lista di abbreviazioni, edizioni e traduzioni (xvii-xix), una bibliografia (pp. 308-344) e due indici (dei temi e dei passi citati: 345-359). I capitoli sono distribuiti equamente in tre sezioni, ciascuna delle quali corrisponde a una fase del dibattito studiato dall’autrice : la fine del regno di Costanzo II (“Part I – At Constantius’ Court: Julian Caesar”), il regno di Giuliano (“Part II – Making and Breaking Constantine: Julian Augustus”) e il periodo che seguì la morte di Giuliano (“Part III – After Julian: Philosophy in the World”). Non sfuggirà il ruolo centrale di Giuliano, il cui status (Cesare, Augusto, defunto) scandisce la progressione diacronica dell’analisi.

Nell’Introduzione, Lea Niccolai espone lo scopo del suo libro e l’approccio adottato. L’autrice si pone come obiettivo di comprendere come Costantino abbia attuato la cristianizzazione dell’Impero a partire da schemi di pensiero romani (il legame tra successo personale e favore divino, la conversione presentata come riscoperta della vera divinità artefice della grandezza di Roma); come Giuliano abbia tentato di confutare le pretese di Costantino; come gli intellettuali cristiani abbiano reagito al tentativo di Giuliano. I dibattiti religiosi del IV secolo sono così riletti come una serie di tentativi di (auto)legittimazione o di delegittimazione di un interprete (Costantino, Giuliano, i vescovi), capace di regolare i mutamenti culturali e sociopolitici (pp. 1-31). L’introduzione si conclude con un riassunto dei sei capitoli del libro (pp. 31-36).

Nel primo capitolo (“How Philosophers Should Take Compliments When They Happen to Become Kings”), l’autrice si concentra sul primo scritto conservato di Giuliano, l’Epistola a Temistio. Sottolineando che il modello di Marco Aurelio e Frontone influenza lo scambio tra Giuliano e Temistio, Niccolai propone una nuova interpretazione dell’Epistola: sotto l’apparente modestia di Giuliano si celerebbe un abile tentativo di privare Temistio della vantaggiosa posizione di consigliere esperto che egli assumeva al pari di Frontone[1]. Per far ciò, Giuliano insiste sulla propria competenza filosofica e politica, in contrasto col sapere unicamente teorico del suo interlocutore (pp. 39-65). L’autrice conclude questo capitolo osservando che il legame tra autorità politica e autorevolezza filosofica, con riferimento ai “classici” e alla loro corretta interpretazione, si ritrova in autori cristiani come Eusebio e Lattanzio, il che dimostra l’importanza di questo elemento nel pensiero del tempo (pp. 65-72).

Il secondo capitolo (“Climbing the Ladder”) si appoggia sulle conclusioni del primo e segue gli sforzi di Giuliano per costruire la propria immagine attraverso i suoi scritti. Per l’autrice, nell’Elogio dell’imperatore Costanzo possiamo intravedere il modo in Giuliano voleva presentare i suoi complessi rapporti con l’imperatore (pp. 73-78), mentre l’Elogio dell’imperatrice Eusebia creerebbe un gioco di specchi, in cui Giuliano da un lato loda Costanzo attraverso l’elogio della sposa da lui scelta, ma dall’altro, ricordando la fiducia di Eusebia nei suoi confronti, legittima e rafforza la propria posizione (pp. 78-81). Niccolai ammette la parte d’incertezza che pesa su questa ricostruzione (p. 100), la quale però trova conferma nel Sulla regalità e nella Consolazione a se stesso per la partenza di Sallustio, composti durante l’ascesa militare di Giuliano e caratterizzati da una critica sempre meno velata nei confronti di Costanzo II (pp. 94-108): al mutare del rapporto di forza corrisponde una nuova rappresentazione della cultura filosofica dei due costantinidi.

Il capitolo 3 (“Holy Hermeneutics”) commenta l’evoluzione del discorso imperiale di Giuliano dopo la morte di Costanzo II. La vena polemica anticristiana che percorre la produzione letteraria di Giuliano è legata, secondo l’autrice, al modo in cui i suoi predecessori avevano presentato se stessi come imperatori filosofi adepti della filosofia perfetta, identificata col cristianesimo. Sulla base dell’Oratio ad sanctos e di passi di Lattanzio, Optaziano ed Eusebio, Niccolai dimostra che Costantino aveva adattato l’ideale neoplatonico del sovrano guidato da un’ispirazione divina la quale, nel suo caso, era presentata come il frutto di una graduale presa di coscienza della verità del cristianesimo (pp. 117-141). È alla luce di questa scelta di Costantino che l’autrice spiega la reazione anticristiana di Giuliano, di cui commenta tre aspetti: la composizione del Contro i Galilei[2], l’editto de professoribus e la riflessione sul mito e sull’allegoria presente nei due inni. In tutti e tre i casi, Giuliano avrebbe voluto mostrare la superiorità della paideia greca come patrimonio religioso e come sistema ermeneutico (pp. 141-165).

Nel quarto capitolo (“A Life for a Life”), Niccolai analizza la presentazione della figura e della vita di Costantino nelle opere di Giuliano. Partendo dal ragionevole presupposto che quest’ultimo fosse consapevole delle caratteristiche del “mito costantiniano”, l’autrice commenta il celebre mito del Contro il cinico Eraclio, l’autoritratto di Giuliano nel Misopogon et l’apparizione di Costantino nei Cesari. Il Costantino di Giuliano si pone in aperta polemica con l’immagine ufficiale di questo imperatore: significativi a questo proposito sono l’insistenza sulla sua irrazionalità, la denuncia del “tradimento” nei confronti del Sole/Helios[3] e il paragone con Paride, maliziosamente suggerito da un’allusione omerica di Sileno nei Cesari[4]. La polemica la controproposta di Giuliano trae autorevolezza dal riferimento alla cultura e alle grandi figure d’imperatori del II secolo d. C.: Niccolai sottolinea il legame tra il Contro il cinico Eraclio e l’orazione Sulla regalità di Dione di Prusa, nonché la somiglianza tra l’autoritratto di Giuliano nel Misopogon e quello di Marco Aurelio nei Cesari (per il quale Giuliano si discosta in maniera significativa dall’iconografia classica).

Il capitolo 5 (“Those Who Know If the Emperor Knows”) intende mostrare come la reazione giulianea, e di conseguenza il modello dell’imperatore filosofo, siano stati recepiti dopo la sua morte. Senza pretesa di esaustività (p. 219), Niccolai passa in rassegna l’opera di vari intellettuali pagani e cristiani. Lo studio di figure dagli orientamenti culturali e religiosi assai diversi[5] permette di mostrare che la questione della legittimità dell’imperatore in materia di esegesi e filosofia è al centro della riflessione teologica e politica della fine del IV secolo. Ancora una volta, l’autrice mostra come il dibattito si nutrisse di riferimenti alla tradizione anteriore: i vescovi rivendicano le virtù tipiche del filosofo, ovvero libertà di parola (parrhesia) e umiltà (attraverso la pratica della recusatio: pp. 236-243).

Nel sesto e ultimo capitolo (“Wisdom for the Many, and Wisdom for the Few”) si affronta il problema dell’autorevolezza culturale di vescovi e imperatori da un altro punto di vista: il rapporto con le masse. Niccolai sottolinea la tensione che percorre il cristianesimo antico, al tempo stesso apertamente popolare e teso verso la rivendicazione di uno status, inevitabilmente elitista, di vera filosofia. L’autrice individua due soluzioni adottate dai Padri: criticare la scissione tra cristianesimo e paideia, o rigettare quest’ultima in quanto insufficiente, preferendole l’ascetismo. Evitando facili quanto ingannevoli dicotomie, Niccolai sottolinea giustamente la complessità della posizione dei Cappadoci o di Sinesio e osserva l’originalità della messa in discussione della paideia, sorta non da una corrente minoritaria, bensì dagli esponenti della cultura dominante (pp. 267-291). L’egemonia culturale del cristianesimo, secondo Niccolai, viene peraltro favorita dall’atteggiamento pagano: l’esempio delle Vite di filosofi e sofisti di Eunapio mostra che la recusatio diviene per i pagani il tratto distintivo del vero filosofo; tuttavia, scegliendo il silenzio nella speranza di veder riconosciuto il proprio valore, i pagani lasciano di fatto campo libero al cristianesimo (pp. 291-301).

Le rapide conclusioni ripercorrono efficacemente l’articolazione del saggio, mettendone in luce i principali risultati: una migliore comprensione della figura di Giuliano come intellettuale e politico in dialogo con la cultura del tempo, nonché della svolta costantiniana, legata all’evoluzione del cristianesimo.

La bibliografia su Costantino, Giuliano o i rapporti tra cristianesimo e mondo grecoromano è sconfinata. Niccolai riesce nondimeno a proporre un’analisi innovativa, non solo su alcuni punti precisi (come la cultura di Costanzo II o l’autenticità della lettera ad Arsacio di Giuliano[6]), ma anche sulla comprensione generale del pensiero e della politica del IV secolo.

Il taglio originale di questa monografia è intuibile già dal titolo e dal sottotitolo. Se infatti esistono numerosi studi sui legami tra cristianesimo e filosofia e tra cristianesimo e politica nella Tarda Antichità, ben più rari sono i tentativi di studiare insieme le tre categorie. Stesso dicasi per gli elementi del sottotitolo. La critica si è già interessata ai rapporti tra Costantino e Giuliano[7]; ma l’analisi dell’autrice permette per la prima volta di comprendere la politica religiosa di questi due imperatori nel quadro più vasto dell’evoluzione del pensiero politico, religioso e filosofico di età imperiale e tardiva. Si è molto parlato della “rottura” che costituì il regno di Costantino e della “parentesi” (spesso considerata utopistica) della fulminea parabola politica di Giuliano. Niccolai ha mostrato come le scelte di Costantino e l’immagine del potere imperiale da lui promossa sviluppino in realtà tendenze già presenti nei secoli precedenti, e come Giuliano abbia reagito alle scelte del suo antenato. Ma l’autrice è ben cosciente del fatto che la storia non è segnata solo dal passaggio di grandi figure (p. 302). È per questo che le parole e le azioni di Costantino e Giuliano sono commentate anche a traverso le opere di pagani e cristiani sia coevi, sia posteriori. Così facendo, Niccolai mette in evidenza il contributo di personaggi quali Eusebio o Lattanzio alla creazione del “ritratto ufficiale” di Costantino, nonché la ricezione delle innovazioni di quest’ultimo e di Giuliano.

Da questo punto di vista, la menzione dei “vescovi” nel titolo è forse persino riduttiva. Certo, questo volume insiste particolarmente sul rapporto complesso, di collaborazione e competizione, che unisce potere imperiale e gerarchia religiosa a partire dal regno di Costantino[8]. Ma l’autrice offre altresì un contributo importante alla comprensione delle tensioni interne al clero[9] e alla cultura pagana[10] del IV secolo, studiati alla luce di una bibliografia estremamente ricca e di una grande varietà di fonti letterarie e iconografiche (quindici immagini, principalmente monete). Il libro di Lea Niccolai segna così una tappa fondamentale nello studio della storia politica e religiosa del IV secolo d. C.

 

Notes

[1]  Quantomeno secondo Giuliano, come osserva prudentemente Niccolai, p. 55.

[2]  L’autrice avrebbe potuto ricordare che questo titolo è il frutto da una ricostruzione moderna, plausibile ma priva di riscontro nelle fonti: cfr. A. Guida, “La trasmissione del testo del Contra Galilaeos di Giuliano e un nuovo misterioso frammento”, in G. Huber-Rebenich – S. Rebenich (edd.), Interreligiöse Konflikte im 4. und 5. Jahrhundert. Julian “Contra Galilaeos”, Kyrill “Contra Iulianum, Berlin/Boston, De Gruyter, 2020, pp. 91-109.

[3]  Cfr. p. 174 e Contro il cinico Eraclio 228d.

[4]  A partire dalla bellezza dell’imperatore. Niccolai propone un interessante parallelo con l’iconografia diffusa dalla monetazione costantiniana e con la descrizione di Costantino in Eusebio (pp. 185-196).

[5]  La varietà dei profili analizzati è ricercata dall’autrice per mettere alla prova (con successo) la propria tesi: cfr. p. 253. Un’osservazione bibliografica a margine: per il testo dell’omelia e del discorso Su Babila di Giovanni Crisostomo (p. 245, n. 189), Niccolai rimanda al Migne invece che alla più recente e affidabile edizione “Sources chrétiennes” curata da M. Schatkin (di cui viene nondimeno citata la traduzione inglese del discorso).

[6]  Rispettivamente pp. 86-94 e 233-236. Come già Van Nuffelen (citato a p. 236), Niccolai considera la lettera ad Arsacio un falso cristiano, con argomenti non trascurabili. Tuttavia, nell’affermare che “the letter’s definition of Greek religion as ‘Hellenism’ […] is unparalleled in Julian’s writing” (p. 233), ella mi sembra sottovalutare le occorrenze di termini della stessa famiglia segnalate da J. Bouffartigue in due studi: “Julien ou l’Hellénisme décomposé”, in S. Saïd (ed.), Ἑλληνισμός. Quelques jalons pour une histoire de l’identité grecque, Leiden, Brill, 1991, pp. 251-266, 252-254 (non citato); “L’authenticité de la Lettre 84 de l’empereur Julien”, Revue de philologie, de littérature et d’histoire anciennes 79 (2005), pp. 231-242, 232-234 (confuso in note e bibliografia con un’altra pubblicazione del 2005).

[7]  Cfr. U. Criscuolo, “Giuliano e Costantino”, Koinonia 42 (2018), pp. 11-46 e D.N. Greenwood, Julian and Christianity. Revisiting the Constantinian Revolution, Ithaca/London, Cornell University Press, 2021.

[8]  Cfr. le considerazioni dell’autrice nell’Introduzione, pp. 18-23.

[9]  Come Sinesio e Giovanni Crisostomo (pp. 260-265).

[10]  Si pensi al “silenzio assordante” di Eunapio su Temistio (pp. 296-300).