BMCR 2023.08.42

Manuscrit d’un voyageur, voyages d’un manuscrit

, Manuscrit d'un voyageur, voyages d'un manuscrit: un recueil d'épigraphie africaine établi par Francisco Ximenez et son étude par Scipione Maffei. Scripta receptoria, 22. Bordeaux; Pessac: Éditions Ausonius, 2022. Pp. 203. ISBN 9782356134745.

Il progredire dell’epigrafia deriva sia dall’incessante e capillare attività sul campo, che permette di scoprire inediti o di rileggere testi già noti ma bisognosi di una revisione più o meno ampia, sia da una (ri)scoperta in archivi e biblioteche di codici, manoscritti, faldoni, appunti che, con una punta di snobismo, taluni avevano derubricato a ricerca antiquaria, illudendosi che la pubblicazione dei grandi corpora del XIX-XX secolo avesse reso superflua ogni ulteriore indagine su questo versante.

Al contrario questo tipo di ricerca, anch’essa in ossequio al principio dell’autopsia, giorno dopo giorno si sta rivelando portatrice di ulteriori novità, un’inesauribile miniera di informazioni non limitate alla lettura e all’interpretazione del testo (che ci permettono di emendare le fisiologiche sviste dei nostri maestri o le lacune della loro documentazione) ma aperte a nuovi campi della conoscenza, come ad esempio il processo di elaborazione e trasmissione delle idee, il metodo di lavoro, le competenze, gli obiettivi dei pionieri della disciplina epigrafica, la rete di relazioni fra studiosi, la ricostruzione del mondo antico nell’accademia e nell’immaginario collettivo, i rapporti osmotici fra scienza e politica.

Questa revisione ha toccato anche un’opera monumentale e insostituibile come il Corpus Inscriptionum Latinarum e, andando a ritroso, le fonti che gli autori del Corpus avevano utilizzato o che erano sfuggite al loro occhio severo o che, per vari motivi, non erano stati consultate con la consueta attenzione. Si tratta nel complesso di un lavoro faticoso ma prezioso, addirittura imprescindibile quando ci troviamo di fronte a iscrizioni ormai perdute o rovinate dal tempo o anche semplicemente spostate dal contesto originario.

Su questo filone della ricerca, che solo di recente ha interessato anche il formidabile patrimonio epigrafico dell’Africa romana[1], si inserisce il pregevole volume che Hernán González Bordas ha dedicato a una raccolta di iscrizioni individuata dallo stesso autore nel febbraio 2014 nel manoscritto MS0103_2 del fondo Séguier, conservato nella Biblioteca comunale di Nîmes. La silloge, scritta in castigliano e in caratteri corsivi, intitolata Iscriptiones Africanae ex Schedis Maffeianis, è il frutto di sette escursioni nell’entroterra tunisino compiute fra il 1724-1726 dal padre trinitario Francisco Ximenez de Santa Cathalina (1685-1758), viaggiatore, epigrafista, fondatore e amministratore dell’Ospedale Trinitario di San Giacomo di Matha a Tunisi, presso l’attuale rue Zeitouna nella Medina[2]. I 51 fogli che la componevano furono inviati a Scipione Maffei (1675-1755) che li consultò per il suo Museum Veronense (edito nel 1749); successivamente furono raccolti in tre disordinati quaderni (A, B, C) ereditati con numerose altre carte da Jean-François Séguier (1703-1784), segretario del Maffei, che diede il titolo alla raccolta e la inserì nel manoscritto dove è rimasta inedita sino ai giorni nostri.

González Bordas ha pubblicato integralmente, riordinato, trascritto e tradotto dal castigliano al francese questo interessante dossier che, al contrario di altri lavori dello Ximenez, si presenta come prettamente epigrafico giacché accanto a succinte osservazioni antiquarie viene data una trascrizione di 182 iscrizioni rinvenute nella Régence de Tunisie (tutte poi confluite nel primo tomo del volume VIII del Corpus Inscriptionum Latinarum, tranne due inediti da Tunisi e Mornag, di difficile lettura), alle quali si aggiungono due testi da Carthago Nova (CIL II, 3410 e 3423), questi ultimi descritti da Ximenez probabilmente durante una sua visita in patria per ragioni di famiglia e curiosamente confluiti nella silloge.

Lo studioso argentino ha invece deliberatamente rinunciato a trascrivere e tradurre i testi in latino, riprodotti nel manoscritto in lettere capitali ma spesso senza alcuna pretesa pittografica, limitandosi solo a un utile rimando alla numerazione del Corpus e rinviando ad altra occasione un commento filologico dei testi: è una scelta legittima ma che a nostro parere impedisce di apprezzare appieno le competenze dello Ximenez e di confrontarle con quelle di Gustav Wilmanns e Theodor Mommsen, rispettivamente curatore e revisore di questo tomo Corpus. I due epigrafisti tedeschi non conoscevano la syllogé ma ebbero modo di consultare il Diario de Tunez, la Historia del Reyno de Tunez, la Historia de los Cartagineses, dove Ximenez aveva riportato i medesimi testi, o gli autori che avevano letto e citato il padre trinitario, per questo motivo lodato per la sua affidabilità nell’introduzione al volume VIII del Corpus. Nell’volume (capitoli 3-4), González Bordas si limita piuttosto a sottolineare eventuali differenze fra la syllogé e gli altri lavori di Ximenez, dove in maniera più ampia ci si soffermava sulle località e i monumenti visitati ma si forniva una descrizione meno precisa del contesto in cui furono rinvenute le iscrizioni e dei loro elementi intrinseci ed estrinseci. Sono meno sistematici ma diffusamente presenti anche i confronti con il Museum Veronense di Maffei, con il Voyage dans les régences de Tunis et d’Alger di J.A. Peyssonnel (1738), con il Travels or Observations relating to several parts of Barbary and the Levant del T. Shaw (1738).

L’obiettivo di González Bordas è d’altronde quello di delineare finalità e processo formativo della syllogé, le vie attraverso le quali la raccolta pervenne a Maffei, come quest’ultimo se ne sia servito, infine come i tre quaderni, redatti in momenti diversi siano confluiti nel manoscritto MS0103_2[3]. Per questo, dopo aver tratteggiato rapidamente la figura di Ximenez. il contesto antiquario in cui operò, le relazioni intessute a Tunisi con il già ricordato botanico francese Peyssonnel e con i medici spagnoli G. de Mendoza e J. Carillo, González Bordas prova a ricostruire anche con l’aiuto del Diario gli itinerari che portarono Ximenez a scovare i testi della syllogé in una quarantina di località fra Bizerte e il Capo Bon (dove si recò per ben due volte) e poi sino ad Agbia lungo la valle della Médjerda e più a Sud fra Sousse e Kasserine. La descrizione degli itinerari è opportunamente accompagnata da nove carte a colori che aiutano il lettore ad orientarsi con toponimi di non sempre facile attribuzione anche ad esperti africanisti. Particolarmente apprezzabile l’indice finale, con l’elenco di questa località e i riferimenti al Corpus.

Grazie a questo certosino lavorio l’epigrafista argentino riesce a precisare il luogo di rinvenimento di alcuni testi (capitolo 4) come nel caso di CIL VIII, 1265 = 23968, che Wilmanns seguendo Peyssonnel poneva a Simitthus e che invece, come già supposto da R. Cagnat, andrebbe attribuito al Djébel Moraba. L’attenta analisi di questa documentazione gli permette inoltre di stabilire quali iscrizioni non furono viste da Ximenez ma della cui descrizione egli era debitore a Peyssonnel (per esempio per i testi di El Kef e Sidi Amara) o a Carillo, ricostruendo un modus operandi molto diffuso in quegli anni e che vide lo stesso Peyssonnel o Shaw rifarsi a parti riprese pedissequamente della syllogé.

È infine assai interessante il capitolo 5, dove González Bordas tenta di ricostruire come le Iscriptiones Africanae furono utilizzate da Maffei, intento in quel momento a realizzare una raccolta complessiva di tutte le iscrizioni del mondo romano, sfortunatamente mai portata a termine. Il manoscritto infatti riporta le annotazioni e correzioni dell’erudito veronese, che nell’introduzione al Museum Veronense dichiara di aver ricevuto nel 1726 un libellum di Ximenez (evidentemente la syllogé) e di averne poi confrontato il contenuto con i Travels di Shaw, incontrato dal marchese in Inghilterra. In questa sezione viene ricostruito il metodo di lavoro di Maffei, elogiato in più punti del volume per l’invidiabile perizia filologica ma del quale González Bordas sottolinea anche le contraddizioni metodologiche, giacché il dotto veronese, pur auspicando l’autopsia delle iscrizioni, finiva poi per affidarsi alla lettura (seppur verificata) di altri studiosi: nello specifico González Bordas evidenzia il curioso errore di Maffei, che considerava Ximenez un epigrafista molto affidabile giacché le sue letture coincidevano con quelle dello Shaw, senza però accorgersi che era Shaw a riprendere pedissequamente Ximenez![4]

Un altro obiettivo del volume è quello di ricostruire come e quando Maffei sia giunto in possesso della syllogé de Lyon. Sui quaderni appaiono infatti tre differenti date (maggio 1727, novembre 1726, luglio 1727), che contraddicono la notizia del Museum (che, come detto, ricorda un unico invio nel 1726) e che potrebbero riferirsi (quelle più recenti) al momento in cui Maffei o Séguier riordinarono i fogli sparsi di Ximenez, inviati a Verona non tanto dall’epigrafista spagnolo M. Martí (1663-1737), come ipotizzato in CIL II (p. XX) e VIII (p. XXV), ma dal cardinale senese Antonfelice Zondadari (1665-1737), amante delle antichità e in contatto epistolare con Martí, il cui nome si legge nell’incipit del foglio 135 r., vergato dallo stesso Maffei[5]. Dopo Maffei, la syllogé passò nelle mani di Séguier, che provvide a radunare i quaderni nel manoscritto MS0103_2 e ad attribuire loro il titolo definitivo ma che non se ne servì per il suo repertorio universale delle iscrizioni (in chiara continuità con il progetto di Maffei), preferendo rifarsi ai Traverls di Shaw, giacché era sua intenzione utilizzare solo lavori già pubblicati, a suo giudizio evidentemente più attendibili di appunti pur prodotti da studiosi autorevoli.

In definitiva, con il Manuscrit d’un voyageur Hernán González Bordas ha il merito di riportare alla nostra attenzione un documento ben noto negli ambienti colti dell’Europa del Settecento, curiosamente sfuggito all’acribia degli editori del Corpus,  e di cercare di ricostruire i canali attraverso i quali circolavano in quei tempi le informazioni sul mondo classico e gli indirizzi metodologici che poi, maturi, ritroveremo nell’opera di Mommsen; preziose e talora inedite le notizie sulle circostanze di rinvenimento, sui supporti epigrafici, sulla conservazione dei siti e dei monumenti che Ximenez o le sue fonti poterono visitare, fornendoci talora testimonianze uniche e altrimenti perdute.

Un volume, dunque, che sarebbe riduttivo definire “di epigrafia”, aperto a problematiche più ampie e generali, propositivo piuttosto che definitivo. Di questo approccio non possiamo che essere grati a González Bordas e augurarci che quanto prima dia seguito alle premesse qui così generosamente messe a nostra disposizione.

 

Notes

[1] Da ultimo p.e. D. Brahimi, Voyageurs dans la Régence de Tunis. XVIe-XIXe siècles, Carthage 2016; M. Dondin-Payre, H. Jaïdi, S. Saint-Amans, M. Sebaï (edd.), Autour du fonds Poinssot. Lumières sur l’archéologie tunisienne (1870-1980), Paris 2017; J.-L. Podvin (ed.), Louis Carton : de Saint-Omer à Tunis, Aix-la-Chapelle 2017.

[2] Su Ximenez, oltre al capitolo I (pp. 15-30), molto utile H. González Bordas, Francisco Ximenez et l’étude des inscriptions latines d’Afrique au XVIIIesiècle, in Antiquitates et Lumières. Étude et réception de l’Antiquité romaine au siècle des Lumières, 2019, https://shs.hal.science/halshs-02467916.

[3] Il più antico è il quaderno C, con un primo epilogo, il più recente è quello B, con l’epilogo definitivo.

[4] Su Maffei e il suo metodo, ai lavori citati da González Bordas possiamo aggiungere C. Viola, “Nella presente luce dell’erudizione”. Note sul carteggio tra Scipione Maffei e Lodovico Antonio Muratori, in Studi sul Settecento e l’Ottocento, 7, 2012, pp. 11-45; G. P. Marchi, C. Viola (edd.), Il letterato e la città. Cultura e istituzioni nell’esperienza di Scipione Maffei, Verona 2009; A. Buonopane, “Tutto son pronto a sacrificare per iscrizioni”. La formazione del museo maffeiano tra amore per l’epigrafia e ossessione collezionistica nell’epistolario di Scipione Maffei, in C. Viola (ed.), Le carte vive. Epistolari e carteggi nel Settecento, Roma 2011, pp. 283-296; A. Buonopane, “Oh quanti spropositi!”. Le postille di Scipione Maffei al Novus thesaurus veterum inscriptionum di Lodovico Antonio Muratori. Una nota preliminare, in G. Baratta, A. Buonopane, J. Velaza (edd.), Cultura epigráfica y cultura literaria. Estudios en homenaje a Marc Mayer i Olivé, Faenza 2019, pp. 69-85. Al contrario di González Bordas, condividiamo in toto il giudizio che di Maffei ha dato I. Di Stefano Manzella, L’Ars Critica Lapidaria di Scipione Maffei (1675-1755). Notizie inedite sulla storia dell’opera, in D. M. Pippidi (ed.), Actes du VIIe Congrès Intérnational d’épigraphie grecque et latine, Bucuresti – Paris 1979, 353.

[5] La trascrizione fornita da González Bordas non è tuttavia convincente e forse è meglio interpretare le righe visibili sul manoscritto come Inscript(ion)es ex Africa a me tractae a eadem. / D. Card(inal)is Zondadarius / a quo mihi benigne commendatae (in grassetto i suggerimenti di M. T. Laneri, che ringrazio per il consueto generoso supporto).