BMCR 2022.08.07

Benedetto Marzullo: il grecista che fondò il Dams

, , Benedetto Marzullo: il grecista che fondò il Dams. Storie e linguaggi, 30. Padova: Libreria Universitaria, 2019. Pp. 184. ISBN 9788833591452. €19,90.

Come spiegano i curatori nella Premessa, il volume raccoglie gli atti di una Giornata Internazionale di Studi, dal titolo Benedetto Marzullo. Un filologo classico scomodo e “stravagante”, tenutasi il 19 ottobre 2017, presso l’Università di Ferrara, a pochi giorni dal primo anniversario della morte di Marzullo (14 ottobre 2016). Il primo e l’ultimo contributo del volume prendono in esame l’istituzione, nel 1970, all’Università di Bologna, del DAMS, il Corso di Laurea in “Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo”, il più importante lascito dello studioso alla cultura e alla storia universitaria italiana, e di grande impatto internazionale.

Il saggio d’apertura è curato da M. De Marinis, uno degli allievi del grande intellettuale che hanno partecipato alla Giornata (gli altri sono Casadio, Perilli, Andrisano, Funaioli). Inizia con un’osservazione amara: “Benedetto Marzullo se n’è andato un anno fa, il 14 ottobre 2016, nel silenzio e nell’indifferenza generali” (p. 9). Il DAMS, di cui Marzullo fu uno dei creatori, fu una novità autentica nel panorama universitario italiano: per la prima volta veniva offerto agli studenti l’insegnamento dei linguaggi artistici (specie quelli che prevedono una performance) e dei mass media. Il grecista ne seguì l’evoluzione fino al 1975, coinvolgendo nell’impresa personaggi del calibro di Luigi Squarzina, Umberto Eco, Gianni Celati, Giuliano Scabia, Ferruccio Marotti, Fabrizio Cruciani, Mario Bortolotto, Tomás Maldonado, Roberto Leydi, alcuni dei quali si ritrovavano per la prima volta a insegnare all’università. In quegli anni tennero lezioni al DAMSintellettuali come Manuel Puig, Alberto Moravia, Alberto Arbasino, famosi cineasti come Godard e Bertolucci, cantanti controcorrente come Joan Baez. De Marinis, inoltre, fa una panoramica degli studi di Marzullo. In quarant’anni, quelli che intercorrono tra due suoi volumi fondamentali, Il problema omerico (Firenze 1952) e I sofismi di Prometeo (Firenze 1993), il grecista, fondatore nel 1966 della rivista Museum (che ha anche diretto per 35 anni), ha profondamente innovato con i suoi lavori il panorama della lirica arcaica e del teatro greco, proponendo una traduzione delle Commedie di Aristofane, nel 1968 (rivista nel 2003), ancora imprescindibile. Il filologo ha collaborato, inoltre, a numerosi allestimenti di spettacoli teatrali, quali quelli di Siracusa (Rane, Prometeo), oltre ad aver scritto su quotidiani nazionali: tanti intellettuali, tra i quali lo stesso De Marinis, sono orgogliosi di considerarlo il loro “maestro”.

L’intervento che segue, a cura di V. Casadio, approfondisce l’apporto del grecista agli studi sull’epica e sulla lirica arcaica (meritano di certo una menzione gli Studi di poesia eolica, del 1957). I suoi saggi (a partire dal già citato volume Il problema omerico) hanno consentito, tra l’altro, di spiegare la complessa struttura formulare del canto sesto dell’Odissea, di verificarne le coordinate nella tradizione, di valutare correttamente se alcuni passi fossero omerici o post-omerici. Il filologo, inoltre, restituì a Saffo il fr. 94 Diels (ora 168 B Voigt) ed il fr. 55 Diels (44 Voigt), il cosiddetto Epitalamio di Ettore e Andromaca. Curò inoltre un’antologia dei lirici greci (Frammenti della lirica greca, Firenze 1965), oltre a dedicare alla poesia arcaica diversi articoli su riviste come Museum Criticum e Philologus.

Anche il contributo più corposo del volume, quello di L. Perilli, prende le mosse dagli studi omerici del Marzullo. Partendo dalla figura di Achille e dalla critica che l’eroe rivolge ad Agamennone (Iliade 1, 343), viene spiegata la concezione greca arcaica del nous: esso è capacità di gestire le relazioni tra gli eventi, complicata dal rapporto fra gli accadimenti stessi e l’osservatore che li percepisce. Agamennone teme “la capacità di Achille di cogliere il senso di una situazione e di pianificare le proprie azioni di conseguenza” (p. 34). Il Pelide usa il suo nous in riferimento al “davanti” e al “dietro”, vale a dire al “passato” e al “futuro”. Perilli spiega efficacemente che il greco arcaico non è isolato nel far riferimento ad avverbi di luogo per indicare anche una dimensione temporale, connettendo il passato al “davanti” ed il futuro al “dietro”; analizza suggestivi esempi tratti dalla lingua ittita e da quella accadica. Tornando all’Iliade, Agamennone non ha capito che, se le sue imprese precedenti sono andate a buon fine, è merito di Achille, e lo stesso sarà per quelle future. Il figlio di Peleo è l’unico che può rivendicare per sé il breve intervallo in cui risiede il pensiero, e lo fa proprio nel v. 343 del primo libro dell’Iliade. Egli è consapevole che esiste un ordine binario dell’universo; nei vv. 527-531 del libro 24 del poema l’equilibrio del mondo, affidato alle mani di Zeus, è raffigurato nella metafora dei due vasi, l’uno contenente mali, l’altro beni. Sarà la bilancia di Zeus a decidere chi è destinato tra Ettore e Achille a soccombere. Le sorti dei due eroi sono anche le sorti della guerra e quindi a Zeus è lasciata ogni decisione ultima. Il Pelide sa di “dover disegnare una mappa che guidi lui e i Greci nel territorio dell’incertezza” (p. 68). Agamennone, invece, passa senza mediazione del pensiero dall’impulso all’atto, perde il senso di giustizia e allontana da sé la responsabilità.

A. M. Andrisano, prendendo in esame il Prometeo incatenato, parte dai lavori dedicati dall’intellettuale campano alla tragedia (si veda almeno il corposo saggio I sofismi di Prometeo), per poi sviluppare un articolato e autonomo ragionamento. Va ricordato, in primo luogo, che Marzullo negava la paternità eschilea del dramma, che collocava alla fine del V secolo, all’interno della crisi della democrazia ateniese (incarnata dallo Zeus despota rappresentato nell’opera). Andrisano sottolinea che i caratteri di Prometeo ed Io sono ipostasi delle due fondamentali paure catartiche: Prometeo incarna la pietà eccessiva, Io l’eccessiva paura. Entrambi tuttavia vivono anche il sentimento dell’altro, ma, come nota acutamente la studiosa, sono incapaci di curare la propria “malattia”: Prometeo, che ha concesso agli uomini la conoscenza dell’arte medica, non riesce ad essere medico di se stesso; il coro delle Oceanine prova in modo equilibrato ambedue i sentimenti. La tragedia, inoltre, ha carattere metateatrale, anche perché l’insistere sulle passioni fondamentali anticipa le riflessioni della Poetica aristotelica. La studiosa concorda, in definitiva, con l’idea di Marzullo che la tragedia sia stata composta a ridosso dei Cavalieri di Aristofane; tale idea sarebbe confermata, a suo parere, dalla presenza nel Prometeo di un attore che canta e danza mutuando lo stile dei cori ditirambici.

Tre sono, nel volume, i saggi dedicati agli imprescindibili studi sulla commedia aristofanesca di Marzullo. Il breve intervento di M. P. Funaioli parte da un articolo dal titolo Strepsiade (“Maia”, 6, 1953, pp. 99-124), in cui l’intellettuale cercava di definire le caratteristiche individuali del personaggio delle Nuvole, inaugurando una prospettiva di ricerca innovativa, dal momento che all’epoca si tendeva a considerare i caratteri di Aristofane poco più che personaggi fissi. Il grecista, in successivi lavori, arrivava ad evidenziare dinamicità e individualità anche di altri personaggi comici, partendo dalla corretta interpretazione di alcuni “nomi parlanti”; ricostruiva, inoltre, correttamente il rimaneggiato esodo della Lisistrata.

Particolarmente rilevante, a parere del recensore, è il contributo di V. Tammaro, che si occupa di una delle opere capitali di Marzullo, cioè la traduzione delle commedie di Aristofane: sono prese in esame le traduzioni del commediografo presenti nel volume a più mani La commedia classica (Firenze 1955), confrontate con quelle del 1968 e del 2003. Attraverso l’analisi di nove passi delle Nuvole nelle tre diverse versioni, Tammaro perviene a queste condivisibili conclusioni: tra il ’55 e il ’68 Marzullo matura una svolta linguistica e professionale; riduce i toscanismi presenti nella traduzione del ‘55 a favore della presenza di termini propri di un italiano “romano” e “meridionale”; predilige l’indicativo rispetto al congiuntivo e al condizionale, mostra una propensione spiccata per l’imperfetto congiuntivo assoluto. Il grecista, naturalmente, da fine letterato, si astiene da ogni forma di kitsch, ma punta ad un’icastica espressività, con un italiano standard “lievemente quanto argutamente popolareggiante” (p. 132). Nella traduzione del ’68 (ma già in quella delle Rane del 1961) lo studioso rinuncia alla “lingua paludata” della tradizione letteraria, mirando ad uno stile conciso e, soprattutto, scenicamente efficace. Riesce così, grazie all’edizione del ’68 (da cui quella del 2003, ancora punto di riferimento per studiosi e lettori, prende le mosse), a restituire ai lettori la vivacità del testo aristofanesco, reso con una lingua adatta alla messinscena e ancora efficace dopo oltre cinquant’anni.

Davvero interessante, a proposito dell’ultima traduzione aristofanesca di Marzullo, anche la testimonianza di E. V. Maltese (all’epoca consulente redazionale della casa editrice Newton&Compton). L’operazione del grecista consistette nel rivedere il testo critico stabilito dal Coulon per “Les Belles Lettres”, nel modernizzare la traduzione senza “restare prigionieri degli ‘odiernismi’” (p. 134), nel rendere evidente la scansione dello spettacolo (ogni scena doveva iniziare in una nuova pagina); lo studioso riporta un’affermazione di Marzullo: “Aristofane non è mica Strabone: non va soltanto letto, va visto, Maltese!” (p. 134). L’edizione resta preziosa anche per le annotazioni ‘di regia’ inserite dal filologo, nel suo tentativo di “innovare conservando” le opere del grande commediografo (p. 135), cifra e obiettivo dell’intenso lavorio del traduttore nel corso dei decenni.

R. Tosi analizza gli originali apporti forniti da Marzullo agli studi sulla lessicografia antica; se alcune delle sue idee (soprattutto a proposito degli emendamenti da porre nel testo in un’edizione lessicografica) non hanno avuto seguito, il suo approccio per certi aspetti “contro-corrente” ha, di certo, dato impulso a tale campo di ricerca.

Due contribuiti sono legati a ricordi privati: B. Zimmermann rammenta la figura di Marzullo, pubblicando un breve scambio epistolare avuto con lo studioso su questioni filologiche; O. Montanari ricorda di averlo incontrato come esaminatore di un concorso per una borsa di studio e fa riferimento al lavoro di correzione delle bozze delle traduzioni di Aristofane, da lei svolto come apprendistato universitario.

Il ritratto del poliedrico intellettuale è completato dagli ultimi due interventi del libro. G. Liotta esamina gli interventi del Marzullo giornalista, che definisce, nel titolo del suo contributo, “accademico irregolare, fuori dal genere”. Pur lavorando per quotidiani come Paese sera, Il Giorno, L’Unità, il grecista non rinuncia al suo stile personalissimo, “una scrittura che somiglia molto da vicino a una partitura musicale dell’avanguardia primo-novecentesca, dissonante, timbrica, atonale” (p. 151), con disarmonie linguistiche prestabilite.

D. Seragnoli, nel saggio conclusivo, offre un altro spaccato davvero suggestivo di storia, ripercorrendo i suoi anni al DAMS, per spiegare quanto sia stata formativa quell’esperienza, che lo ha spinto anni dopo a creare a Ferrara il CTU, il Centro Teatro Universitario. Viene messo nuovamente in rilievo il ruolo di Marzullo nella creazione di una facoltà universitaria tanto innovativa come il DAMS: nel Corso di Laurea appena creato venivano infatti invitati a insegnare anche esponenti di saperi non convenzionali, in grado di formare gli allievi con laboratori inusitati e poco teorici. Peculiari dei primi decenni del DAMS erano un rapporto professori-studenti per nulla formale, una didattica creativa e coinvolgente, gli incarichi conferiti per ‘nomina’ ad intellettuali spesso di provenienza extra-accademica.

Il volume, corredato di un’utile Bibliografia, ha il merito di offrire, come abbiamo provato a mostrare, un ritratto “a tutto tondo” di un intellettuale che ha fornito nella sua lunga esistenza contributi davvero significativi al mondo della cultura, spaziando tra vari campi del sapere, anche al di fuori dell’ambito universitario.

Tavola Dei Contenuti

Premessa, di A. M. Andrisano e V. Tammaro  p. 7
1. Note rapsodiche e stravaganti per un maestro eccentrico, di M. De Marinis  p. 9
2. Marzullo tra Omero e la lirica arcaica, di V. Casadio  p. 21
3. Il ‘paradigma di Achille’ e la bilancia d’oro di Zeus: a proposito dell’esistenza di un ordine del mondo, di L. Perilli  p. 27
4. Il Maestro del Prometeo: la performance di Io, doppio psicopatologico del protagonista, di A. M. Andrisano  p. 71
5. Lo studio dei caratteri comici, di M. P. Funaioli p. 109
6. Philologie in Briefwechseln. Erinnerungen an Benedetto Marzullo, di B. Zimmermann  p. 113
7. Tradurre Aristotele: tracce di un’evoluzione, di V. Tammaro  p. 121
8. Nell’officina dell’ultimo Aristofane di Marzullo, di E. V. Maltese  p. 133
9. Marzullo e gli studi di lessicografia greca nella seconda metà del Novecento, di R. Tosi  p . 137
10. Ricordo di Benedetto Marzullo, di O. Montanari, p. 145
11. Una strepitosa acribia. Alcuni interventi culturali di un giornalista accademico irregolare, “fuori
dal genere”, di G. Liotta p. 149
12. Bologna-Ferrara, DAMS-CTU, solo andata…, di D. Seragnoli  p. 153
Bibliografia  p. 167