Nelle molteplici “vite” di un vaso attico tra Atene e l’Etruria, forme e iconografie assumono di volta in volta valore e significato diversi che si adeguano al contesto. Il titolo programmatico di questa nuova pubblicazione di Sheramy D. Bundrick preannuncia già il taglio che assumerà la disanima di un tema centrale nelle ricerche di ceramografia antica: se le problematiche sono note nella storia degli studi, la reinterpretazione della questione in chiave “biografica” offre nuovi spunti di riflessione.
Nel primo capitolo introduttivo (pp. 3–19), dopo aver ripercorso brevemente alcuni studi chiave sui vasi attici rinvenuti in contesti etruschi, l’autrice riscontra uno sbilanciamento della ricerca, tesa tra gli estremi di un’interpretazione atenocentrica oppure, più raramente, di una lettura etrusca, con conseguente trascuratezza o dei contesti di ritrovamento o di quelli di produzione. Il volume si configura, quindi, come un tentativo di riequilibrare l’esegesi, adottando come base metodologica il concetto di “biografia dell’oggetto” per ricostruire i rapporti tra produttori e acquirenti, nonché il ruolo dei commercianti ( emporoi) come anelli di congiunzione in grado di influenzare il processo di produzione e di consumo della ceramica attica. In base a queste premesse Bundrick sceglie di riconsiderare alcuni corredi tombali etruschi e di reinterpretare i vasi attici qui rinvenuti, valutando l’interazione tra forma vascolare, immagine e contesto. Il processo analitico porta a mettere in giusta evidenza l’intenzionalità degli etruschi nella scelta della ceramica, l’impatto del mercato etrusco sulle strategie di produzione e il ruolo dei commercianti in questo processo (p. 18).
Nel secondo capitolo “The Nature of the Athenian Vase Trade” (pp. 20–50) vengono evidenziati gli elementi principali che permettono di ricostruire la biografia di un vaso. Per comprendere la reciprocità tra pittori, emporoi e acquirenti e l’intenzionalità delle strategie commerciali mirate al mercato etrusco (contrastando—giustamente—il presupposto diffuso che l’élite ateniese fosse principale destinataria della ceramica figurata), è necessario incrociare dati di diversa natura. Dall’analisi dei contesti di ritrovamento si ricavano modelli di distribuzione e diffusione di forme vascolari, personalità pittoriche e, seppur più difficilmente, iconografie. L’analisi delle botteghe ateniesi indica, così, una specializzazione e un graduale adattamento ad alcune forme o motivi anche influenzati dai desideri degli acquirenti, per tramite dei commercianti. L’operato di questi ultimi è tracciabile attraverso fonti epigrafiche: marchi commerciali, registrazione di lotti o indicazioni di prezzo, che illustrano la trama della distribuzione, possibili commissioni o esigenze di distribuzione. Infine, il carico di relitti permette di valutare nel concreto, seppure in pochi singoli casi, la domanda degli acquirenti di cui gli armatori dovevano essere ben consapevoli.
Il terzo capitolo “Context, Consumption, and Attic Vases in Etruria” (pp. 51–92) ci porta in territorio etrusco per chiarire l’uso e l’integrazione della ceramica nella cultura materiale locale, valutando il punto di vista degli acquirenti. Interpretate nel contesto di ritrovamento, lo spazio liminale della tomba, le immagini attiche possono assumere per l’utenza etrusca un diverso significato: alcune scene di violenza, ad esempio, possono essere lette come un avvertimento a non compiere atti di hybris. Assemblamenti di vasi allogeni e locali sembrano da associare in primo luogo al banchetto, facendo eco alla narrazione greca e romana della lussuria etrusca. Uno sguardo approfondito alle rappresentazioni di kylikeia nell’iconografia funeraria etrusca porta, invece, l’autrice a valorizzare il ruolo performativo dei vasi in contesto funerario. Così, i dipinti della Tomba del Barone potrebbero alludere a un rituale per il quale è rilevata ad esempio un’analogia con l’offerta della kylix di Oltos (Roma, Villa Giulia, 106462) all’ingresso della Tomba Martini Marescotti di Caere. L’assemblamento e la collocazione di oggetti in contesto tombale ne trasforma letteralmente e simbolicamente l’essenza, come accade ai vasi esplicitamente marchiati “per la tomba” attraverso l’iscrizione śuthina. Il confronto tra il corredo di una tomba a camera nella necropoli della Banditaccia a Caere e la Tomba di Brygos a Capua chiarisce poi come gli oggetti ivi deposti debbano essere considerati nell’insieme del corredo, amplificando il valore della tomba come spazio liminale. Nella composizione del corredo si manifesta l’esito di un’accurata scelta da parte degli acquirenti etruschi, agenti attivi del processo di selezione mirata a rimarcare, nel caso della tomba di Caere un ideale eroico, in quello della tomba di Capua una narrazione ctonia. Un ultimo sguardo a una tomba a cassone presso la Cucumella a Vulci ribadisce, enfatizzando temi dionisiaci e il ruolo di Fufluns in chiave escatologica, come le immagini, seppur di origine attica, parlino in contesto tombale un linguaggio propriamente etrusco, prettamente legato alla sfera sepolcrale.
Illustrato, così, il ruolo delle categorie di agenti coinvolti nel processo di produzione, distribuzione e uso dei vasi attici in Etruria, Bundrickne chiarisce nel concreto gli effetti considerando tre esempi relativi rispettivamente alla diffusione di forme vascolari (le coppe a occhioni, pp. 93–126), di iconografie (legate alla sfera semantica dell’acqua, pp. 127–160) e dell’uso di ceramica attica come urna (pp. 161–206).
Le botteghe ateniesi produttrici dei primi esempi di coppe a occhioni paiono avere particolare interesse per il mercato etrusco, esportandole preferenzialmente in Etruria Meridionale (specialmente a Vulci). Riflessioni sull’uso delle coppe a occhioni nel symposion, sulla loro interpretazione in chiave apotropaica e sul possibile valore di maschera sono state a lungo dibattute. A causa delle grandi dimensioni di alcuni esemplari e della distribuzione dei ritrovamenti, l’autrice sottolinea, al contrario, come l’interpretazione in chiave simpotica non sia sempre la più adeguata, se si pensa al mercato etrusco come principale destinatario delle kylikes e alla tomba come contesto di utilizzo. Dall’analisi di alcuni corredi vulcenti di cui fanno parte coppe a occhioni Bundrick ne afferma il significato escatologico e apotropaico piuttosto che l’associazione a usanze greche simposiache, prive di riscontro nei corredi tombali etruschi. In conclusione, tornando sulla nota kylix di Exekias a Monaco (Antikensammlung, 8729/2044), con la quale l’autrice aveva aperto la discussione sulle coppe a occhioni, e che permette nuovamente l’associazione di Dioniso/Fufluns al mondo ctonio, Bundrick accenna al fatto che la riparazione del piede possa implicare un utilizzo della kylix prima di entrare a far parte del corredo—un aspetto, questo, che forse avrebbe meritato più considerazione in sede esegetica.
La sfera semantica marina è particolarmente diffusa nell’immaginario sepolcrale etrusco, laddove la navigazione simboleggia il passaggio all’aldilà. Oggetto di analisi del quinto capitolo “The Mastery of Water” sono due iconografie da sempre ricondotte a ispirazioni prettamente ateniesi, per le quali si propone una reinterpretazione alla luce del fatto che gli Etruschi, maestri di navigazione e di idraulica, fossero stati a loro volta adeguati destinatari di queste immagini. Il motivo di Eracle che combatte Tritone pare da un lato rispondere alla crescente domanda di rappresentazioni dell’eroe in Etruria, come confermano i marchi commerciali. Nell’ottica etrusca, secondo Brundick, l’iconografia potrebbe simboleggiare il combattimento contro il male o, genericamente, lo sforzo eroico per il superamento delle difficoltà. Analogamente, vasi con rappresentazioni di fontane provengono per la maggior parte da sepolture etrusche, dove le interpretazioni ateniesi chiamate comunemente in causa—sia che abbiano a che fare con la fontana pisistratea, che con il ruolo e la condizione delle donne ateniesi o con momenti rituali di varia natura—non bastano a motivare la presenza dei vasi. Anche in questo caso i marchi paiono confermare l’intenzionalità dell’esportazione delle immagini che, rivisitate alla luce del contesto funerario e dei relativi corredi, possono essere associate sia a un modello di arete maschile legata all’esercizio fisico, che all’immaginario femminile più pertinente alla sfera semantica del matrimonio. La fortuna dei motivi legati all’acqua si motiva da un lato nelle capacità tecnologiche etrusche in merito di idraulica, dall’altro—e in modo convincente —nel ruolo sacro dell’acqua nelle manifestazioni di culto in Etruria. Da non trascurare in questa lettura il forte e assodato legame tra Eracle e i culti delle acque. Senza sminuire il contesto di origine delle immagini, dove rimane valida l’interpretazione greca, l’autrice suggerisce che la fortuna di queste iconografie sia dovuta piuttosto al desiderio di assecondare i gusti degli acquirenti etruschi.
Nel denso capitolo “Attic Vases as Etruscan Cineraria” viene trattato l’uso della ceramica attica figurata nella funzione di urna cineraria, diffuso in territori etruschi dove la cremazione ha lunga tradizione e dove coesiste l’impiego di ceramica locale. I vasi attici si configurano in questo senso come un’opzione attraente, fornendo un messaggio aggiuntivo trasmesso dall’iconografia. L’analisi viene effettuata attraverso il confronto tra comunità più o meno direttamente a contatto con il mondo greco in cui la pratica risulta diffusa e documentabile. A Tarquinia è frequente l’uso di anfore, evocative nella forma delle urne biconiche; le loro iconografie rimandano soprattutto all’immaginario maschile eroico e guerriero, mentre solo una minoranza dei vasi si rivolge alla sfera femminile. Analoghe scelte semantiche legate a iconografie di guerrieri—in correlazione per altro col tema della morte precoce—si riscontrano nei vasi-urna a Caere e Vulci. L’ultimo accurato esempio riguarda Foiano della Chiana, sito nell’entroterra dove la ceramica attica arriva mediata dai centri di Vulci e Chiusi, o attraverso la via Adriatica. Le iconografie spaziano in questo caso da motivi eroici, a scene musicali (nelle quali gli etruschi potrebbero aver valorizzato lo spettatore seduto col bastone come simbolo di potere), all’inseguimento e uccisione di Orfeo (interpretato in vista della trasformazione dopo la morte), al banchetto (tema diffuso ampiamente nell’immaginario funerario chiusino). Se nella cremazione, metafora del passaggio del corpo a un altro stato, il defunto “avvolto” nelle immagini è da queste accompagnato nel suo viaggio (p. 202), nella scelta delle iconografie Bundrick non legge un desiderio di emulare Atene, quanto piuttosto l’integrazione di oggetti allogeni in pratiche e ideologie locali.
Nell’ultima sezione “The Etruscanization of Attic Figured Pottery” (pp. 207–221) l’autrice ripercorre i principali risultati. Forma, tecnica e iconografia della ceramica attica paiono influenzati attivamente dalla richiesta degli acquirenti, che si ipotizza mediata dagli emporoi dai quali ceramografi e pittori ateniesi avrebbero avuto informazioni sui gusti dei clienti, apprendendo come rendere il proprio repertorio più appetibile all’acquisto. Con questo la studiosa non vuole, però, negare il potenziale del mercato locale ateniese, quanto più evidenziare il ruolo attivo di tutti i partecipanti alle “vite” dei vasi attici. In un processo di adeguamento selettivo si palesa, così, l’interazione tra domanda e produzione in una prospettiva di globalizzazione e al contempo di glocalizzazione, attenta, quindi, alle esigenze locali e all’uso dell’oggetto in tombe ben distanti dai contesti di produzione.
Nell’insieme l’autrice riesce a presentare un punto di vista alternativo su un tema complesso e discusso. Seppure non sia la prima a proporre di riequilibrare la relazione tra Atene e l’Etruria, rivalutando anche il ruolo dei commercianti (p. 14 n. 71), 1 Bundrick riesce attraverso esempi chiari e ben selezionati a illustrare nel concreto come sia possibile valutare i rapporti tra produzione, commercio e acquirenti, in considerazione dei diversi punti di vista. Un altro pregio di questo lavoro consiste in nuove identificazioni della pertinenza di alcuni vasi a corredi smembrati sul mercato antiquario (ad es. p. 168, 172, 200) in modo da permettere una ricostruzione sempre più oggettiva dei contesti di ritrovamento e in generale consentire di seguire le trame delle “vite moderne” dei vasi. Va rimarcato che lo studio riguarda la trattazione quasi esclusiva dei contesti tombali, una scelta metodologica (p. 13) comprensibile—in quanto le sepolture forniscono non solo l’ultima destinazione del vaso, ma anche materiali conservati nella loro interezza e valutabili agevolmente nell’insieme del corredo –il che porta ad accentuare l’interpretazione ctonia. Come possibile spunto per futuri approfondimenti rimane la valutazione di altri contesti di ritrovamento abitativi o sacrali (accennata nel primo capitolo, pp. 13–18).2
Il volume—pregevole anche per il corredo iconografico, i pratici indici e la ricca bibliografia—si configura nel complesso come un’opera valida e originale nell’approccio metodologico ed esegetico e costituisce una solida base per futuri studi in questa direzione.
Notes
1. Altri esempi in: C. Reusser, Vasen für Etrurien. Verbreitung und Funktionen attischer Keramik im Etrurien des 6. und 5. Jahrhunderts vor Christus (Zürich 2002), spec. 125–6. 146–51; L. Puritani, Die Oinochoe des Typus VII. Produktion und Rezeption im Spannungsfeld zwischen Attika und Etrurien (Frankfurt 2009), 146-8.
2. In generale: M. Bentz – C. Reusser, Attische Vasen in etruskischem Kontext. Funde aus Häusern und Heiligtümern, CVA DE Vol. 2 ( Munich 2004).