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La studiosa offre una traduzione completa in italiano e un ricco commento del testo dei Florida; per la prima volta un’edizione italiana dell’opera di Apuleio comprende sia i 23 excerpta che tradizionalmente ne costituiscono il testo, sia i cinque excerpta confluiti nel De deo Socratis (la cosiddetta falsa praefatio), che ormai l’orientamento critico maggioritario ritiene parte integrante della raccolta antologica dell’autore delle Metamorfosi. Primo punto di merito del volume è quindi il fatto che esso va a colmare una lacuna nella bibliografia italiana, dal momento che sia l’edizione curata da Augello1 sia il commento di La Rocca2 escludevano i cinque excerpta, un tempo inseriti nel De deo Socratis (essi sono indicati nel commento con numero romano, laddove per i 23 excerpta si utilizzano i numeri arabi). L’editrice si avvale per i 23 excerpta del testo da lei stabilito nella tesi dottorale del 2014,3 frutto di una ricerca sulla tradizione delle opere oratorie di Apuleio; per i frammenti I-V utilizza come base l’edizione stabilita da Beaujeu,4 indicando nel commento i punti in cui si discosta da essa. La paragrafazione dei 23 excerpta segue quella operata da P. Vallette nella sua edizione per Les Belles Lettres (1924, 1960 2); per i cinque frammenti, che un tempo costituivano la praefatio del De deo Socratis, la studiosa provvede ad una sua ripartizione interna degli estratti, in mancanza di un’edizione che la fornisca.
La studiosa dedica utili paragrafi introduttivi all’autore, alle altre opere apuleiane, alla natura dei Florida, al problema del falso prologo del De Deo Socratis, alla lingua e allo stile di Apuleio, alla tradizione manoscritta, all’ecdotica dei Florida, alle peculiarità dell’edizione allestita.
Di particolare interesse è il paragrafo 3.2, “I problemi di trasmissione e il cosiddetto falso prologo del De deo Socratis ”. La divisione in excerpta è un’acquisizione che risale ai Symbola Critica in L. Apulei philosophi Platonici opera, di C. Schoppe (Lugduni Batavorum, 1594), mentre nei manoscritti la materia appare suddivisa in quattro libri. Tuttavia la ripartizione dei codici fa nascere il sospetto che l’opera, nella forma in cui è pervenuta a noi, sia l’esito dell’attività di un antico editore interessato a mantenere la divisione in quattro libri con omogenea distribuzione della materia in parti con buona approssimazione uguali. È inoltre problema assai dibattuto se la cosiddetta falsa praefatio sia un’unica sezione, realmente introduttiva, o viceversa si tratti di cinque brevi frammenti indipendenti l’uno dall’altro, affini per natura retorica ai Florida e ad essi pertinenti. Se già Pierre Pithou nei suoi Adversaria subcesiva (Parisiis 1565) notava l’estraneità della presunta praefatio rispetto all’opera che pretendeva di introdurre, è stato fondamentale nel 1900 un contributo del Thomas,5 che evidenziò nella sezione incoerenze e contraddizioni interne, tali da indurlo a enucleare i cinque distinti estratti. Tale posizione è oggi prevalente. Il fatto che i Florida non terminino come la tradizione manoscritta ce li ha consegnati sembra corroborato dalla mancanza di una subscriptio solo alla fine del quarto libro (forse per caduta di una sezione finale), nonché dalla bipartizione della tradizione delle opere di Apuleio in due blocchi: il primo trasmetteva De magia, Metamorphoses, Florida, l’altro De deo Socratis, De Platone, De mundo, Asclepius. È convincente l’ipotesi avanzata dalla studiosa che a monte potesse esserci un’originaria raccolta comprendente le sette opere, con Florida e De deo Socratis contigui. I cinque frammenti nel momento in cui la tradizione delle opere narrative e oratorie è stata scissa sarebbero stati erroneamente attribuiti al De deo Socratis.
Per quanto riguarda lo stile, l’editrice sottolinea quanto la prosa di Apuleio sia variegata e pirotecnica, al punto da dar ragione al giudizio del Norden,6 che definiva lo scrittore il più brillante giocoliere della lingua che sia mai esistito. Il risultato dell’operazione di Apuleio è una prosa artefatta, spesso definita barocca, che il Paratore inserì nel cosiddetto neoasianesimo.7
La studiosa, oltre a chiarire alcuni aspetti contenutistici, si sofferma in particolare nel commento su problemi testuali, stilistici, letterari e linguistici. Si fornisce in questa sede un campionario delle principali tipologie di intervento sul testo, tutte condivisibili, operate dall’editrice. Nel primo degli excerpta, ad esempio, Piccioni non ritiene giusta la proposta di correzione dell’umanista Steewech,8 aliqui lucus aut alius locus, in luogo del tradito aliqui lucus aut aliqui locus, poiché si sciuperebbe il bicòlon simmetrico, in cui la paronomasia lucus /locus è enfatizzata dall’anafora dell’indefinito. In 2, 7 viene stampata la lezione dei codici effusam, seguendo Hunink,9 laddove molti critici correggono in offusam; interessante il fatto che la correzione effusam compaia già nell’ editio Aldina del 1521.
In Florida 3, 6 viene difesa la lezione tràdita inlutibarbus, che l’ editor princeps Bussi ( Romae 1469), banalizzando, sostituiva con multibarbus. Anche nell’ excerptum 6, 11 la studiosa propone di salvare il testo dei codici, intendendo commemorant in senso assoluto, raccontano, anziché provare a integrare il testo inserendo un complemento oggetto retto dal verbo, come hanno fatto altri studiosi. Suggerisce, però, come altra soluzione, di considerare commemorant come una glossa esplicativa interlineare scivolata di copia in copia nel testo e come tale da espungere. In 8,1 si accetta la correzione sibi, stampata anche da alcuni editori, mentre i codici hanno la lezione tibi; sibi appare maggiormente coerente, dato il verbo alla terza persona debet. L’editrice in 9, 3 accetta opportunamente la congettura di Thomas10 lividulis che, nel suo significato, è sinonimica e più preziosa rispetto a lividis (stampata nelle edizioni correnti), spiega meglio la lezione libidinis dei manoscritti e incontra il gusto apuleiano per i diminutivi. In 9, 8 la studiosa stampa la lezione tràdita verum, anziché la congettura vero di Leo,11 accettata da tutti gli editori. In 12, 1 viene stampato Psittacus Indiae avis est, poiché il testo tràdito, Psittacus avis Indiae avis est, lascia sospettare una corruzione; convincente la spiegazione fornita sulla genesi dell’errore: il copista, dopo aver trascritto psittacus avis est, per inserire Indiae, ha probabilmente registrato a margine Indiae avis, confluito nel testo in successive copie. In 16, 35 testimonium… in curia Carthaginiensium non minus splendidissima quam benignissima viene mantenuta la lezione dei codici, mentre i moderni editori, tranne Hunink12 e Martos,13 stampano la congettura di Van der Vliet14 splendidissimum … benignissimum, che collega gli aggettivi a testimonium. La scrittura tràdita può essere salvata, a parere della studiosa, dal momento che numerose sono le lodi apuleiane del senato di Cartagine (si vedano in particolare 16, 4, ab hoc splendidissimo conspectu vestro; 16, 41, in illa sanctissima curia).
In 19, 3 la studiosa accetta la lezione dei codici ut incognosceret, già difesa da Hunink, intendendo incognosco come sinonimo di cognosco; Van der Vliet, con altri editori, emenda in utine cognosceret. In 20, 3 l’editrice sceglie eximit, lezione tràdita, laddove altri editori stampano la congettura excitat di Helm; 15 eximit, col suo senso di rimuovere, togliere via, evoca un procedimento maieutico da attuarsi sull’animo del discente. Va tuttavia evidenziato che l’ excitat di Helm ha il merito di creare una triplice metafora militare con i successivi instruit … armat. Nell’ excerptum 20, al paragrafo 4, la studiosa e alcuni editori scelgono di stampare commixtam, in luogo della lezione dei codici commentam, difficilmente riferibile ad una coppa di vino, che l’editrice aveva in un primo tempo accettato nella tesi dottorale.16
In 21, 3, nell’espressione vivatae pernicitatis, viene stampata la correzione di Armini,17 laddove i codici F e A hanno vivace, chiaro errore. I moderni editori giustificano la scelta di vivacis perché presente in un codice, sulla base anche di vivacissimae pernicitatis di Gell. 9, 4, 9. Piccioni, però, ritiene la correzione vivatae più vicina al testo di F e soprattutto di ascendenza lucreziana ( vivata potestas si legge in 3, 409; 558; 680), in un passo in cui Apuleio sta descrivendo un viaggio a cavallo con parole luciliane. L’aggettivo rende bene l’incalzare rapido del cavallo come mezzo di trasporto.
Nel quinto degli excerpta aggiunti all’edizione, al paragrafo 1, la studiosa rifiuta il cetera Latine materiae persequamur, stampato dalle già citate edizioni di Thomas e Beaujeu, a suo parere innaturale, a favore di Latine cetera materiae persequamur di Goldbacher.18 L’inversione si può spiegare se si pensa a trascrizione operata per brevi pericopi di testo lette e imparate per la copia.
Altro punto di forza del volume è l’accuratezza delle note, di cui forniamo qualche esempio, in cui vengono segnalate le peculiarità linguistiche e stilistiche della prosa di Apuleio. In 6, 6, a proposito di bubulcitare, pascere buoi, l’editrice sottolinea che si tratta di uno degli esempi di ripresa di parole plautine; il passo è confrontabile con Pl. Mos. 53 e si trova anche in Varrone ( Men. 257). In 9, 30 ( sigillatim ac discretim, sed cunctim et coacervuatim), oltre a sottolineare la predilezione di Apuleio per gli avverbi in -tim, data la loro patina arcaica, Piccioni evidenzia che il suffisso diventa produttivo anche per neologismi, come in questo caso, in cui tre avverbi su quattro (fa eccezione il singillatim) non sono mai attestati prima, anche se hanno poi successiva fortuna.
Opportunamente viene segnalata nell’ excerptum 11 la giustapposizione di diversi preziosismi lessicali (gli arcaismi scruposum e senticetum, il neologismo rupina, un termine assai raro, come tesquis, e il raro costrutto furatum eunt, con eo + supino. In 16, 45, a proposito dell’avverbio praefascine, l’editrice, evidenziando che si tratta di uno scongiuro ( prae fascinum), ricorda che è termine attestato in Plauto (ad es. As. 491), ma si ritrova in Petronio (73, 6); ritiene, quindi, che il termine fosse presente nella lingua parlata, anche se non affiorava nei testi letterari.
In 17, 15, a proposito della citazione di un verso virgiliano ( Ecl. 8, 56), la studiosa ricorda che Apuleio non cita Virgilio quando riporta i suoi versi (si veda anche il verso citato in 3, 3 o 16, 33), dando per scontata la conoscenza da parte del lettore, diversamente da quanto fa con altri autori.
In 19, 2 ( tristissimos et obsolentissimos) Apuleio è spinto dalla sua creatività verbale ad utilizzare per primo al superlativo l’aggettivo obsolens, per accostarlo a tristissimos e allestire un gioco fonico. In 20, 8, a proposito di punienda, la studiosa ricorda che Apuleio utilizza alternativamente la forma classica e la forma con vocalismo arcaico, attestata in Varrone, Gellio, Frontone (ad es. 3, 7, poeniendam).
Nel terzo degli excerpta aggiunti all’edizione, al paragrafo 1, la studiosa sottolinea che la metafora architettonica offre ad Apuleio lo sfoggio di tecnicismi ( maceria, muro a secco, structor, costruttore, architetto, regula, righello, perpendiculum, filo a piombo, pondus, materiale di riempimento, conliniatus, allineato), dimostrando che non c’è campo del sapere in cui l’autore non metta in gioco le sue competenze.
Il volume è apprezzabile per l’acribia filologica mostrata e per l’efficacia del commento e della traduzione proposta; sarebbe stato forse più opportuno inserire un apparato critico, anziché dar conto solo nel commento delle scelte testuali effettuate, data la presenza di un certo numero di problemi filologici. L’autrice, quando possibile, prova a salvare il testo tràdito, in alcuni casi ripropone lezioni convincenti poco seguite dalla critica, in molti conferma quelle accettate in maggioranza dagli editori. Il volume è corredato di una Bibliografia, dell’ Indice dei nomi propri e delle cose notevoli, dell’ Indice dei manoscritti.
Tavola dei contenuti
1. L’autore (pp. 7-8)
2. Le opere e il contesto culturale (pp. 9-12)
3. I Florida (p. 13)
3.1 La natura dell’opera (pp. 13-14)
3.2 I problemi di trasmissione e il cosiddetto falso prologo del De deo Socratis (pp. 15-17)
3.3 Gli argomenti dei 28 excerpta (p. 18)
4. Lingua e stile (pp. 19-20)
5. La tradizione manoscritta (pp. 21-22)
6. Una breve storia dell’ecdotica dei Florida (pp. 23-25)
7. La presente edizione (pp. 26-28)
8. Testo e traduzione (pp. 29-91)
9. Commento (pp. 92-153)
Bibliografia (pp. 154-162)
Indice dei nomi propri e delle cose notevoli (pp. 163-166)
Indice dei manoscritti (p. 167)
Notes
1. G. Augello, Florida di Lucio Apuleio, Torino 1984.
2. A. La Rocca, Il filosofo e la città. Commento storico ai Florida di Apuleio, Roma 2005.
3. F. Piccioni, I Florida di Apuleio. Prolegomena, testo critico e traduzione, discussa presso l’Università degli Studi di Sassari, 18 marzo 2014.
4. J. Beaujeu, Apulée, Opuscules Philosophiques (Du dieu de Socrate, Platon et sa doctrine, Du monde) et Fragments, Texte établi, traduit et commenté, Paris 1973.
5. P. Thomas, Remarques critiques sur les œuvres philosophiques d’Apulée, BAB, 37, 1900, pp. 143-165.
6. E. Norden, La prosa d’arte antica: dal VI secolo a. C. all’età della Rinascenza, ediz. ital. a cura di B. Heinemann Campana, Roma 1986, vol. I, p. 606.
7. E. Paratore, La prosa di Apuleio, Maia, 1, 1948, pp. 33-47.
8. G. Steewech, L. Apuleii opera omnia Quaestiones et conjecturae, Antverpiae 1586.
9. V. Hunink, Apuleius of Madauros: Florida, edited with a commentary, Amsterdam 2001.
10. Thomas, op. cit. n. 5.
11. F. Leo, Lexikalische Bemerkungen zu Apuleius, ALL, 12, 1902, pp. 95-101.
12. Hunink, op. cit. n. 9, ad loc.
13. J. Martos, Apuleyo de Madauros. Apología, Floridas, [Prólogo de El dios de Sócrates], introducción, traducción y notas, Madrid 2015.
14. J. Van der Vliet, Apulei Madaurensis Florida, Lipsiae 1900.
15. R. Helm, Apuleius. Verteidigungsrede. Blütenlese. Lateinisch und deutsch, Berlin 1977, ad loc.
16. La studiosa spiega i motivi per cui ha cambiato opinione nell’articolo On some loci vexati in Apuleius’ Florida, Mnemosyne, 69.5, 2016, pp. 799-821.
17. H. Armini, Studia Apuleiana, Eranos, 26, 1928, pp. 273-339.
18. A. Goldbacher, De L. Apulei Madaurensis Floridorum quae dicuntur origine et locis quibusdam corruptis, Lipsiae 1867, ad loc.