Dopo i due volumi pubblicati rispettivamente nel 2006 e nel 2007 (e recensiti su BMCR da Richard Janko, BMCR 2007.03.31, e da Matthew Fox, BMCR 2007.10.44), ai quali è seguita, nel 2010, una ristampa «with corrections», Glenn W. Most (d’ora in poi M.) torna a occuparsi del corpus Hesiodeum per la Loeb Classical Library con una seconda edizione, sempre in due volumi, in cui, come viene chiarito negli Acknowledgments posti all’inizio del vol. I (p. viii), nonché nella Preface al vol. II (p. vii), l’Autore ha provveduto a correggere quanto, tra «errors» e «infelicities»,1 era sfuggito nella revisione del 2010 e ha apportato delle aggiunte a livello bibliografico2 e critico-testuale. Circa quest’ultimo aspetto, si segnalano in particolare: nel vol. I, la sezione denominata Further Testimonia, dove sono raccolte alcune testimonianze esiodee, per lo più di carattere epigrafico, non comprese nell’edizione del 2006 e indicate con i numeri progressivi T158-T163 (pp. 290-299); nel vol. II, una selezione di Additional Fragments (pp. 402-407), numerati dal 307 al 311, quasi tutti già editi da Merkelbach e da West, a eccezione dei frr. 308-309.
Sostanzialmente immutata rispetto all’edizione del 2006 –salvo poche modifiche di rilievo, tra le quali possono essere ricordate la soppressione di alcune note3 e la parziale revisione4 della sezione intitolata Hesiod’s Influence and Reception (pp. lxii-lxvii)– è l’ampia Introduction (pp. ix-lxxiii) con cui si apre il vol. I. Ad essa seguono una lista delle sigle, delle abbreviazioni e dei segni diacritici impiegati nei due volumi (pp. lxxv-lxxvi), che nell’edizione del 2006 era premessa all’ Introduction, e una bibliografia selezionata degli studi e delle edizioni utilizzate (pp. lxxvii-lxxxiv), che, contrariamente alla prima edizione, non vanta più un ordinamento cronologico, ma alfabetico. La trattazione dei due poemi considerati autenticamente esiodei dalla stragrande maggioranza degli studiosi, la Teogonia e le Opere, è quindi riservata alle pp. 2-85 e 86-155. Come nell’edizione del 2006, anche in questo caso il testo greco è, eccetto alcuni ritocchi, quello stabilito da Martin L. West nelle edizioni commentate oxoniensi del 1966 e del 1978; la traduzione, posta a fronte nelle pagine dispari, è in prosa ed è provvista, al suo interno, dei numeri (inclusi fra parentesi) di alcuni versi, così da agevolare il lettore nell’individuazione della pericope tradotta.
Relativamente alla traduzione, in ossequio a quanto dichiarato a p. lxxi dell’ Introduction, M. cerca di replicare in lingua moderna lo stile di Esiodo, conservandone non di rado il word order. L’inglese – come era stato già rilevato da Richard Janko (cfr. BMCR 2007.03.31) – risulta ben equilibrato, non essendo né troppo arcaico né troppo moderno. I nomi propri, i teonimi e i toponimi, laddove necessario, sono corredati di ‘note di traduzione’, che hanno lo scopo di chiarirne il senso e di illustrarne l’etimologia al lettore con poca dimestichezza con la lingua greca e con la mitologia classica (cfr., ad es., per il vol. I: pp. xxix e 13 n. 7, in riferimento a Χάος, che è reso con «Chasm»; p. 19 n. 10, per Afrodite; p. 95 n. 7, per Ἐλπίς; per il vol. II: p. 191 n. 1, a proposito delle isole Strofadi; p. 283 n. 2, per Ἰλεύς). Tali note esplicative s’incontrano anche per alcuni epiteti non immediatamente intelligibili da chi non è esperto nel campo degli studi sull’epica classica (cfr., ad es., per il vol. II, la n. 1 a p. 71 relativa a ἰοχέαιρα, epiteto di Artemide). Forse, mantenendosi su questa linea, M. avrebbe potuto inserire ulteriori annotazioni esegetiche nella sezione frammentaria del vol. II, dove la brevità dei passi tradotti, cui si associano i sempre mutevoli meccanismi di tradizione testuale (e talvolta la lacunosità del supporto materiale), porta di frequente il lettore a interfacciarsi con espressioni spesso criptiche a causa della loro concisione: ad es., nei frr. 105 e 192 («Hesiod says in the Great Ehoiai […] that Phineus was blinded because he indicated the way to Phrixus») sarebbe stato opportuno spiegare che la ‘strada’ di cui parla il testimone dei due frammenti (lo scoliaste ai vv. 178-182 del II canto delle Argonautiche di Apollonio Rodio) è il tragitto per raggiungere la Colchide, dove terminerà la fuga del figlio di Atamante, costretto ad abbandonare la sua patria, Orcomeno, in Beozia, a seguito delle trame della matrigna Ino.5
Un apparato critico essenziale è collocato in calce alle pagine e spesso s’incontrano delle utili note che hanno la funzione di chiarire il senso di luoghi testuali non immediatamente perspicui ovvero di segnalare la complessa esegesi di particolari locuzioni o vocaboli. A titolo esemplificativo, si citerà il caso di Th. 535 (ὅτ᾿ ἐκρίνοντο θεοὶ θνητοί τ’ ἄνθρωποι), relativo all’episodio della ‘contesa’ tra gli Olimpici e gli uomini in quel di Mecone (antico nome di Sicione), nell’Argolide settentrionale. M. traduce l’espressione con «when the gods and mortal men were reaching a settlement», e, in nota (p. 45 n. 27), spiega che «the precise meaning of the verb Hesiod uses is obscure; it seems to indicate that gods and men were now being separated definitively from one another, presumably after a time when they had been together». In effetti, intorno alla resa –non semplice– dell’imperfetto ἐκρίνοντο esiste una ricca bibliografia. Per Martin L. West ( Hesiod, Theogony, Oxford 1966, p. 317), al cui giudizio si allinea M., «the word denotes a ‘settlement’ in the legal sense, though not necessarily in a legal context»: il poeta starebbe qui alludendo a una sorta di disputa tra dèi e uomini; un contenzioso però impossibile anche solo da pensare, poiché significherebbe ammettere che tra le due parti esistesse un piano di parità. «They were separating» e «se départageaient» sono invece le traduzioni proposte rispettivamente da W.J. Verdenius ( Hesiod, Theogony 507-616: Some Comments on a Commentary, «Mnemosyne» XXIV [1971], p. 3) e da J.-P. Vernant (in M. Détienne, J.-P. Vernant, La cuisine du sacrifice en pays grec, Paris 1979, p. 46 n. 2): pure in questo caso, tuttavia, si dovrebbe pensare a una disgiunzione (avvenuta presumibilmente dopo l’“età dell’oro”) tra esseri non paritetici, e che mai invero erano stati uniti, giacché in Op. 112 si dice chiaramente che, ai tempi di Crono, gli uomini “vivevano come dèi” (ὥστε θεοὶ δ’ ἔζωον), non con gli dèi, come invece suggerisce l’interpretazione di Verdenius e di Vernant. Per i dubbi esegetici sollevati da questo passo, cfr. ora G. Ricciardelli, Esiodo, Teogonia, Milano 2018, pp. 156-157.
L’elenco delle testimonianze de Hesiodi vita et poesi occupa le pp. 156-299 del vol. I, che è chiuso da una tabella delle concordanze tra la numerazione dei testimonia proposta da M. e quella presente in F. Jacoby, Hesiodi Carmina, I: Theogonia, Berlin 1930. In questa tabella sono ovviamente inserite le nuove testimonianze integrate dall’Autore (T158-163), che, come molte altre,6 non trovano corrispondenza nell’edizione di Jacoby.
A mio parere, fra le testimonianze esiodee M. avrebbe potuto includere P.Schub. 24, un frammento papiraceo, noto anche come P.Berol. 16336 (= Com.Adesp. fr. 1086 K.-A.), databile tra la fine del III e la prima metà del II secolo a.C. (ed. W. Schubart, Griechische Literarische Papyri, Berlin 1950, pp. 53-54 [nr. 24]), al cui r. 10 si legge sine dubio il nome del poeta di Ascra e v’è forse un riecheggiamento di un passo delle Opere.
Il vol. II si apre con una breve Preface (p. vii), rinnovata rispetto a quella del 2007, cui seguono una lista di Abbreviations and Symbols (pp. ix-x) e, senza alcuna novità, il testo, con traduzione a fronte, dello Scudo (pp. 2-39): l’edizione di riferimento è sempre quella curata da Friedrich Solmsen per gli OCT (1970, 1983 2, 1990 3); per la resa inglese, per cui, come per quella dei frammenti, non si segnalano variazioni di rilievo rispetto all’edizione precedente, M. si mantiene fedele, nella disposizione in forma prosastica del testo e nell’uso dei numeri di sezione, ai criteri adottati nel vol. I per la Teogonia e per le Opere. Una traduzione κατὰ στίχον è invece scelta per il Catalogo delle donne (pp. 40-291), nonché, laddove si tratti di testimonianze dirette in versi, per i Fragments about unidentified Myths e per gli Other Fragments (pp. 290-291 e 292-403), per il cui testo critico M. si adegua nell’insieme all’edizione di Merkelbach e West ( Fragmenta Hesiodea, Oxford 1967 [rist. 1999]; cfr. vol. I, pp. lxxi-lxxii). Da essa l’Autore prende tuttavia le distanze limitatamente alla disposizione dei testi frammentari e alla numerazione degli stessi. Chiude il vol. II una tabella di concordanza (simile a quella acclusa alla fine del vol. I per i testimonia vitae et artis), in cui M. pone a confronto la nuova numerazione dei frammenti da lui proposta sia con quella di Merkelbach e West sia con quella dell’edizione del Catalogo a cura di Martina Hirschberger ( Gynaikon Katalogos und Megalai Ehoiai: Ein Kommentar zu den Fragmenten zweier hesiodeischer Epen, München 2004).
Tra gli Additional Fragments presenti in questa seconda edizione degno di nota è il fr. 307, che è frutto del ricongiungimento testuale, operato da David Danbeck ( Hesiod, Catalogue of Women 85+117, «ZPE» CLXXXVII [2013], pp. 15-30), di due frammentini provenienti da due rotoli ossirinchiti ( P.Oxy. 2075, fr. 5 + 2481, fr. 12) e contenenti alcuni resti del primo libro del Catalogo.7
In conclusione, in questi due volumi il lettore constata un ulteriore progresso rispetto all’edizione precedente, che, ripulita degli errori e dei refusi che la caratterizzavano, è stata sottoposta a un pur ridotto aggiornamento in termini bibliografici e contenutistici. Questa nuova edizione, insomma, rappresenta per gli studiosi di Esiodo e del corpus Hesiodeum un utile punto di riferimento, che si lascia apprezzare per acribia critica, rigore metodologico e –aspetto per nulla secondario– consultabilità.
Notes
1. Molti di essi erano stati segnalati nelle recensioni apparse su BMCR. Per il vol. I, ad es., ‘Cyprogenea’, stampato nell’edizione del 2006, è stato corretto in ‘Cyprogenes’ (p. 19); ‘bright’ in ‘gray’ (come traduzione di γλαυκή in Th. 440); ‘prophecies’ in ‘counsels’ (φραδμοσύναι in Th. 626); ‘typhoons’ in ‘tornadoes’ (πρηστῆρες in Th. 846); ‘manly’ in ‘proud’ (ἀγήνωρ in Op. 7), ‘cherished usages’ in ‘good habits’ (ἤθεα κεδνά in Op. 699); ‘mother- in-law’ in ‘stepmother’ (μητρυιή in Op. 825); ‘legesve’ in ‘legesque’ (T47 a p. 196); ‘treatise’ in ‘commentary’ (ὑπόμνημα in T145-146, 148); ‘ruler of Chios’ in ‘king of Athens’ (in riferimento ad Acasto, p. 307). Per il vol. II, ad es., ‘much-cheering’ e ‘ever be destroyed’ (fr. 41, rr. 6-7), ‘for the two of them’ (fr. 48, r. 4 [29]), ‘lawsuit’ (fr. 69, r. 68 [43]), ‘Danae in the halls’ (fr. 77, r. 13), sono stati correttamente inclusi fra parentesi quadre, laddove ‘strife’ (ἔρις: fr. 69, r. 60 [36]) e ‘mightily’ (fr. 90, r. 16) sono stati giustamente slegati dalle parentesi, poiché leggibili nella loro interezza; il nome Σίσυφον è stato infine integrato al r. 18 del fr. 69. Altri refusi corretti emergono dal confronto tra la prima e la nuova edizione e riguardano, ad es.: le citazioni bibliografiche (cfr., per il vol. I, la n. 13, a p. xlix, della nuova edizione rispetto alla n. 15, a p. l, dell’edizione del 2006); i rimandi interni (emblematico è il caso del fr. 295, che nell’edizione del 2006, alle pp. lx e lxii del vol. I, era riferito per errore sia alla Melampodia sia all’ Ornitomanzia).
2. Ancora inedito è, a mia scienza, il papiro ossirinchita menzionato a p. 153 n. 3 del vol. II e contenente una variante relativa al v. 77 del fr. 69. Dell’esistenza di questa testimonianza papiracea veniva data notizia già nell’edizione del 2007 (pp. 140-141 n. 26).
3. Si tratta delle nn. 5-6, 20 e 22, che erano inserite in calce alle pp. xvi, xix e lvi-lvii dell’edizione del 2006 e che sono state assorbite nel testo alle pp. xiv, xvii e lv della nuova edizione.
4. È stato riformulato l’attacco e sono state integrate nuove fonti nella discussione sulle testimonianze relative al culto di Esiodo a Tespie in Beozia (cfr. p. lxv) e nel passaggio sulla ricezione delle opere esiodee nella trattatistica retorica greca (cfr. p. lxvii).
5. Utilissime, soprattutto nel vol. II, sono le ‘note di lettura’ relative alle forme pronominali (sia quelle presenti nel testo greco sia quelle che ricorrono solo in traduzione), di cui M. chiarisce puntualmente –ogni volta che è possibile farlo– l’identità del referente: cfr., ad es., pp. 63 n. 1, 109 n. 1, 113 n. 3, 151 n. 1, 153 n. 2.
6. T22, 36, 43, 46, 48, 51, 54, 57-65, 71, 76-78, 87a, 89-90a, 91, 95, 105a, 106-107, 116c-117a-b, 118, 119c-120, 126, 135, 138, 143, 148, 150-152, 157.
7. In un’annotazione inserita nel corpo del testo, subito dopo il titolo Additional Fragments, l’Autore rende conto dell’esistenza di un «recently discovered, but extremely uncertain, possible fragment of Hesiodic poetry» (p. 403): si tratta di P.Gen. 161, fr. 5 = col. iii, rr. 5-6, riedito e discusso da William Furley e Victor Gysembergh ( Divination, Pyromancy, Hesiod: P. Gen. inv. 161 Has More to Offer, «ZPE» CCIII [2017], pp. 1-23), in cui, a detta dei due studiosi, sembrerebbe esserci «a quote from Hesiod, otherwise unknown» (p. 12).