La storia della tradizione dei classici impone una riflessione metodologica di carattere generale e una scelta a livello di contenuti. Se in passato la storia della tradizione classica ha occupato una parte ancillare rispetto allo studio dei classici in sé, negli orientamenti contemporanei la ‘ricezione’ del classico è parte integrante del classico stesso. Dal punto di vista metodologico, l’utilizzo delle fonti moderne può essere indirizzato principalmente ad una rivalutazione dell’antico, oppure l’analisi dei vari modi in cui il mondo moderno ha risposto a quello antico può essere maggiormente focalizzata sulle risposte e sui contesti moderni.
La questione epistemologica è dunque complessa e riguarda, oltre al metodo di indagine, anche la selezione dei contenuti, se e in che modo bisogna discriminare all’interno delle varie forme di ricezione dell’antico.
Negli anni recenti, diversi volumi si sono occupati della ricezione dei classici nella produzione culturale contemporanea, inserendosi a vario titolo nel filone di studi sull’influenza del classico nella civiltà odierna. A proposito, in particolare, di ricezione omerica, il volume Omero mediatico. Aspetti della ricezione omerica nella civiltà contemporanea si segnala per gli aspetti innovativi sul piano dell’apporto scientifico e metodologico alla disciplina. Il lavoro si incentra sull’eredità della tradizione omerica in un ampio ventaglio di prospettive, in ambiti e forme espressive molto differenti tra loro, spaziando dal campo letterario a quello musicale e a quello delle arti visive e figurative. Rispetto alla prima edizione del 2007, questa nuova edizione riveduta e aggiornata è frutto di ulteriori indagini e approfondimenti, che hanno conferito al lavoro “un assetto più organico e una concatenazione logica più serrata e incisiva tra i diversi contributi”(p. 6), che risultano accomunati da un’accurata selezione e da una maggiore coerenza del materiale.
Nell’introduzione Eleonora Cavallini, la curatrice della raccolta, in maniera puntuale ed efficace, espone le ragioni che hanno condotto alla scelta dell’epica omerica come paradigma antico di riferimento, in quanto “l’idea che l’antichità ci trasmette dell’epica omerica è…quella di un’ ‘opera aperta’, continuamente suscettibile di riletture, reinterpretazini, trasformazioni: una sorta di work in progress, destinato a perpetuarsi nei secoli fino ad avvalersi dei nuovi, sofisticati media messi a disposizione dalla moderna civiltà tecnologica” (p. 5).
Il volume si apre con un saggio di Sotera Fornaro, L’ambiguo ritorno: sondaggi su Omero nella letteratura italiana del Novecento (pp. 9-38), che inaugura la “sezione letteraria”. In esso si esaminano alcuni esempi della ricezione omerica nella letteratura novecentesca, in chiave ora parodica ed attualizzante (Savinio, Isgrò), ora legata al tema della guerra e dei reduci (Malaparte, D’Arrigo), ora a quello del matrimonio (Moravia, Malerba, La Spina). L’autrice riesce a mostrare, ancora una volta, “l’ineludibile vitalità degli archetipi omerici” (p. 36) nella cultura contemporanea.
Procedendo nella lettura del volume, il saggio di Francesco Lucrezi, Il canto di Ulisse: Omero, Dante, Primo Levi (pp. 39-46), affianca le figure dell’Ulisse omerico e poi dantesco a Primo Levi, nella sua disperata ricerca di una spiegazione della perduta umanità, della morte della parola. Le tre figure dell’Ulisse omerico, Dante stesso e Primo Levi sono assimilate secondo l’autore dalla scelta del viaggio che, sola, può dare un senso alla vita e sopravvive nella testimonianza della parola, a vantaggio dei navigatori successivi.
Alla figura di Ulisse è dedicato anche il saggio di Giovanni Cerri, Pascoli e l’ultimo viaggio di Ulisse (pp. 47-66), nel quale è svolta una scrupolosa lettura del poemetto di Pascoli “L’ultimo viaggio”, compreso nella raccolta dei “Poemi Conviviali” del 1904. L’autore individua un’interpretazione ‘onirica’ del poemetto: l’Ulisse pascoliano che non riconosce i luoghi fantastici che ha visitato in gioventù, poiché essi vivono trasfigurati nel suo ricordo, muore nell’estremo tentativo di ottenere una risposta alla domanda sul proprio io, sulla propria identità, prefigurando così la caratteristica esistenziale dell’uomo novecentesco. L’affascinante analisi condotta da Cerri è sostenuta da validi riferimenti testuali a passi non solo omerici, ma di altri autori antichi e moderni, ed è suffragata dal confronto con altre due opere di Pascoli, il carme “Il ritorno” (“Odi e Inni”, 1906) e “Cavallino” (“Myricae”, 1891).
Elena è la figura ispiratrice del contributo di Carlo Brillante, L’ Elena Egizia di Hofmannsthal: una rilettura del mito greco (pp. 67-96), che mostra come le innovazioni di miti antichi spesso ricalchino versioni meno note degli stessi, assumendo però significati nuovi. Un egregio e poco ovvio esempio di tale possibilità è il dramma l’ Elena Egizia di Hofmannsthal, che ricerca una moderna versione di Elena partendo dagli ambiziosi presupposti di riconferire vitalità e attualità al mito. Come sostiene Brillante, la ricerca di un mito che colga verità esistenziali autentiche e profonde si compie in Hofmannsthal attraverso un meditato percorso di confronto con l’antico. La lezione di Hofmannsthal è una lezione di metodo, che Brillante analizza accuratamente passo per passo nella struttura dell’“Elena Egizia”.
Un’illuminante dimostrazione di quanto, per la vita di un classico, sia necessaria la sua rivisitazione, è condotta da Eleonora Cavallini, Cesare Pavese e la ricerca di Omero perduto (dai Dialoghi con Leucò alla traduzione dell’Iliade), pp. 97-132. L’affascinante e rigorosa ricostruzione dello scambio epistolare tra Pavese e Untersteiner in seguito alla pubblicazione dei Dialoghi con Leucò mostra quanto il rapporto, quasi casuale, tra i due uomini di cultura si sia rivelato fruttuoso per lo studio della cultura classica in quel periodo. Il comune interesse storico-antropologico e filosofico nei confronti del mito greco da parte dei due studiosi portò alla realizzazione di un progetto innovativo per l’epoca: una traduzione quasi ‘letterale’ dei poemi omerici rispetto alle versioni fino ad allora disponibili. L’utilizzo della mitologia greca da parte di Pavese nei Dialoghi con Leucò racchiude un interesse verso i miti come modelli interpretativi dell’uomo e del suo destino, grazie anche al loro potere ‘universale’, antropologicamente parlando. Cavallini, quindi, riconosce a Pavese l’importante merito di aver contribuito a una riscoperta di Omero in termini significativi per le inquietudini dell’uomo moderno. Il saggio è suffragato da una ricca documentazione iconografica sull’attività di Pavese, tra cui si segnala la riproduzione di alcuni suoi frammenti autografi di traduzione di Iliade e Odissea. A conclusione del contributo, un’appendice illustra una rappresentazione multimediale dei Dialoghi con Leucò che anticipa i due saggi successivi, incentrati su cinema e televisione.
Ricco di stimoli è anche il saggio di Giorgio Ieranò, Ulisse alla deriva: l’epopea tragica di Stanley Kubrick (pp. 133-152), sul significato comunemente attribuito a “odissea” in rapporto al film 2001 Odissea nello spazio di S. Kubrick (1968). L’indagine di Ieranò si allarga a un’interpretazione globale della produzione cinematografica di Kubrick, pervasa da un senso di tragicità nella visione dell’esistenza umana. L’attenta ricostruzione dei riferimenti e del contesto in cui lavorò il regista, portano l’autore a individuare le numerose suggestioni del mito odissiaco nel corso dell’opera di Kubrick, anche attraverso un puntuale collegamento con l’ “Ulisse” di James Joyce.
Proseguendo nell’ambito filmico, Martin M. Winkler in Leaves of Homeric Storytelling: Wolfgang Petersen’s Troy and Franco Rossi’s Odissea, pp. 153-164, si occupa di due trasposizioni cinematografiche dei poemi omerici: il film Troy di W. Petersen (2004) come adattamento dell’ Iliade e il film televisivo Odissea di F. Rossi (1968) come versione dell’ Odissea. Nella prima parte della sua analisi, Winkler mostra come, in Troy, le scelte di regia e l’opportuno uso della tecnologia e della macchina da presa possano evocare ed esprimere le similitudini naturalistiche e le atmosfere suggerite dai versi di Omero. Anche l’adattamento di Rossi per la sua Odissea rivela scelte felici: tra le tante, la rappresentazione degli dei antichi senza incorrere nel ridicolo. Rossi sceglie di inquadrare statue di marmo accompagnate da voci fuori campo che conferiscono solennità alla trasposizione. Winkler chiude il suo saggio difendendo le possibilità dei moderni adattamenti dei testi classici ricordando che il poeta Orazio ammoniva a non sottovalutare il nuovo a favore dell’antico.
Oltre alla “decima musa”, il cinema, come ricorda Winkler (p. 176), anche l’ambito musicale si presenta foriero di nuovi contenuti per l’indagine sulla ricezione omerica. Alessandro Bozzato, nel saggio Omero nella musica lirica contemporanea. Le Odysseus’ Women di Louis Andriessen, pp. 179-193, introduce la discussione sulla presenza di Omero nella musica contemporanea, esprimendo convincenti considerazioni sulle caratteristiche della comunicazione musicale in rapporto a quella cinematografica e letteraria; analizza quindi l’opera Odysseus’ Women di L. Andriessen (1995), composta per lo spettacolo Odyssey, che associa danza e testi recitati da personaggi omerici: Calipso, Circe e Nausicaa. Assente è Penelope, in quanto è l’unica a non restare abbandonata, e assente è anche lo stesso Odisseo, che però è evocato nella nostalgia delle tre donne, secondo il loro personale e differente punto di vista. La rielaborazione di Andriessen delle tre figure mitiche femminili presenta, rispetto alla tradizione precedente, tratti originali, che l’autore del saggio interpreta come un “risarcimento morale” verso personaggi sfruttati e ingiustamente subordinati (pp. 191-192) .
Il personaggio mitico di Calipso ha ispirato anche il dialogo teatrale composto da A. Döblin nei primi del Novecento, “Dialoghi con Calipso sulla musica”. Elisabetta Zoni, in La retorica degli dei. Calipso maestra di musica in Alfred Döblin (pp. 195-216), attraverso un complesso approccio multidisciplinare, ricerca sapientemente gli elementi che hanno portato Döblin a inserire Calipso in un discorso sulle teorie estetico-musicali; nei dialoghi il mito omerico è reinventato all’insegna della “creatività e dello sperimentalismo espressionista”, e Calipso diventa una dea musicale che, nelle sue prerogative di divinità femminile origine della vita, è l’unica a sopravvivere nel drammatico epilogo. I tre aspetti di Calipso, donna, dea musicale e dea creatrice, trovano un parallelo, come nota Zoni, nella rappresentazione del pittore simbolista F. Khnopff (p. 215).
Al versante ‘popolare’ della musica contemporanea è dedicato l’innovativo saggio di Eleonora Cavallini, Cantare glorie di eroi, oggi: Achille nella popular music contemporanea (pp. 217-240), corredato da una nota di Elena Liverani. In esso viene presa in esame la figura di Achille come fonte d’ispirazione di alcuni testi musicali contemporanei. L’eroe è visto, rispettivamente, come un rude energumeno ovvero come un volontario idealista nella musica di orientamento pacifista di Bob Dylan e dei Led Zeppelin (anni ’60 e ’70), ed è quindi ben lontano dal più sfaccettato eroe omerico. Nel genere metal sono la truculenza delle battaglie omeriche e l’atmosfera di primitiva barbarie, presente in alcune parti dell’ Iliade, a suscitare “una certa suggestione” (p. 226). In particolare, presuppone un’attenta lettura dell’ Iliade l’opera Achilles, Agony and Ecstasy dei Manowar del 1992.
Passando all’ambito delle arti figurative, ai personaggi femminili nell’arte è dedicata la galleria di immagini selezionate da Claudia Boni in Figure femminili omeriche nell’arte contemporanea (pp. 241-268). Il repertorio mitologico, infatti, è sempre stato fonte di ispirazione per l’arte visiva nelle diverse epoche, con suggestioni sempre nuove; nell’arte contemporanea esso assume profonde valenze simboliche, come illustra Boni a proposito dell’iconografia delle figure omeriche di Atena, Andromaca, Calipso, Nausicaa, Circe, le Sirene, Penelope, Elena.
Il volume si conclude con le insolite e accattivanti osservazioni a proposito di una particolare e popolare forma comunicativa: il fumetto. Massimo Manca, in Omero a fumetti (pp. 269-289), si cimenta nell’impresa di analizzare e ‘classificare’ le numerose forme di ripresa del mondo omerico nei fumetti, delineando la Gestalt del fumetto nelle sue varietà di tono e pubblico. La vitalità di un mito si realizza proprio nella sua adattabilità e versatilità, che lo rendono immortale.
La raccolta di saggi su Omero mediatico costituisce, a mio avviso, un eccellente e non usuale esempio di come le questioni legate alla ricezione dell’antico e alla rivalutazione/riappropriazione del classico possano essere affrontate, sia dal punto di vista del metodo di indagine, sia a proposito della scelta dei materiali, di cui il volume offre un’esemplare panoramica.