Il volume curato da Joseph Roisman e Ian Worthington si presenta come una messa a punto dei principali problemi relativi alla Macedonia antica. Per l’occasione i due studiosi, specialisti del settore e autori di numerose pubblicazioni, 1 hanno messo insieme uno staff di esperti capaci di indagare il tema in tutta la sua ampiezza. La vastità dell’argomento ha reso necessaria la divisione del volume in sette sezioni, ognuna delle quali dedicata a un aspetto specifico. I ventisette contributi presenti sono corredati da mappe, ricostruzioni grafiche e immagini, completati da una ricca bibliografia, chiusi da un indice assai dettagliato che rende agevole la consultazione del testo e la ricerca degli argomenti trattati.
Roisman e Worthington evidenziano nella prefazione il taglio mediamente divulgativo del volume destinato, precisano, sia a studenti che a specialisti del settore e di campi di ricerca vicini (p. XIV): da qui la scelta di trattare le istituzioni, l’economia, la vita culturale, la politica e le imprese dei re della Macedonia lungo uno spettro temporale assai ampio che dai primi sovrani della dinastia dei Temenidi arriva alla conquista romana (II secolo a.C.) e si spinge anche oltre fino alla Macedonia di oggi, il cui nome e il cui passato è conteso tra The Former Yugoslav Republic of Macedonia, nata nel 1993 a seguito della disgregazione della ex Yugoslavia, e la Grecia che a nord comprende anche l’omonima regione.
I problemi di una ricerca complessiva sulla Macedonia sono evidenziati nella sua introduzione da Edward M. Anson, che evidenzia nello studio della regione e della sua storia la mancanza di una sufficiente documentazione, ma anche una serie di problemi difficili da risolvere come, ad esempio, quello relativo alla grecità dei Macedoni e dei loro re.
L’ampiezza del testo rende difficile una trattazione sistematica di tutti i temi toccati. In questa sede cercherò di focalizzare l’attenzione sui principali. Il bel lavoro di Thomas sulla geografia della Macedonia, collocato come terzo contributo del volume, nella prima parte, ma collegato tematicamente alla terza parte del volume, costituisce, a mio avviso, la base di tutto il volume e risulta utilissimo per la piena comprensione del contesto territoriale nel quale operarono i diversi re macedoni. Il territorio, le sue caratteristiche e le sue potenzialità, lo sfruttamento delle risorse minerarie (da parte soprattutto di Filippo II) risultano elementi basilari nello sviluppo della storia della Macedonia in grado di elevarsi da comunità ai margini del mondo greco a potenza in grado con Filippo II di dominare i Greci e con Alessandro di conquistare l’impero persiano. Il contesto geografico introduce i successivi problemi primo tra tutti quello delle fonti: questi temi sono al centro dei lavori di Rhodes (fonti letterarie e testi epigrafici) e Dahmen (fonti numismatiche). Con un’ottica diacronica entrambi offrono un ventaglio assai esaustivo delle evidenze disponibili in relazione alla storia della Macedonia. Se le fonti letterarie, da Erodoto a Tucidide, dagli storici di Alessandro a Polibio, da Diodoro a Strabone, da Plutarco ad Ateneo, unitamente a quelle numismatiche (monete coniate a partire da Alessandro I e fino al governo romano della regione in età repubblicana e imperiale) forniscono indicazioni di rilievo, viceversa più ridotte, seppure importanti, sono le evidenze epigrafiche che permettono comunque, rileva Rhodes (p. 39), “to study the Macedonians from various angles”.
Lo spinoso problema dell’identità dei Macedoni (Greci? Barbari? Barbari governati dalla dinastia greca degli Argeadi?) caratterizza i contributi di Engels e Asirvatham. Un problema, questo, difficile da definire e lontano da una sua soluzione, come giustamente avverte Engels a chiusura del suo lavoro (p. 97), soprattutto per la scarsezza delle fonti e il loro orientamento di parte. Dalla medesima riflessione parte il contributo di Asirvatham, che pone l’attenzione su un dato da sempre spinosissimo: la conoscenza della storia macedone, dalle origini alla conquista romana, per opera di autori greci (e.g. Erodoto e Tucidide), greci ma vicini a Roma (e.g. Polibio), romani (e.g. Curzio Rufo), fonti tarde come Plutarco, Arriano, Ateneo, ma anche fonti persiane ed egiziane. Tutti, sottolinea Asirvatham, anche (o soprattutto) sulla base della loro cultura modellarono molte delle loro annotazioni come, ad esempio, la grecità o la barbaritas dei Macedoni e dei loro re; il giudizio su Alessandro (re o tyrannos spietato?); o, ancora, la qualificazione dei Macedoni presentati il più delle volte come implacabili conquistatori e formidabili soldati.
Motivo ricorrente (e del tutto giustificato) di tutti i contributi è la penuria di fonti e/o la loro parzialità e/o il loro punto di vista ellenico o filellenico, romano o filoromano. Questo problema emerge soprattutto per la ricostruzione della storia della Macedonia dalle origini al regno di Perdicca III (360 a.C.) (Sprawski, Roisman), ma anche per il regno di Filippo (Müller) e di Alessandro la cui figura risulta ingabbiata tra notizie vere e notizie false frutto di costruzioni e rivisitazioni da parte di fonte tarde. In questo caso, rilevano Gilley e Worthingon, “the greatest challenge in any study on Alexander is the nature of the source material about him, for all too often we are presented with a legendary Alexander as opposed to a historical one. Getting to the real Alexander is next to impossible” (p. 187).
Analogo problema investe l’età dei diadochi: in questo contesto al problema delle fonti si unisce la frammentarietà del quadro e dello scenario politico conteso dai generali di Alessandro prima, dai loro successori poi (Adams; Eckstein), fino alla nascita della provincia di Macedonia sotto Roma nel 148 a.C. e alla sua persistenza fino alla fine del III secolo d.C. (Vanderspoel).
Il problema delle fonti si avverte anche nello studio dei popoli confinanti con i Macedoni o venuti in contatto con essi. La loro voce emerge solo per il tramite di autori greci e/o romani che ne ricordano sommariamente le vicende. È così per popoli alla periferia del mondo greco come Illiri ed Epiroti (Greenwalt), ma anche per i Traci (Archibald). È così anche per le comunità della Tessaglia le cui vicende sono sempre ricordate allorché si intersecano prima con la storia di Atene e Sparta, poi con il regno di Filippo e Alessandro (Graninger). Analogo discorso riguarda anche (o soprattutto) i Persiani (Olbrycht), la cui storia e i cui rapporti con Greci e Macedoni risultano penalizzati, specie per ciò che concerne la spedizione di Alessandro, da una storiografia greca e romana che parte da un punto di osservazione occidentale, filellenico e filomacedone.2
La storia della Macedonia si coglie non solo attraverso i re che la guidarono e le figure di Filippo II e Alessandro Magno in particolare, ma anche attraverso le sue istituzioni. Ne emerge un assetto monarchico antichissimo (King), l’esistenza di una corte popolata dagli hetairoi, che accompagnavano il re nelle spedizioni militari, nelle battute di caccia e nei simposi, dai paides, ma anche da tanti poeti e intellettuali (Sawada). Uno stato nel quale svolsero un ruolo per nulla secondario le donne tra le quali emerse Olimpiade madre di Alessandro, ma anche, dopo la sua morte nel 316 a.C., Tessalonice, moglie di Cassandro, Fila, moglie di Demetrio Poliorcete, Arsinoe, moglie di Lisimaco (Carney).
Uno stato, quello macedone, attraversato da un profondo sentimento religioso scandito dai culti di Zeus, Eracle, Artemide, Dioniso, ma anche di Ammone, Iside e Serapide (Christesen-Murray); caratterizzato sia da un impianto militare antico, che Filippo rinnovò e rafforzò con la creazione della falange e Alessandro consolidò nel reparto di cavalleria, e che mantenne la sua forza fino alle guerre contro Roma (Sekunda); sia da un’economia del tutto flessibile per via degli ampliamenti territoriali che intervennero già sotto Alessandro I e, soprattutto, sotto Filippo II e Alessandro Magno (Millett); sia ancora da un mecenatismo diffuso che da Alessandro I in poi rese la corte macedone meta di poeti e letterati greci ma anche di pittori e scultori di chiara fama come Lisippo e Apelle capaci di modellare le loro opere sulla base della più raffinata arte figurativa greca (Hardiman). Una ricchezza artistica, questa, che si tradusse nell’edificazione di templi, palazzi e tombe monumentali largamente imitati dai Romani dopo che la Macedonia divenne loro provincia (Kousser).
Nella tarda antichità la storia della regione diventa frastagliata. Con la crisi dell’impero romano essa fu inserita nella nuova organizzazione dell’impero intrapresa da Diocleziano. Tessalonica fu scelta come sua capitale dal nuovo Cesare dell’Est Galerio e la Macedonia divenne centro della politica romana in Oriente. Il graduale inserimento nelle truppe imperiali e nella provincia di barbari ne facilitò le successive scorrerie che avviarono la regione verso una Dark Age (Snively). Ancora oggi, suo malgrado, la Macedonia fa notizia incastrata com’è nella contesa tra The Former Yugoslav Republic of Macedonia, che ha eletto Skopje come sua capitale, e la Grecia: motivo dell’agone i simboli del glorioso passato, primo tra tutti il nome Macedonia e la Stella/Sole di Verghina simbolo della dinastia regnante macedone (Danforth).
Nonostante l’ampiezza e la varietà dei temi trattati, le differenti prospettive dalle quali alcuni problemi (ad esempio quello delle fonti) sono trattati, e le interpretazioni avanzate nella lettura di alcuni dati (e.g. il titolo di Philellenos per Alessandro I ritenuto da Engels una prova della non ellenicità dei Macedoni, da Sprawski invece un epiteto coniato in età successiva) il volume presenta una sua ottima omogeneità e, in linea con gli obiettivi di partenza indicati dagli editori Roisman e Worthington, conduce il semplice lettore, lo studente e lo specialista lungo le diverse linee di sviluppo della storia della Macedonia. La geografia della regione, la sua crescita economica attraverso i re che la governarono, il grado di civiltà raggiunto dalla sua popolazione, il rapporto con genti vicine contribuiscono a meglio chiarire il ruolo della Macedonia nel mondo antico e a tracciarne linee di sviluppo autonome dal mondo greco prima e romano poi, cui gran parte della tradizione letteraria, contrassegnata e a volte condizionata da prospettive di parte, la riteneva comunque subalterna.
Notes
1. Ad esempio: Joseph Roisman (ed.), Brill’s Companion to Alexander the Great (Leiden 2003); Ian Worthington, Philip II of Macedonia, New Haven, 2008.
2. È significativo in questo caso il trattamento riservato alla figura di Dario III che, nel suo ruolo di nemico di Alessandro e dei suoi alleati greci, viene dipinto dalle fonti re codardo. Nel caso della spedizione di Alessandro in Asia, il tema della storia scritta o determinata dal vincitore è più che mai evidente Su questo tema ha richiamato ripetutamente l’attenzione Paul Briant: cfr. ad es. il suo Darius dans l’ombre d’Alexandre, Paris 2003, ma anche Giuseppe Squillace, La voce del vinto? La lettera di Dario III ad Alessandro Magno a Marato nel 332 a.C. Nota a Diodoro XVII 39,1-2, «Mediterraneo antico», 2006, 9, n. 1, pp. 355-365; La costruzione di un casus belli per Filippo II e Alessandro Magno, «Athenaeum» 2012, in corso di stampa.