Negli ultimi anni si è assistito ad una fioritura di pubblicazioni dedicate all’ ekphrasis e ai testi più rappresentativi di tale genere.1 In particolare, l’inesauribile fascino dell’opera di Filostrato maior, in cui si rinnova in maniera emblematica l’eterna competizione tra parola e immagine, è testimoniato dall’uscita di questo volume di Giuseppe Pucci e Giovanni Lombardo, che ha la propria cifra caratteristica nell’adozione di una prospettiva estetologica.
Il volume consta di una presentazione suddivisa in sedici paragrafi, all’interno dei quali vengono affrontate, in maniera agile ma efficace, le problematiche più rilevanti relative all’opera filostratea. Dopo essersi soffermato sul titolo originale restituitoci dai manoscritti, Eikones, problematico a fronte della totale assenza del termine nel testo delle Imagines, Pucci chiarisce la decisione di titolare il volume “La Pinacoteca” sulla scorta dell’analoga scelta operata da Auguste Bougot ( La Galerie de Tableaux), allo scopo di ridurre “la latitudine semantica di quel termine [scil. Eikones ] a vantaggio di un più immediato orientamento del lettore non specialista” (p. 8). Benché, infatti, Pucci e Lombardo denotino una solida conoscenza delle letterature antiche, non è il filologo classico ma lo studioso di estetica il destinatario privilegiato del volume.
Dopo aver analizzato i personaggi, “verisimili, ma creati di fatto con una sapiente ethopoiia ” (p. 8), Pucci passa ad esaminare la struttura dell’opera e le scelte di Filostrato, messe opportunamente a confronto con quelle operate da Luciano nel De domo. Le ekphraseis sono pensate per la ricezione da parte del πεπαιδευμένος, ma a livello intratestuale Filostrato si rivolge ad un παῖς, evidentemente—come osserva a ragione Pucci—nell’intento di “giustificare l’analiticità delle descrizioni e le molte delucidazioni di carattere mitologico” (p. 10).
Una breve sintesi della Philostratfrage è seguita da un’acuta riflessione sulla vexata quaestio della reale esistenza dei dipinti descritti dal retore: “potremmo anche dire, rifacendoci alla terminologia usata da Genette, che i quadri di Filostrato sono ipertesti costruiti a partire non da un solo ipotesto ma da una pluralità di ipotesti sezionati, manipolati, smontati e rimontati in un caleidoscopio di citazioni, echi e rimandi reciproci” (p. 13). La conclusione è che la ricerca dell’autore dei singoli ipotesti è irrilevante, laddove, al contrario, merita di essere approfondita l’azione del retore-rapsodo.
Dopo un inevitabile raffronto con la Galeria di Giovan Battista Marino, Pucci, attingendo alla classificazione di John Hollander,2 affronta il problema della collocazione tipologica dell’opera filostratea riconducendola nella sostanza alla notional ekphrasis, vista l’assenza di un preciso referente riconoscibile. È da condividere l’idea di ridimensionare l’attenzione sulla reale esistenza dei dipinti a favore di un’indagine sulla τέχνη del descrittore: se anche la galleria fosse esistita, è evidente che al momento della stesura dell’opera Filostrato non aveva davanti agli occhi i quadri e che, in ogni caso, essi non risultano visibili al lettore.
Valutata sulla base delle definizioni canoniche, l’ ekphrasis di Filostrato rappresenta la migliore esemplificazione del discorso descrittivo come λόγος περιηγηματικός, ovvero come discorso che presuppone un movimento spaziale attorno al referente: il retore, infatti, conduce sapientemente lo spettatore/lettore “a esplorare lo spazio del quadro (cioè del testo) secondo modalità strategicamente congegnate e fra loro diversificate, che vanno dalla panoramica ( La Tessaglia) alla carrellata ( La Palude), dal campo lungo al primo piano (come in Rodogune), talvolta allo zoom (i ragni nelle Tele)” (p. 16).
Nei paragrafi successivi, dopo aver esplorato i rapporti tra enargeia e phantasia nel processo descrittivo, Pucci si occupa delle relazioni tra ekphrasis e desiderio, riportando le conclusioni di Jaś Elsner, che aveva istituito un confronto tra il processo ecfrastico e il motto di spirito freudiano facendo altresì riferimento alle teorie lacaniane.3
A rendere godibile il testo ecfrastico è il piacere del riconoscimento, dove il riconoscimento—come afferma Hans-Georg Gadamer a proposito di Aristot. Poet. 1448b4– —è più di una mera riscoperta di ciò che già si conosceva. Quanto al giudizio estetico, esso è filtrato dalla cultura dello spettatore e dal margine di condivisione dei pathe con il soggetto dell’ ekphrasis.
Di capitale importanza nel processo di verbalizzazione delle emozioni visive—imprescindibile “nella visione logocentrica della Seconda Sofistica” (p. 19), così come emerge anche dalla lettura di Luc. Dom. 2—è il mantenimento dell’egemonia della parola sulle immagini, che Filostrato attua contrastando l’incantesimo della visione con interventi di carattere erudito e tecnico o con sapienti artifici retorici come il ricorso frequente alla sinestesia. All’introduzione segue la versione italiana dell’opera a cura di Giovanni Lombardo, il quale, attenendosi al testo curato da Arthur Fairbanks per i tipi della Loeb (Cambridge MA-London 1931), offre una soluzione raffinata alle difficoltà di resa di un originale greco caratterizzato da una sintassi tutt’altro che piana, da un lessico denso di implicazioni metatestuali nonché da una struttura su cui incide pesantemente il contesto comunicativo. Il traduttore anticipa in calce alla Presentazione il proposito “di offrire ai lettori italiani uno stile ecfrastico di moderna ed elegante leggibilità”, “senza ricalcare pedissequamente il testo greco e senza tuttavia tradirne lo spirito” (p. 22). Risolvendo implicitamente il problema della destinazione intratestuale o extratestuale delle Eikones decisamente a favore della seconda ipotesi, Lombardo realizza dunque una traduzione di notevole pregio formale, nella cui valutazione si deve prescindere da pretese filologiche di aderenza letterale al dettato filostrateo. Egli mostra, ad esempio, una netta predilezione per l’ipotassi, più accattivante nella ricezione scritta rispetto alla paratassi del testo originale; all’iterazione terminologica del retore preferisce la variatio ( Imag. 1.2.2 “Komos è giunto, giovane presso i due giovani: con la sua tenerezza ancora impubere, paonazzo per il vino e barcollante per la sonnolenza dell’ebbrezza [καθεύδων ὀρθὸς ὑπὸ τοῦ μεθύειν]. Dorme [καθεύδει] piegando il volto sul petto…”); arricchisce il testo con suggestioni mutuate da altra letteratura (1.8.1 “Qui invece il carro è tirato da cavalli marini, dotati di zoccoli acquatici, abili nuotatori e occhiazzurrini [γλαυκοί]”; 1.28.3 “Circondano quel giovane altri giovani belli e a bell’opre intenti [καλὰ ἐπιτηδεύοντες]”); interpreta termini con una specifica valenza retorica amplificandoli (1.9.5 “non sapremmo elogiarne la dottrina e la scelta di una circostanza felicemente espressiva [καιρόν]”); elimina deittici in considerazione del contesto comunicativo di ricezione (2.6.1 “A incoronarlo è un giudice di gara [οὑτοσὶ Ἑλλανοδίκης]”); aggiunge dettagli esplicativi (2.15.6 “Corrono intorno a lui le Alcioni e, mentre cantano quelle gesta degli uomini per cui anch’esse (un tempo creature umane, come Glauco) furono trasformate [ἐξ ὧν αὐταί τε καὶ ὁ Γλαῦκος μεθηρμόσθησαν]…”); si discosta dalla lettera del testo per fornirne una versione rimodulata in senso esornativo (1.9.3 “In mezzo all’acqua, gli amaranti si protendono piegando da una parte e dall’altra le loro gradevoli spighe, sì che l’acqua ne fiorisca [διὰ μέσου γὰρ τοῦ ὕδατος ἀμάραντα νεύει τὰ μὲν ἔνθεν, τὰ δὲ ἐκεῖθεν, ἡδεῖς ἀστάχυες καὶ βάλλοντες ἄνθει τὸ ὕδωρ]”). L’interesse per l’eleganza della resa induce talora Lombardo ad aggiungere note cromatiche (1.9.1 “Altre verdeggiano di cipressi [τὰ δὲ κυπαρίττῳ κομῶντα]…”) e tecnicismi assenti nell’originale filostrateo (1.28.3 “I cavalli su cui incedono mostrano tutti un manto diverso: c’è il cavallo bianco, c’è il cavallo sauro [ξανθὸς], c’è il cavallo nero e il cavallo baio [φοῖνιξ]”), o, viceversa, ad omettere alcune espressioni (1.29.1 ἐν Αἰθιοπίᾳ; 2.34.3 ὑπὸ τοῦ δρόμου).5
In alcuni casi, naturalmente, è ammissibile un’interpretazione diversa da quella presupposta dalla traduzione. Ad esempio, in Imag. 1.28.4 ( “Altri elogeranno forse le guance del ragazzo, il disegno del naso [τάχα τις καὶ τὴν παρειὰν ἐπαινέσεται καὶ τὰ μέτρα τῆς ῥινὸς…]”), τὰ μέτρα indica propriamente “le proporzioni” del naso; in 2.21.3 (“Se Eracle fosse stato un lottatore di professione, il suo fisico sarebbe stato comunque dipinto com’è dipinto qui: muscoloso e con le membra ben proporzionate da un continuo esercizio [εἰ πάλης τῷ Ἡρακλεῖ ἔμελεν, οὐκ ἄλλως ἐπεφύκει ἢ ὡς γέγραπται, γέγραπται δὲ ἰσχυρὸς οἷος καὶ τέχνης ἔμπλεως δι’ εὐαρμοστίαν τοῦ σώματος]”), l’espressione τέχνης ἔμπλεως δι’ εὐαρμοστίαν τοῦ σώματος è traducibile con “in possesso di un’ottima tecnica atletica, grazie alle membra ben proporzionate”; in 2.9.1 (“Un uomo poco portato alla scrittura ma bravissimo nella pittura, un uomo che non aveva mai incontrato Pantea ma aveva frequentato Senofonte, ci ritrae Pantea secondo gl’indizî che la sua mente gli suggerisce [ἀνὴρ ξυγγράφειν μὲν οὐχ ἱκανός, γράφειν δὲ ἱκανώτατος, αὐτῇ μὲν Πανθείᾳ οὐκ ἐντυχών, Ξενοφῶντι δὲ ὁμιλήσας γράφει τὴν Πάνθειαν, ὁποίαν τῇ ψυχῇ ἐτεκμήρατο]”), per la frase conclusiva sembra preferibile l’interpretazione “quale immaginò che fosse sulla base dell’indole”.6 Il volume è corredato, infine, di un apparato di agili note al testo, dalle quali affiora, oltre ad una grande sensibilità letteraria e competenza archeologica, anche uno specifico interesse per le fonti filosofiche delle teorie filostratee e per tematiche di natura iconografica, estetica e antropologica. Notevole attenzione è tributata alle problematiche presentate da Filostrato nel proemio, che divengono lo spunto per riferimenti ad aspetti di più ampio respiro, quali il colore o la skiagraphía (p. 89 n. 6). Non mancano discussioni sulla traduzione e sul lessico tecnico, nonché sui rinvii, più o meno espliciti, di Filostrato ad aspetti connessi con la pratica pittorica. Le note di commento sopperiscono, ove necessario, alla mancanza del testo originale a fronte e diventano luogo di riflessione sulle implicazioni teoriche presupposte da alcune scelte lessicali.
In conclusione, il volume di Pucci e Lombardo ha il merito di valorizzare la specificità del testo di Filostrato, senza svilirlo alla dimensione di fonte, ma offrendone anzi una traduzione che meglio di altre ne esalta le qualità letterarie. Nella sua complessa intersezione di punti di vista, esso diviene uno strumento di notevole utilità tanto per lo studioso di estetica quanto per lo specialista di letteratura ecfrastica antica.
Notes
1. Tra le altre, M. Costantini, F. Graziani, S. Rolet (edd.), Le défi de l’art. Philostrate, Callistrate et l’image sophistique, Rennes 2006 e R. H. Webb, Ekphrasis, Imagination and Persuasion in Ancient Rhetorical Theory and Practice, Aldershot 2009. Nel caso specifico di Filostrato, è significativo che nel solo 2008 siano comparse due traduzioni delle Imagines in lingua italiana: Filostrato Maggiore, Immagini. Introduzione, traduzione e commento a cura di L. Abbondanza, prefazione di M. Harari, Torino 2008; Filostrato, Immagini, a cura di A. L. Carbone con un saggio di M. Cometa, Palermo 2008.
2. ‘The Poetics of Ekphrasis’, W and I 4, 1988, pp. 209-219.
3. ‘Seeing and Saying: A Psychoanalitic Account of Ekphrasis’, Helios 31, 2004, pp. 157-185.
4. Verità e metodo, tr. it. G. Vattimo, Milano 1989 (ed. orig. Tübingen 1960).
5. Non sembra, invece, imputabile a scelte stilistiche la mancata traduzione di Imag. 1.6.3 (τοὺς καθεύδοντας); 1.16.4 (βαθὺς τὴν φάρυγγα καὶ πίων τὸν αὐχένα e ἄνετος); 1.25.2 (ἔστι γὰρ κορεσθέντι αὐτοῦ συλλέγεσθαι ταῦτα καὶ ἐσάγεσθαι ἐς τὴν γνώμην); 2.10.2 (χορηγοὶ ποτοῦ); 2.27.3 (ἐπὶ δυοῖν ἀκροπόλεων); 2.28.3 (ὁ δ’ ἡμῖν καὶ τὰ λεπτὰ διύφηνεν).
6. Cfr. M. Cistaro, Sotto il velo di Pantea. Imagines e Pro imaginibus di Luciano, Messina 2009, pp. 112, 263; M. Cannatà Fera, ‘Tra letteratura e arti figurative: le Imagines dei due Filostrati’, in Le Immagini nel Testo, il Testo nelle Immagini. Rapporti fra parola e visualità nella tradizione greco-latina, a cura di L. Belloni, A. Bonandini, G. Ieranò e G. Moretti, Trento 2010, pp. 377-378.