Questo corposo volume raccoglie diciotto contributi presentati alla conferenza Living the Lunar Calendar, svoltasi nel 2010 presso il Bible Lands Museum di Gerusalemme. I contributi raccolti coprono diverse aree e periodi: due sono dedicati alla Mesopotamia (Horowitz, Bloch), tre all’Egeo (Beckman) e alla Grecia classica (Hannah, Marzillo), quattro alla tradizione giudaica (Ben-Dov, Feldman, Stern, Schiffman), tre al cristianesimo (Mc Carthy, Nothaft, Dickens – Sims-Williams), quattro a differenti argomenti come la Russia medievale (Gorodetsky), la tradizione delle culture pre-colombiane americane in generale (Iwaniszewski) o dei nativi nordamericani in particolare (Walton), la Cina e il Giappone (Tsumura). Il contributo di Steele travalica i limiti spazio-temporali confrontando un medesimo fenomeno in due culture (Mesopotamia e Cina) e in tal senso va valutato anche il contributo di Depuydt, nonostante il titolo ponga l’accento sul calendario greco.
Nell’introduzione, i tre editori (Ben-Dov, Horowitz, Steele), presentando in generale i contenuti del volume, offrono una dettagliata e puntuale rassegna delle più importanti problematiche relative all’impatto del calendario lunare sui sistemi politici, sociali, religiosi e amministrativi delle culture appena elencate. Le problematiche che emergono sono la questione dell’intercalazione e la sua determinazione da parte dell’autorità politica, la relazione tra osservazione e previsione, la coesistenza o opposizione di diverse tradizioni e infine la determinazione e l’uso di sistemi di computo del tempo.
L’ampiezza dell’argomento e dei confini spazio-temporali affrontati nei contributi superano lo spazio a disposizione per un commento adeguato e, soprattutto, le competenze dello scrivente. Ne risulterà necessariamente una descrizione superficiale e semplicistica in alcuni casi, dettagliata in altri, a seconda della familiarità con l’argomento trattato.
Wayne Horowitz nel contributo che apre il volume («Sunday in Mesopotamia») si concentra non sulla luna, ma sul sole e sul suo ruolo nel calendario lunare mesopotamico. Sebbene molti dei cicli annuali, comprese le stagioni, siano collegati al sole, il calendario mesopotamico è principalmente di natura lunare. Horowitz identifica nel giorno 20 del primo mese dell’anno (Nisan) l’unica data legata al ciclo solare a essere realmente svincolata dal sistema luni-solare.
Il contributo di Yigal Bloch («Middle Assyrian Lunar Calendar and Chronology») è dedicato alla revisione della cronologia del periodo medio-assiro in Mesopotamia alla luce di considerazioni sull’originario calendario assiro e l’introduzione del calendario babilonese da parte di Tiglathpileser I, nonché sul sistema di intercalazione in generale.
Sabine Beckmann («Beyond the Moon: Minoan ‘Calendar’-Symbolism in the ‘Blue Bird Fresco’») interpreta l’affresco raffigurante l’uccello azzurro proveniente da Cnosso come «a combined practical calendrical and spiritual/medical/magical function not using astronomy, but agricultural phases as expressed in the meanings implied by certain plant images» (p. 63). Proprio l’identificazione e l’interpretazione dei cinque motivi vegetali sono l’oggetto del suo contributo. La loro disposizione nell’affresco scandirebbe lo scorrere dell’anno legato alle stagioni. Per ognuna delle piante identificate sono fornite impressioni generali e dettagli sul loro uso nella farmacopea greca. Purtroppo non c’è alcuna discussione della sequenza o struttura dei motivi che giustifichi quello che l’autrice chiama «a perennal ‘epochologio’», né viene discussa la relazione di questi motivi con il resto delle rappresentazioni dell’affresco.
L’elemento vegetale, in questo caso l’ulivo, ritorna nelle conclusioni del contributo di Robert Hannah dedicato alla periodicità dei giochi olimpici e delfici («Early Greek Lunisolar Cycles: The Pythian and Olympic Games»). Il problema della determinazione di questi eventi riguarda più in generale l’integrazione del ciclo solare e delle stagioni nel calendario lunare. L’autore discute i diversi metodi utilizzati, come il ciclo degli otto anni ( octaeteris) o il sorgere di determinate costellazioni, descritti nelle fonti letterarie e non, per giungere infine a discutere i cicli naturali legati alle stagioni, come, appunto, quello della fioritura dell’ulivo.
Patrizia Marzillo («What To Do on the Thirtieth? A Neo-Platonic Interpretation of Hesiod’s Works and Days 765-8») parte da un’esposizione della teoria dell’allegoresi e della sua tradizione nel Neo-Platonismo, per affrontare un esempio di tale esegesi in Proclo. In un passo delle Opere e i giorni (765-8) Esiodo discute del giorno 30 del mese quale momento adatto per la distribuzione delle razioni ai lavoratori perché «gli uomini sanno distinguere e seguire il vero». Il riferimento al giorno 30 e la conseguente spiegazione di Esiodo hanno dato origine nell’antichità a diverse interpretazioni. Tra queste l’autrice discute in dettaglio quella allegorica di matrice neo-platonica prodotta da Proclo.
Leo Depuydt propone un lungo contributo sulla determinazione dell’inizio del mese lunare e il ruolo svolto in tal senso dal crescente lunare («Why Greek Lunar Months Began A Day Later than Egyptian Lunar Months, Both before First Visibility of the New Crescent»). Sebbene il titolo del contributo si riferisca alla Grecia e all’Egitto, Depuydt affronta con ampiezza di dettagli la questione in altre tradizioni che adottano il calendario lunare, come l’antica Mesopotamia o la moderna cultura islamica.
Jonathan Ben-Dov («Lunar Calendars at Qumran? A Comparative and Ideological Study») riprende la questione degli elementi solari nel calendario lunare di Qumran attraverso un’analisi delle fonti primarie e una rassegna delle precedenti interpretazioni. L’autore analizza alcuni testi legati ai cicli lunari alla luce dei paralleli con le teorie lunari babilonesi e discute, infine, l’ideologia che governa l’adozione di un determinato calendario.
Ron H. Feldman («Taming the Wild and Wilding the Tame: The Shifting Relationships between Humans, God and Nature in the Qumran and Rabbinic Calendars») si incentra sulla differenza tra tempo “addomesticato” («tame») e tempo “selvatico” («wild») per descrivere le due tendenze esistenti all’interno della tradizione giudaica, basate rispettivamente su di un calendario “calcolato” di 364 giorni (Qumran) e un calendario luni-solare basato sull’osservazione (tradizione rabbinica). Le due tendenze hanno marcato questa dicotomia enfatizzando la celebrazione dello Shabbath (calcolato/addomesticato) o del novilunio (osservato/selvatico). L’autore conclude considerando che entrambe le tendenze rappresentano due facce di un medesimo processo mirante a relazionare l’elemento umano con il tempo e soprattutto con i cicli cultuali da esso dipendenti. Tale processo rappresenta una strategia di controllo da parte dei gruppi dominanti («Calendars are models of and for social practices of time; a dominant calendar projects the ideology, practice and authority of the dominant group», p. 202).
I contributi di Sacha Stern («The Rabbinic New Moon Procedure: Context and Significance») e Lawrence H. Schiffman («From Observation to Calculation: The Development of the Rabbinic Lunar Calendar») si concentrano sul problema del calendario lunare nella tradizione rabbinica. Stern analizza dettagliatamente la procedura di determinazione del novilunio da parte del consiglio rabbinico e come questa sia stata parte di un’ideologia di opposizione al potere politico. Schiffman presenta una panoramica dell’evoluzione del calendario giudaico a partire dai precedenti sistemi cananaici sino alla tradizione medievale.
Entrambi i contributi di Daniel P. McCarthy («The Harmonization of the Lunar Year with the Julian Calendar by Anatolius, bishop of Laodicea») e Carl Philipp Emanuel Nothaft («Between Crucifixion and Calendar Reform: Medieval Christian Perceptions of the Jewish Lunisolar Calendar») sono dedicati alle correnti, tradizioni e relativi metodi adottati all’interno del Cristianesimo per calcolare la Pasqua, una data vincolata al calendario ebraico divenuta di difficile computazione a causa dell’adozione del calendario giuliano. Mentre McCarthy si concentra sul pensiero e l’opera di Anatolio di Laodicea (III sec. d.C.), Nothaft analizza in generale il rapporto della tradizione cristiana con il calendario giudaico.
Il problema della determinazione della Pasqua ritorna anche nei successivi due contributi sulla tradizione cristiana. Mark Dickens e Nicholas Sims-Williams («Christian Calendrical Fragments from Turfan») pubblicano infatti alcune tavole calendariali inedite provenienti dall’Oasi del Turfan e utilizzate per determinare appunto il calendario liturgico, e in particolare la Pasqua. Queste tavole erano usate anche per scopi iatromantici. I documenti pubblicati sono in siriaco (nr.1-6) e in sogdiano (nr. 7-13) e appartengono ai circa 1100 documenti cristiani redatti rinvenuti presso il sito di Bulayïq.
Michael L. Gorodetsky («Lunar Tables in Medieval Russia») si occupa delle tavole lunari che, assieme alla descrizione di altri fenomeni celesti ominosi, si ritrovano nelle antiche cronache russe chiamate letopises. I cicli lunari da una parte servivano a calcolare la Pasqua, dall’altra si ricollegano a un antico calendario di origine pagana. L’autore concentra l’analisi sulle tavole contenute nell’opera di S. Cirillo di Belozersk, databili a cavallo tra il quattordicesimo e il quindicesimo secolo.
Stanisław Iwaniszewski («Telling Time with the Moon: An American Overview»), dopo un’interessante introduzione teorica sulla misurazione del tempo, offre una panoramica generale dei sistemi calendariali nelle culture pre- colombiane del Nord, Centro e Sud America, descrivendo la documentazione a disposizione e le relative interpretazioni per ricostruire i calendari adottati.
James Walton («Lunar Ceremonial Planning in the Ancient American Southwest») dedica il suo contributo alla cultura Chaco (800 – 1200 d.C.), la quale, sebbene poco nota, ci ha lasciato numerosi indizi archeologici che possono essere interpretati da un punto di vista archeoastronomico. Mediante un’analisi comparativa con culture vicine (Hopi e Zuni) è possibile ricollegare l’orientamento delle strutture Chaco alle celebrazioni del calendario lunare e a quelle del ciclo solare. I momenti cruciali del calendario sono identificati nei solstizi, nelle fasi lunari e nelle posizioni delle costellazioni nelle varie stagioni.
Susan Tsumura («Adjusting Calculations to the Ideal in the Chinese and Japanese Calendars») analizza le evoluzioni dell’originario calendario luni-solare cinese, successivamente adottato anche in Giappone, e i cambiamenti intervenuti nei secoli in un costante equilibrio tra osservazione, previsione e ideologia.
John M. Steele («Living with a Lunar Calendar in Mesopotamia and China») esamina l’impatto del calendario lunare nei differenti aspetti della pratica quotidiana nella Mesopotamia del I millennio e gli aspetti cerimoniali e cultuali che accompagnano la pubblicazione dell’almanacco nella Cina dei primi tre secoli d.C. La panoramica dei casi discussi porta a considerare la rilevanza del calcolo e delle previsioni rispetto alla semplice osservazione della luna nei sistemi calendariali in Mesopotamia e Cina, tracciando anche una distinzione tra le ragioni, una ideologica, l’altra pratica, che sottostanno ai due sistemi.
La centralità di un fenomeno come il calendario lunare in un così grande numero di culture e l’ampiezza dei casi presi in considerazione hanno portato logicamente il volume a perdere compattezza. Alcuni contributi si sono concentrati sullo specifico e pochi hanno abbracciato una visione più ampia e generale. In quasi tutti i contributi, tuttavia, emergono le questioni rilevate dagli editori nell’introduzione: il problema dello sfasamento del calendario lunare rispetto al ciclo solare, l’equilibrio tra osservazione e previsione, il modo in cui le diverse culture, e, al loro interno, le diverse tradizioni hanno ovviato a tale incongruenza.
Nonostante questa fisiologica incongruità, il volume costituisce un’importante raccolta di contributi su un argomento che gli editori, in gruppo o singolarmente, hanno promosso in questi anni con convegni e raccolte di studi. A loro va il nostro riconoscimento per aver riportato l’attenzione su un aspetto centrale in tutte le culture, ma a lungo trascurato dagli studiosi, come quello della scansione del tempo.