[I singoli contributi sono indicizzati alla fine della recensione.]
Nel volume su Monte Sorbo si incrociano gli esiti di più di trenta anni di studi e ricerche sulla pieve, coordinati da Marino Mengozzi nell’ambito di un progetto di recupero dell’edificio che ha coinvolto, a vario titolo, tutti gli enti interessati alla tutela e valorizzazione del patrimonio culturale del territorio, ovvero il Ministero per i Beni e le Attività culturali, le Soprintendenze di Bologna e Ravenna, l’Istituto per i Beni artistici, culturali e naturali dell’Emilia Romagna.
Dopo gli autorevoli studi di Giuseppe Gerola, Mario Mazzotti, Guido Achille Mansuelli, Antonio Veggiani e Giancarlo Susini, gli ultimi decenni, contestualmente al recupero strutturale di Monte Sorbo, hanno visto rivitalizzarsi anche l’attenzione scientifica nei confronti della pieve, che è stata oggetto di indagini sistematiche aperte a svariate competenze, come richiedeva la lunga diacronia dell’edificio. Varie ricerche sono state, quindi, intraprese dalle Università di Bologna, Urbino, Venezia e Udine, nell’ambito di un gruppo di lavoro in parte già precedentemente rodato nella recente edizione della Storia di Sarsina, a cura di Angela Donati e dello stesso Marino Mengozzi, della quale il volume su Monte Sorbo rappresenta, anche sotto il profilo territoriale, il naturale completamento.
L’esigenza comune era quella di chiarire fisionomia e significato della chiesa, che sorge, presumibilmente in età tarda, in posizione piuttosto isolata, sulla dorsale appenninica romagnola attualmente compresa nel Comune di Mercato Saraceno nell’alto Cesenate, apparentemente decontestualizzata da insediamenti e rotte itinerarie di qualche rilievo. La documentazione disponibile, che rimandava al 1223 per la prima attestazione dell’edificio, era, infatti, del tutto inadeguata a spiegare la straordinaria ricchezza decorativa della pieve, che vede reimpiegati materiali antichi, paleocristiani e altomedievali di pregio ed eleganza straordinari, da sempre motivo di studio ed interesse per archeologi classici e medievali. Per quanto concerne l’antichità, il carattere imponente delle colonne e dei capitelli rimessi in posto a scandire le navate interne aveva richiamato importanti problemi interpretativi, che andavano dalla loro provenienza al significato della loro presenza a Monte Sorbo, alle difficoltà tecniche del loro trasporto, alla rete stradale che ne aveva concretamente supportato il trasferimento.
I dati scaturiti dalle indagini condotte e recentemente pubblicate sono, quindi, di grande importanza, non solo perché fanno luce, con ricerche di ampio respiro e metodo rigoroso, su un sito fino ad ora marginalizzato e tutto da decifrare, ma anche, e soprattutto, perché offrono un contributo fondamentale alla lettura archeologica dell’alta valle del Savio, ovvero del bacino di rifornimento della flotta romana stanziata al porto di Classe a Ravenna, crocevia di traffici e scambi con l’Italia centrale fin dalla sua promozione ad asse portante della penetrazione romana in Cisalpina nel III sec. a.C.
Il volume rende ben conto delle diverse fasi che hanno caratterizzato il progetto scientifico intorno a Monte Sorbo, variamente articolate tra indagini archeologiche e d’archivio e corredate da camei sulla lunga continuità di vita della pieve fino ad oggi. Assai opportuna è, anche, l’estensione delle indagini topografiche ed archivistiche al comprensorio tra la valle del Savio e quella limitrofa del Borello, nella consapevolezza, ampiamente condivisa, dell’assoluta rilevanza della conoscenza del contesto per una più solida e corretta lettura dei singoli edifici e complessi architettonici.
Per quel che riguarda i contributi di maggior interesse archeologico, ampie sezioni sono dedicate, rispettivamente, all’inquadramento storico-topografico del sito, all’analisi stratigrafica delle murature, alle fasi di ricostruzione medievali, ai marmi, alla lettura petrografica di colonnato e lapidario. Marino Mengozzi ben istruisce i termini del problema interpretativo della pieve nel lavoro “Una pieve-reliquia”, ove, sintetizzando i nuovi dati proposti negli svariati paragrafi del volume, ricompone le più antiche fasi costruttive dell’edificio: un primo impianto paleocristiano di VI-VII sec. d.C., presumibilmente promosso dal vescovo di Sarsina, avrebbe visto un concreto rilancio intorno all’VIII-IX sec. d.C., fino all’apertura, nel X sec. d.C., del cantiere voluto dal vescovo Florentius, propedeutico alla sua sepoltura in loco. Le fasi centrali della monumentalizzazione della pieve e, forse, la delocalizzazione della tomba di Florentius sarebbero da ricollegare alla prossimità dell’edificio al cosiddetto Monte di San Vicinio, ovvero ai luoghi della venerazione del vescovo sarsinate Vicinio.
La ricostruzione delle fasi edilizie della pieve prima del Mille si fonda su una serie di dati, scritti e archeologici, variamente distribuiti tra i contributi raccolti nel volume. Per quanto riguarda i primi, il lavoro di Maurizio Abati e Piero Camporesi “Storia della pieve e del pievato” raccoglie nuovi documenti d’archivio, suscettibili di essere interfacciati con quelli già noti, che, oltre a rialzare a quota altomedievale la datazione dell’edificio, precedentemente non documentato prima del 1223, adombrerebbero rapporti molto stretti tra la pieve urbana sarsinate e quella di Monte Sorbo. Svariate pergamene, datate tra il X ed il XII secolo, sfumerebbero persino il primato della chiesa di Sarsina in favore di quella di Monte Sorbo, con modalità che dovranno essere meglio documentate dal prosieguo delle ricerche. Il lavoro archivistico e cartografico, molto complesso e cronologicamente stratificato, illumina un territorio finora poco noto e restituisce moltissimi dati suscettibili di una lettura archeologica, tra i quali cartografia aggiornata dei pievati locali e repertori toponimici di grande interesse topografico.
Venendo ai dati archeologici, il fondamentale apporto delle indagini di laboratorio applicate ai beni culturali trova concreto riscontro nel contributo “La lettura petrografica: colonne e lapidario”, firmato da Patrizia Santi, Alberto Renzulli, Fabrizio Antonelli. I gruppi litologici individuati, che vanno dai marmi orientali alla pietra alto adriatica, riferiscono di un orizzonte fabbrile straordinariamente ampio e suggestivo, che non vede, significativamente, alcuna rappresentanza di materiali locali. Con particolare riferimento all’antichità, il marmo utilizzato nelle colonne romane reimpiegate della navata centrale è risultato di origine efesina, confermando la prevedibile provenienza dal porto di Classe, nell’ambito di traffici per via terrestre e fluviale ampiamente noti per la valle del Savio, da sempre coinvolta nell’approvvigionamento della flotta imperiale e nella diffusione dei materiali da costruzione importati via mare da Ravenna. I dati derivanti dalla lettura petrografica integrano l’ampia sezione “I marmi: considerazioni e problemi”, firmata da Paola Porta, che si configura, per consistenza e contenuto, come il nucleo intorno al quale si organizza il volume. L’abbondanza e la varietà del materiale pubblicato esprimono bene lo sforzo compiuto e dimostrano quanto l’edizione impeccabile degli elementi lapidei giovi alla lettura del sito. L’ampio arco cronologico sul quale si distribuisco i marmi, dall’antichità alle fasi successive, conferma, inoltre, il possesso di strumenti critici solidi e rigorosi. Il censimento ha riguardato gli spolia romani, ovvero colonne e capitelli delle navate e del ciborio, e cinquantatre marmi di età paleocristiana e altomedievale. La datazione tra II e IV sec. d.C. delle colonne di provenienza efesina e la cronologia tra la fine del III e gli inizi del IV sec. d.C. dei capitelli hanno fatto ipotizzare, in alternativa alla tradizionale provenienza sarsinate, lo spoglio delle rovine delle architetture ravennati di età imperiale ed esarcale. Dei reperti postantichi, cronologicamente concentrati tra il pieno VIII sec. e l’avvio del IX sec. d.C., si è rilevata la cifra morfologica e stilistica tipica del linguaggio artistico inquadrabile tra la fine del regno longobardo e la conquista dei Franchi. Il nucleo lapideo di Monte Sorbo ha, così, visto confermato il buon livello qualitativo e la stretta familiarità con la produzione aulica norditalica, estesa all’alto Adriatico e decisamente esotica rispetto alla scultura regionale dell’epoca. Resta sullo sfondo, ben delineato e trattato con l’opportuna cautela, il tema dell’evanescenza dell’arredo liturgico e dei diversi orientamenti lessicali ed espressivi dei rilievi, che lasciano aperto il dibattito tra l’ipotesi dell’intervento di lapicidi diversi per scuola e tradizione fabbrile e quella di una sola bottega di maestranze lessicalmente eterogenee.
Il contributo dei materiali alla datazione delle fasi di occupazione della pieve è evidente se interfacciato con i dati derivanti dalle altre indagini archeologiche raccolte nel volume. La concentrazione cronologica dei marmi altomedievali a cavallo tra VIII e IX sec. d.C. potrebbe, infatti, confermare l’evergetismo della chiesa sarsinate, desiderosa di monumentalizzare la pieve con dotazioni e arredi all’altezza della venerazione del santo taumaturgo. La presenza di una fase edilizia precedente il Mille, rintracciabile nelle strutture absidali tuttora in vista, è confermata anche dal contributo di Sara Bini “Analisi stratigrafica delle murature”, che ricostruisce con precisione la sedimentazione degli interventi strutturali ricavabili dall’analisi stratigrafica delle murature sulle quali si imposta la fabbrica romanica. A conclusioni analoghe riporta anche il lavoro di Barbara Chiarini “La pieve primitiva e le fasi ricostruttive in epoca medievale. Ipotesi”, che ha anche il merito di graficizzare efficacemente su base planimetrica diacronica le fasi edilizie successive all’impianto originario.
Il lavoro di Pier Luigi Dall’Aglio “Annotazioni storico-topografiche” proietta Monte Sorbo oltre il vuoto conoscitivo lamentato dalla letteratura precedente, in un orizzonte topografico caratterizzato da consapevoli interventi di pianificazione stradale ben lontano dall’evanescenza itineraria che sembrava, fino ad ora, caratterizzare il comprensorio della pieve. Il sito, già molto suggestivo, si commisura ad un paesaggio ormai decifrato, nell’intento di garantire una conoscenza storica del territorio nel quale le forme e i processi insediativi si radicano ed evolvono. La contestualizzazione nello spazio e nel tempo non risponde ad un automatismo superfluo, ma sostanzia la comprensione in senso diacronico del sistema paesaggio e offre un contributo determinante all’ipotesi che la monumentalizzazione della chiesa di Monte Sorbo mediante il reimpiego di marmi antichi di grande pregio nasca da esigenze devozionali. La ricostruzione del percorso antico da Sarsina a Monte Sorbo prevede, infatti, un passaggio ai piedi del Monte di San Vicinio, tradizionalmente legato al culto del vescovo di Sarsina, nel quale è stata, giustamente, a più riprese intravista la ragione dell’implementazione della nuova strada. In termini strettamente topografici, l’itinerario sarebbe anche favorito dall’interruzione, in età tardoantica, della via di fondovalle, costretta da una frana a rettificare il proprio percorso e, forse, a ricorrere a nuovi diverticoli di crinale per raggiungere la pianura. Sarebbe questo il senso del percorso rintracciato per Calbano, Tezzo, Musella, Monte Sorbo, Monte Jottone e, infine, la confluenza tra Savio e Boratella. La forza propulsiva dell’irraggiamento stradale sarsinate di età tarda, ben evidenziata nel contributo, non può non essere messa in relazione con la continuità d’uso del quartiere episcopale di Sarsina, confermata dai recenti scavi. Se si considera la debolezza insediativa ed istituzionale che caratterizza la città dopo la fine dell’antichità, è evidente che la chiesa sarsinate sostituisce la classe dirigente romana in termini anche amministrativi, capitanando la revisione dell’assetto urbanistico della città antica e ridisegnandole intorno una rete stradale di servizio ricavata più in quota, che non sia inquinata dalla scarsa manutenzione ordinaria di età tarda e tenga conto delle nuove esigenze devozionali determinate dallo sviluppo del pellegrinaggio. La depressione delle istituzioni laiche in favore di quelle ecclesiastiche spiega bene la vitalità di Monte Sorbo e dei percorsi che la raggiungono, implementati da inedite esigenze di rappresentatività religiosa.
In conclusione, il volume su Monte Sorbo offre, per l’approccio multidisciplinare che lo caratterizza, preziose indicazioni metodologiche alla tradizione degli studi sui complessi architettonici a lunga continuità di vita, nell’ottica, più ampia, del rispetto e valorizzazione dell’insediamento non per una singola, pur straordinaria, fase di occupazione, ma per il suo complessivo linguaggio insediativo. La rilevanza del contributo che il volume apporta alla conoscenza di Monte Sorbo dovrebbe indurre anche a un sostanziale rilancio del sito, per valorizzare il paesaggio attuale a partire dalle sue radici storiche e trasmettere alla collettività il contenuto e significato del suo passato. Se è vero che la ricerca scientifica deve, laddove possibile, fungere da richiamo alla memoria collettiva, l’edizione della pieve rappresenta anche un volano per la diffusione e condivisione dei risultati pubblicati alle realtà che sul posto vivono e operano. I dati editi devono, infatti, orientare nella tutela del patrimonio storico-artistico le amministrazioni locali, che hanno il compito e la responsabilità della gestione consapevole del territorio, giustificando l’investimento di mezzi e risorse nell’obiettivo di restituire dignità al vissuto collettivo e di trasformare il paesaggio muto in paesaggio parlante.
Elenco dei contributi
Marino Mengozzi: Una pieve-reliquia
Daniele Bosi, Marino Mengozzi, Edoardo Turci: La pieve ieri e oggi
Pier Luigi Dall’Aglio: Annotazioni storico-topografiche
Maurizio Abati, Piero Camporesi: Storia della pieve e del pievato
Sara Bini: Analisi stratigrafica delle murature
Barbara Chiarini: La pieve primitiva e le fasi ricostruttive in epoca medievale. Ipotesi
Paola Porta: I marmi: considerazioni e problemi
Patrizia Santi, Alberto Renzulli, Fabrizio Antonelli: La lettura petrografica: colonne e lapidario
Ada Foschini: I restauri dei marmi e del ciborio
Fabrizio Lollini, Sara Zoffoli: Gli affreschi del ciborio
Bonita Cleri: La Madonna di Monte Sorbo
Daniele Bosi: Le campane
Marino Mengozzi: L’archivio parrocchiale