Il crescente interesse, specie nell’ultimo ventennio,1 per l’architettura domestica tardoantica—non solo di tipo palaziale o aulico-monumentale, come le ville latifondistiche, ma anche di scala minore—e per i ricchi apparati decorativi che non di rado la caratterizzano ha alimentato] un’ampia letteratura.2 I I lavori in questione permettono facilmente di constatare che spesso l’acqua riveste un ruolo non secondario, non tanto—com’è ovvio—in termini funzionali, quanto in senso decorativo: è indispensabile per il funzionamento dei balnea privati, alimenta fontane e fontanelle in viridaria e atri, allieta i convitati se impiegata in piccoli ninfei nei pressi di triclini o semplicemente scorrendo dalla parte centrale di uno stibadium a sigma,3 per riversarsi in un bacino antistante o costituire uno specchio idrico artificiale che, incrementando gli effetti coloristici di pavimenti marmorei e in opus sectile, contribuisce talora anche a mitigare la calura estiva.4
Alla già corposa e pur selezionata lista di fontane domestiche—più o meno monumentali—che lo stesso Sodini riporta nelle pagine conclusive dello studio qui presentato, soffermandosi per ovvie ragioni sull’ambito greco-orientale (pp. 153-161), deve aggiungersi il ninfeo protobizantino costruito alla metà del VI secolo in una casa tardoantica di Thasos 5 obliterando uno dei portici dell’atrio interno.
Scavata in due diversi momenti da Yvon Garlan prima 6 e Dominique Mulliez poi,7 spetta all’archeologo francese, a Tony Kozelj e a Manuela Wurch-Kozelj il merito di aver portato la dimora alla conoscenza degli studiosi in forma compiuta e monografica,8 dando conto dell’esistenza di un piccolo ninfeo domestico che, pur in una casa di medio rango, testimonia la vitalità edilizia dell’epoca.— Secondo l’opinione del tardoantichista francese, tutt’altro che nuovo al contesto tasio9 che è oggetto di indagine da parte della Scuola Francese ad Atene dal 1911,10—esso riproduce in scala l’architettura di un ninfeo urbano a π, nelle forme che di fatto si codificarono nel contesto greco-microasiatico a partire dal II secolo e soprattutto tra l’età severiana—forse subendo il fascino monumentale del Septizodium —e l’epoca protobizantina (pp. 163-170, con bibliografia).
Posta nell’abitato dell’attuale Liménas, in un’area densa di domus tardoimperiali sorte forse in ragione di un intervento di sistemazione urbanistica contestuale all’Arco di Caracalla 11 e poi in qualche modo delimitata da tre chiese (Basilica dell’ Herakleion, Basilica Cruciforme, basilica in proprietà Vellios),12 la casa fu plausibilmente 13 realizzata tra il III e il IV secolo. Ne rimangono, di fatto, i mosaici 14 dei portici ovest e nord e di un vano a Ovest del portico occidentale— (quest’ultimo con emblema recante due eroti combattenti, fiancheggiato da due pannelli con volatili),—e alcune strutture, per lo più rasate. I resti consentono di restituire un impianto con corte pavimentata in lastre di marmo e pozzo sull’asse est-ovest, con accesso dalla strada a Nord e vani a Ovest ed Est. Piedistalli in situ sullo stilobate nord dell’atrio, basi e fusti di colonna, architravi integri e un capitello ionico reimpiegato in una delle strutture più tarde hanno consentito di restituire l’elevato del peristilio trabeato, a un solo piano, e un impianto di 4 x 6 colonne.
In un momento successivo, forse ascrivibile alla prima metà del VI secolo, il complesso domestico fu ricostruito in alcune delle strutture murarie, ampliato verso Sud, dotato di un secondo livello e di un nuovo accesso da Nord, la cui imponente soglia in situ (largh. 3 m) è raccordata al piano del mosaico del portico nord, mantenuto in pristino, per mezzo di un gradino intermedio. Nell’atrio, questa volta ad arcate, setti a L sono realizzati ai quattro angoli della più profonda corte. Postulando il riutilizzo di alcuni elementi architettonici, il porticato conserverebbe al piano inferiore basi e fusti di colonna dell’impianto precedente, impiegando però capitelli a imposta e capitelli ionici a imposta; inoltre, il ritrovamento di semplici imposte lascia aperta l’ipotesi del reimpiego anche dei capitelli ionici della fase più antica, completati superiormente dai nuovi blocchi. Una cornice baccellata separava il primo livello dal secondo: le chiare impronte leggibili sui piani di attesa degli elementi conservati, compatibili con i frammenti architettonici rinvenuti, consentono di restituire un secondo ordine con colonne binate e transenne intermedie a squame embricate (a volte in rilievo, altre volte a giorno, altre volte ancora con cristogramma al centro della lastra o di uno dei due pannelli in cui essa può essere divisa). Di notevole interesse è il riconoscimento del sistema di fissaggio degli elementi del secondo ordine, del tutto estraneo all’architettura ecclesiastica: in assenza di tenoni e grappe, la tenuta dell’insieme era affidata a un blocco lapideo—uno dei quali forse individuato— disposto tra due colonne binate consecutive, davanti al pluteo intermedio.
La terza trasformazione del complesso è attribuibile, grazie a fonti numismatiche, alla metà del VI secolo: consiste, di fatto, nella chiusura degli intercolumni dell’ordine inferiore del portico ovest della corte (lasciando inalterato il livello superiore), nell’aggiunta di bassi pilastri quadrati all’interno dei setti angolari, e nella costruzione, tra essi, di un parapetto per la creazione di un bacino di raccolta dell’acqua. Il ninfeo così ottenuto era alimentato da Ovest, per mezzo di un canale che attraversava uno degli ambienti occidentali—immediatamente a Sud dell’ oecus mosaicato—sfociando in una vasca di decantazione posta nell’angolo nord-est dello stesso vano; da qui l’acqua era condotta verso la fontana, nella quale sgorgava dalle bocche di delfini, grazie a fistulae plumbee inserite in nuove strutture murarie. La fronte, con avancorpi laterali, presentava due ordini colonnati, il cui ritmo è definito dalle impronte sulle cornici di base di ciascuno dei due livelli: fusti con scanalature a doppio registro erano usati per le colonne inferiori, a scanalature verticali per quelle superiori. In entrambi i casi, i singoli sostegni erano coronati da mensole aggettanti su cui correva un architrave continuo; le relative decorazioni sono a incisioni stilizzate. A uno degli avancorpi è stato attribuito un elemento a triangolo rettangolo conservato presso il Museo, che, decorato con pesci sulla fronte, steli gigliati sul retro e foglia d’acanto sul lato, può esemplificare il semitimpano di certo presente sulle due ali della facciata del ninfeo.
L’apprestamento andò in disuso agli inizi del VII secolo, come provato da altri reperti monetali, quando nuove strutture obliterarono, di fatto, il sistema di adduzione idrica. Un corposo livello di distruzione, riconducibile al sisma del 620, consente di riconoscere invece la fine della vita dell’edificio, pur rioccupato in alcune sue parti.
La descrizione delle principali fasi edilizie occupa i capitoli 1-3, preceduti da una premessa e un’introduzione. Le relative datazioni, pur già fornite, sono argomentate nel capitolo 5. Il 4 è invece dedicato alle sculture, parte integrante del corredo domestico e del ninfeo, e all’analisi della decorazione architettonica: quest’ultima è saldamente ricondotta all’esperienza locale, non solo per il marmo impiegato, ovviamente tasio, ma anche per stilemi che, per alcuni aspetti lontani dai tratti tipici della produzione proconnesia e delle relative imitazioni, consentono di riconoscere un atelier di certo tasio.
Due appendici (a firma di Tony Kozelj e Manuela Wurch-Kozelj) integrano lo studio di Sodini. La prima rende ragione, anche per via grafica, della ricostruzione del ninfeo. La seconda—riprendendo un precedente contributo 15—si sofferma sull’uso della sega nella rilavorazione di blocchi lapidei in funzione del reimpiego, sino a ipotizzare l’esistenza di maestranze tasie specializzate in questa pratica, anche ai fini dell’esportazione.
Il volume è concluso dagli apparati (abbreviazioni bibliografiche, indice generale, indice delle figure, fonti delle illustrazioni e sommario). Un’analisi attenta e dettagliata, ricca di riferimenti bibliografici esaustivi, e un corredo grafico e fotografico chiaro e puntuale fanno del volume un più che riuscito lavoro di pubblicazione di un vecchio e ancora inedito scavo, tanto complesso quanto importante, fornendo dati di estremo interesse e un modello di lavoro per chi si cimentasse con un tema non necessariamente strictu sensu analogo.
Notes
1. Si pensi anche alla costituzione, nel 2009, del Centro Interuniversitario di Studi sull’Edilizia abitativa tardoantica nel Mediterraneo (CISEM), cui afferiscono diverse università italiane, e alle attività da esso promosse, come convegni e pubblicazioni: cfr. P. Pensabene, C. Sfameni (a cura di), La villa restaurata e i nuovi studi sull’edilizia residenziale tardoantica, Atti del Convegno Internazionale del Centro Interuniversitario di Studi sull’Edilizia abitativa tardoantica nel Mediterraneo (CISEM) (Piazza Armerina 7-10 novembre 2012), Bari 2014; inoltre, nel marzo 2016 si è svolto a Bologna il Convegno “Abitare nel Mediterraneo tardoantico”, i cui atti sono in corso di edizione.
2. Ai lavori citati nel volume, tra gli altri—ma senza alcuna pretesa di completezza –, possono aggiungersi anche F. Guidobaldi, “L’edilizia abitativa unifamiliare nella Roma tardoantica” in A. Giardina (a cura di), Società romana e impero tardoantico, II, Roma. Politica, economia, paesaggio urbano, Roma-Bari 1986, pp. 165-237; S.P. Ellis, Roman Housing, London 2000; S. Bullo, F. Ghedini (a cura di), Amplissimae atque ornatissimae domus (Aug., civ., II, 20, 26). L’edilizia residenziale nelle città della Tunisia romana, Roma 2003; P. Bonini, La casa nella Grecia romana. Forme e funzioni dello spazio privato fra I e VI secolo, Roma 2006; C. Sfameni, Ville residenziali nell’Italia tardoantica, Bari 2007; A. Chavarría Arnau, El final de las villae en Hispania (siglos IV-VII d.C.), Turnhout 2007.
3. E. Morvillez, “Les sigmas-fontaines dans l’Antiquité tardive” , in K. Vössing (a cura di), Das römische Bankett im Spiegel der Altertumswissenschaften, Internationales Kolloquium, 5./6. Oktober 2005, Schloß Mickeln, Düsseldorf, Stuttgart 2008, pp. 37-53.
4. Cfr. G. Volpe, “Cenatio et lacus. Il ruolo dell’acqua negli spazi conviviali in alcune residenze tardoantiche”, in S. Cagnazzi et alii (a cura di), Scritti di storia per Mario Pani, Bari 2011, pp. 507-522.
5. Sull’architettura domestica dell’isola vedi la bibliografia riportata nel volume in esame, pp. 6-7 note 6-8.
6. Scavo di emergenza del 1964 in proprietà Tokatlis, che portò alla luce gran parte dell’atrio e due vani a Ovest di esso.
7. Il poi Direttore dell’EFA si occupò, nel 1981, dello scavo dei terreni limitrofi (Divanakis e Voulgaridis), a Est della parte già indagata, esponendo il settore orientale del portico settentrionale dell’atrio e due annessi a Est di esso.
8. Una sintesi è stata preliminarmente proposta in T. Kozelj, J.-P. Sodini, “Un nymphée dans une maison tardive de Thasos” in O. Brandt, P. Pergola (a cura di), Marmoribus vestita. Miscellanea in onore di Federico Guidobaldi, Città del Vaticano 2011, II, pp. 797-820.
9. Sodini avvia lo studio della fase protobizantina di Thasos, oggetto della sua “thèse d’État”, nel 1970. Si ricordino, tra i suoi lavori, almeno gli studi sulla basilica di Aliki (J.-P. Sodini, K. Kolokotsas, Aliki II. La basilique double, Athènes 1984) o quelli—troppi per essere elencati in questa sede—sul marmo tasio e sulla decorazione architettonica che lo impiega (cfr. anche la bibliografia citata alle pp. 5-6 nota 4 del volume in esame).
10. Cfr. D. Mulliez, “Histoire des fouilles de l’École Française d’Athènes à Thasos”, in CRAI 2001, 2, pp. 1115-1133; A. Muller, D. Mulliez, 1911-2011. Cent ans de fouilles françaises à Thasos, Εκατό χρόνια γαλλικές ανασκαφές στη Θάσο, Athènes 2012.
11. J.-Y. Marc, “Der sogenannte Caracalla-Bogen in Thasos und die Funktion monumentaler Bögen in den griechischen Städten der römischen Kaiserzeit”, in H. Friesinger, F. Krinzinger (a cura di), 100 Jahre österreichische Forschungen in Ephesos, Akten des Symposions, Wien 1995, Wien 1999, pp. 707-711, con bibliografia.
12. Sull’abitato tardoantico, J.-P. Sodini, “Thasos protobyzantine”, in CRAI 2011, 2, pp. 1161-1207, in part. pp. 1162-1193.
13. La datazione dipende da elementi stilistici.
14. Già editi in Y. Garlan, “Nouvelles mosaïques thasiennes”, in BCH LXXXIX, 1965, pp. 567-583.
15. T. Kozelj, M. Wurch-Kozelj, “Use of a saw in Roman and proto-byzantine period on the island of Thasos”, in A. Gutiérrez Garcia-M., P. Lapuente Mercadal, I. Rodà de Llanza (a cura di), Interdisciplinary Studies on Ancient Stone, Proceedings of the IX Association for the Study of Marbles and Other Stones in Antiquity (ASMOSIA) Conference (Tarragona 2009), Tarragona 2012, pp. 715-722.