Il presente volume è la continuazione degli Studi sull’Epitome di Giustino: I. Dagli Assiri a Filippo II di Macedonia, Milano 2015, già recensiti in questa rivista,1 e raccoglie sette contributi tenuti lungo il corso di un seminario annuale presso l’Università Cattolica di Milano, dove una parte significativa dei relatori si è formata o anche svolge il proprio insegnamento. Solo un tocco di internazionalità è fornito in questo caso dalla presenza di un docente esercitante in un paese straniero.
In questo volume è presa in considerazione la parte più propriamente macedonica della Epitome di Giustino, i libri XI-XXX che trattano eventi compresi fra la spedizione di Alessandro Magno ed il regno di Filippo V. Come nel precedente volume uno spazio di indagine critica è costituito per ciascun libro dal confronto fra il testo della Epitome e quello dei prologi di Trogo indipendentemente compilati.
Rimanendo in sospeso la questione della origine di Pompeo Trogo, da me suscitata nella precedente recensione, due incognite costanti sono costituite in primo luogo dalla fonte che sarebbe stata di volta in volta utilizzata da Pompeo Trogo per la scrittura delle sue Storie Filippiche, e in secondo luogo dall’epoca in cui l’epitomatore Giustino avrebbe realizzato il suo lavoro.2
Dato quindi il carattere interlocutorio di questo secondo volume—nel quale non è toccata ad esempio la dibattuta questione del presunto antiromanesimo di Trogo—passiamo alla analisi, sia pure sommaria, dei singoli contributi.
Il primo saggio (3-15), di Luisa Prandi, è intitolato Alessandro il Grande in Giustino. Dall’analisi dei libri XI e XII l’autrice evidenzia un implicito confronto presente nella narrazione fra la figura di Alessandro e quella del padre Filippo, a tutto vantaggio del secondo. Questa inferiorità di Alessandro rispetto al padre viene articolata sotto tre aspetti: quello positivo del valore riconosciuto a Filippo e quelli negativi della crudeltà di Alessandro, e di conseguenza della paura nutrita dagli stessi Macedoni e da tutte le genti, fino ai lontani Cartaginesi, nei suoi riguardi.
Il secondo contributo, di Franca Landucci (coeditrice, con Cinzia Bearzot, del volume), si incentra sulla trattazione dei Diadochi presente nei libri XIII-XVII dell’Epitome (17-38). L’autrice, in una serie di tavole sinottiche mette a confronto il contenuto dell’Epitome, ulteriormente da lei abbreviato, con quello dei prologi, presentati invece in forma integrale e tradotti. Il contributo è poi dedicato alla valorizzazione di notizie e parti originali presenti in Giustino. Questi, benché per i libri XIII-XV (che pure presentano notizie originali e particolari unici), sia messo in secondo piano dal più ampio racconto di Diodoro, costituisce, nei due restanti libri XVI-XVII, la nostra fonte principale per la conoscenza degli eventi storici del periodo successivo alla battaglia di Ipso e fino alla morte di Seleuco I (301-281 a.C. circa). Nel capitolo si evidenzia l’attitudine dello storico (Pompeo Trogo) a mettere in rilievo con tratti onorifici le figure dei successori di Alessandro (in particolare Seleuco I, Lisimaco, Tolemeo I), un aspetto che secondo l’autrice si potrebbe far risalire alla perduta opera Sui re di Timagene di Alessandria. A tale ipotesi, che sarebbe avallata dal riscontro negativo presente nel testo di Livio su Alessandro Magno,3 manca la conferma circa l’asserito carattere antiromano dell’opera storica di Timagene; 4 un interessante risvolto è invece costituito dalla possibilità che Timagene e Pompeo Trogo si siano conosciuti, ed abbiano coltivato assieme una determinata interpretazione della storia, presso il circolo culturale di Asinio Pollione.
Nel terzo contributo, Giustino e la storia di Cartagine (39-54), Giovanni Brizzi valorizza diversi passi, sparsi nell’opera, relativi alla storia cartaginese, a partire dalla fondazione della madrepatria Tiro, con una possibile eco della invasione dei ‘popoli del mare’. Per quanto riguarda il sacrificio degli infanti, notoriamente praticato dai Cartaginesi e di cui Giustino dà testimonianza esplicita, Brizzi riconduce questo ad un contesto più ampio di ‘civiltà del sacrificio’, sia esso il suicidio messo in atto dalla regina fondatrice o la crocifissione riservata ai comandanti sconfitti.
Il saggio di Riccardo Vattuone, già autore di uno dei contributi presenti nel primo volume, è intitolato Giustino e l’Occidente greco, II: IV-III secolo a.C. (55-67). L’autore tiene a sottolineare che la narrazione dei fatti relativi alla Sicilia e alla Magna Grecia è inserita nell’opera di Giustino in forma di excursus, con riferimento alla presenza di Pirro in Italia ed al suo passaggio in Sicilia. Viene così evidenziata l’omissione di alcuni riferimenti dovuti in una narrazione continua, quali ad esempio l’ascesa di Dionigi I (di cui comunque viene raccontata la campagna italica), mentre è presente un ritratto a forti tinte (sia pur negativo) di Dionigi II, e soprattutto, senza riguardo per la figura di Timoleonte, vi è la famosa pagina dedicata ad Agatocle.
Il contributo di Maria Teresa Schettino, uno dei più ampî, è riservato alla figura di Pirro in Giustino (69-98). Alle vicende di questo personaggio sono infatti dedicati dall’autore ben sei libri della trattazione, dal XVI al XXIII, sia pure con l’intercalazione di altre vicende, in particolare di excursus sulla Sicilia e sui Cartaginesi, di cui altri han già parlato. Per ordinare le notizie sulle movimentate vicende di cui il re epirota fu protagonista in tutte le fasi della vita, esse vengono ripartite dall’autrice sotto cinque voci: la genealogia, la politica matrimoniale, i rapporti con i diadochi e gli epigoni, la spedizione in Italia, la spedizione in Sicilia. Vi sono nel testo di Giustino alcune varianti rispetto a tutto il resto della tradizione, relative in particolare al suo ferimento in battaglia (Ascoli o Eraclea?), e alla cronologia delle trattative con i Romani.5
Il saggio di Federicomaria Muccioli, L’Oriente seleucidico da Antioco I ai primi anni di Antioco III in Pompeo Trogo / Giustino (99-120) prende in esame un tema che doveva avere un relativamente grande spazio nell’opera di Trogo, e che si presenta invece fortemente ridotto in Giustino. In discussione è il carattere ‘macedone’ rivendicato dalla dinastia seleucidica, che risulta fortemente sminuito nell’Epitome. Una corrispondenza fra Giustino e il massimo storico ellenistico, Polibio, è rappresentata dalla rilevazione del sincronismo, che si verifica nell’emergere di giovani nuovi sovrani in diverse parti del mondo in un breve periodo di tempo (223-220 a.C. circa).6
Il contributo di Monica D’Agostini, Il discorso del Re: Filippo V in Giustino (121-144) si sofferma invece sulla figura di Filippo V, le cui vicende meno note erano state trattate principalmente nei libri XXIX e XXX dell’opera di Trogo (come si rileva dai Prologi), ma risultano parzialmente omesse da Giustino. Nella narrazione dello scontro con i Romani, che invece è preservata, è possibile il confronto con altre tradizioni più ampie, in primo luogo ovviamente quella polibiana e liviana. Un episodio presente sia in Giustino che in Livio è ad esempio lo scambio di ambascerie avvenuto fra Annibale e Filippo V di Macedonia in vista di una alleanza antiromana.7 La conclusione è che nella persona di Filippo V assistiamo al compimento di un ciclo iniziato con Filippo II, ciclo che riveste una importanza centrale nel determinare il contenuto e soprattutto la denominazione ( Storie Filippiche) dell’opera di Trogo.
Sono questi dunque alcuni degli spunti che presenta la lettura di questo libro dall’aspetto dimesso (non vi sono ancora apparati, né di indici né di fonti, forse riservati al III volume), dal costo contenuto, ma che probabilmente investe la parte più necessaria dell’Epitome, quella che maggiormente surroga la mancanza di altre fonti dedicate. Alcune parti dei saggi possono risentire del carattere orale ed episodico della presentazione,8 ma si fondano in generale su una solida, pregressa conoscenza delle parti trattate.9
Notes
1. BMCR 2015.10.27.
2. Questo secondo aspetto viene affrontato in particolare all’inizio del contributo di Schettino (p. 69 ss.), con propensione per una datazione sostanzialmente ‘alta’, basata sulla conoscenza, dimostrata da Giustino nella praefatio, di Marco Catone, e quindi su una sua desumibile aderenza allo stile arcaizzante in voga nel II secolo d.C.
3. Liv. IX, 16-18, ove si nega ai diadochi di aver avuto alcun peso nella potenza macedone.
4. A questo riguardo di lui sappiamo solo che, per la libertà di parola, si era inimicato Augusto. Sul contenuto delle opere scritte non ho trovato rispondenze.
5. Rinvio alla trattazione che di questo episodio diedi in F. Canali De Rossi, Le ambascerie dal mondo greco a Roma, Roma 1997, e in Le relazioni diplomatiche di Roma I, Roma 2005.
6. Iustinus XXIX, 1, 1-7. Polybius IV, 2, 5-10. Questa corrispondenza è rimarcata anche nel saggio della D’Agostini (p. 122).
7. Anche in questo caso alla bibliografia addotta affianco il mio personale contributo in Le ambascerie, citato a nota 5, e in Le relazioni diplomatiche di Roma III, Roma 2013.
8. Ad esempio ogni autore ripete considerazioni generali – non sempre peraltro combacianti – sul carattere dell’opera. Tratti colloquiali sono presenti in particolare nel saggio di Brizzi (ad es. p. 42, ‘chi vi parla’).
9. Si segnalano le seguenti correzioni: p. 11, nota 29: gaudeba n t; p. 18, riga 11-12: che Giustino ‘ha eliminato … la digressione su Cirene’ è contraddetto dal riassunto fatto dalla stessa autrice; p. 40, riga 25: secondo Giustino la fondazione di Roma è 72 anni prima, non dopo, la fondazione di Roma; p. 47-48, passim, ‘ambasc i eria/e’, grafia per lo meno insolita (così p. 79, riga 19, ‘nobil i tà’); p. 64, riga 8: ‘democrazia’ scritto in greco con épsilon invece di eta; p. 76, nota 35: refuso all’inizio della citazione: Quos Pyrrus; p. 107, ultima riga del testo: XXIV- X XX; p. 109, nota 47: chi è il fanciullo Abide destinato al trono? P. 114, nota 77: Ab n uenti; p. 126, nota 18: nota superflua in questo tipo di contributo; p. 137, riga 16: trattandosi di un oracolo la traduzione con il presente del futuro non è ammissibile.