Il libro contiene il testo greco e la traduzione francese degli epigrammi di Posidippo di Pella restituiti dal P. Mil. Vogl. VIII 309. È una traduzione line-by-line, molto garbata e ben fatta. Posidippo non è un poeta particolarmente oscuro o concettoso, ma usa espressioni rare, strane, e non è facile prendergli le misure. Yannick Durbec ci è riuscito con indiscutibile bravura, adottando un linguaggio versatile, sciolto, sobrio ed elegante, in certi punti più bello da leggersi dell’originale stesso, e non privo di consapevoli intenti d’arte (cf. e.g. p. 11 n. 49). È anche una traduzione onesta, nel senso che non prevarica, né pretende di capire a tutti i costi anche quei punti in cui capire è impossibile. Va inoltre a merito di Durbec il non aver circoscritto il suo lavoro alle sole parti dotate di senso compiuto. Sequenze come «je repose sur […] ni […] étranger, auprès […] accueille» (ep. 108) oppure «comment […] silence […] […] froid» (ep. 109) potranno sconcertare il lettore non specialista, ma riflettono la realtà della tradizione e non possono essere ignorate.
Occorre dire tuttavia che questa traduzione non sempre convince. Non convincono 98.3 ἐπ’ ὀνείρωι « à la suite d’un songe»; 19.5 προ[τὶ τ]ἄ[σ]τεα «devant la ville» (cf. Austin p. 41 «the cities»); 29.4 Σιδήνηι (…) ἐν Αἰολίδι « vers Sidène en Éolie»; 84.4 θειότεραι « les plus divins» (cf. Austin p. 109 «far more divine», comparativo); 74.7-8 ἀ]κεραίων | ἐ[κ σ]τηθέων «sans être le moins du monde troublée» (il concetto che deve emergere è la purezza, la ἁπλότης della cavalla, non la tranquillità). Diversi nomi propri vengono resi in modo discutibile: 97.1 Κῶιος «le Céen»; 45.1 ἡ Μαραθη[νή «la marathonienne»; 60.1 Μνησίστρατ[ος «Mnésistratès»; 54.2 Μυρτίδα «Myrtus»; 50.3 Ὑμέναιος «Hyméné»; 63.1 Ἑκ[α]ταῖος «Hécaté» (= 45 n. 221 e n. 227). In 50.5 è omesso κεινῶν (da κεινός = κενός), in 95.3 è omesso δεινά. A volte viene tradotto un testo greco differente da quello effettivamente stampato: cf. 52.5 ἀλλὰ σὺ γῆρας ἱκοῦ, κούρη· παρὰ σήματι τούτωι (…) μέτρει «mais puisses-tu atteindre la vieillesse! La jeune fille auprès du tombeau (…) mesurera» (che presuppone semmai ἀλλὰ σὺ γῆρας ἱκοῦ· κούρη παρὰ σήματι τούτωι (…) μετρεῖ). La cosa si ripete in 93.2, in cui Durbec segue la mia punteggiatura, ma stampa quella dell’ editio princeps. In 21.1 il testo adottato è πλέον’ ἰνί ma la versione francese «plein de force» corrisponde al tràdito πλέον ἰνί (= πλέων ἰνί) oppure alla correzione πλέος ἰνί (= πλέως ἰνί) della princeps. Poiché la n. 77 a p. 17 rivela consapevolezza che la lezione effettivamente tradotta è πλέον’ ἰνί, se ne deve dedurre che un πλέων comparativo (da πολύς) è stato confuso con πλέως/πλέος (il proponente di πλέον’ ἰνί, D. Sider, correttamente traduce «with altogether great force»: Posidippus on Weather Signs, in: K. Gutzwiller [ed.], The New Posidippus, Oxford 2005, p. 166).
Le note spesso omettono dati essenziali e ne forniscono di superflui. Sull’ep. 25, Durbec riferisce un mio obiter dictum su una questione insignificante (poco cambia fra εἰρομ[έ]ν[ωι, εἰρομ[έ]ν[ηι o eventualmente εἰρομ[έ]ν[οις) e non dice una parola sulla rilettura che fornisco dei vv. 5-6, radicalmente alternativa a quella degli editori prìncipi. Lo stesso per l’ep. 26, dove lo studioso espone una mia modifica di interpunzione senza minimamente accennare all’intervento sul testo che la determina, e facendola perciò apparire gratuita e anzi assurda. A p. 26 n. 31, a proposito dell’ep. 35, riferisce a mio nome un’informazione di contenuto generale e tace del tutto le ipotesi che faccio sul testo. A p. 16 n. 73, a proposito di 20.3, rimanda a «Lapini 2003 pour cette interprétation», ma non spiega qual è «cette interprétation» (impossibile a ricavarsi dal testo). Produco esempi che mi riguardano perché per ovvie ragioni sono quelli che conosco meglio; ma questo atteggiamento omissivo si coglie più o meno ovunque. Il Durbec non dice nulla sull’eccezionalità del (presunto) iota eliso di 21.1, o sull’insolita prosodia di μαργαρῖτις in 11.3, o sul raro (e anche qui presunto) costrutto del genitivo assoluto senza verbo in 13.3. In compenso a p. 25 n. 124 spiega che ὤιετ(ο) va riferito (e come potrebbe essere diversamente?) al tempo del sogno, e a p. 26 n. 133 va a scomodare Herod. 1.64 per documentare che lo Strimone è un fiume della Tracia. Sull’ep. 33 rilevo che la colpa di Aristosseno non è il «pretendere di dormire al fianco di Atena», come si legge a p. 25 n. 127, ma la sciocca fiducia di poter affrontare da solo un’intera falange. L’ep. 90 viene riferito, sulla scorta di Zanetto ( Posidippo fra naufragi e misteri, in: G. Bastianini – A. Casanova [edd.], Il papiro di Posidippo un anno dopo, Firenze 2002, pp. 101-104), al topos delle morti paradossali (p. 60 n. 300). Non capisco che cosa vedano di paradossale Zanetto e Durbec in un annegamento alla distanza di due stadi dalla costa, una distanza che lo stesso Posidippo mostra di considerare temibilissima. A p. 19 n. 93, su 24.1, ricusa l’integrazione ἅ[λιον perché «l’oiseau est déjà qualifié de μέλα[ν, tandis que l’indication du destinataire est attendue». Per il «destinataire» ci sono spazi smisurati ai vv. 2-3, e la distribuzione democratica degli epiteti si può reclamare tutt’al più quando questi ultimi siano ornamentali. Altrimenti dovremmo eccepire anche su, mettiamo, 25.1 πρέσβυς ἀνὴρ ἀγαθός τε [καὶ εὐ]άντητος (περὶ) ὁδοῖο, in cui le qualifiche vanno tutte su ἀνήρ e nessuna su ὁδοῖο.
Veniamo al testo greco. Il Durbec pubblica un testo semi-critico, esemplato fedelmente, anche se non pedissequamente, su quello di C. Austin e G. Bastianini ( Posidippi Pellaei quae supersunt omnia, Milano 2002), dei quali però è meno rigoroso. Sceglie di indicare con le parentesi uncinate non solo le integrazioni, ma anche le modifiche ‘redazionali’ del tipo συ⟨λ⟩λάμπει per συνλαμπει (7.6), μιμ⟨ε⟩ῖται per μιμιται (17.6) e così via. Ma non sempre si attiene a questa regola: le modifiche di σφικτον in σφιγκτόν (4.5), di εγνηου in ἐκ νηοῦ (39.3), di απελιππανεν in ἀπελίμπανεν (79.3), ecc., non sono segnalate. Il trattamento dello iota mutum oscilla: a volte sta fra uncinate (17.4, 99.3), a volte è supplito tacitamente (3.1, 3.4). I due sistemi si alternano anche a un rigo di distanza: cf. 22.4-5 Θρῆισσα e κυβερνήτη⟨ι⟩ per i tràditi θρησσα e κυβερνητη. Quando lo iota mutum è di troppo, viene cassato senza tanti complimenti, nonostante il fatto che in qualche caso possa essere l’indizio di di una lezione perduta: in 27.3, ad esempio, lo iota di αλλα τελειηι è un sostegno non proprio trascurabile in favore del da me proposto e per me inevitabile ἀλλ’ ὅτε λαιῆι (con virgola dopo φαίνεται). Ma, anche prescindendo dalle questioni grafiche, raramente il lettore è avvertito che le lezioni messe a testo non sono quelle del papiro: 14.3, 30.2, 74.12, 74.13, 97.3, ecc., e non sempre si tratta di lezioni sicuramente da scartare: su ἐλθεῖν di 62.5, per esempio, si può discutere; e forse anche su στήθεσιν di 47.4, su εὐπαθές di 50.5, su ἐπί di 68.3, e soprattutto su ἤγαγεν di 20.2, la cui correzione in ἤγαγες è necessaria solo per chi tiene separati l’ep. 19 e l’ep. 20. Io penso che 19 e 20 facciano tutt’uno, e che di conseguenza ἤγαγεν possa, o debba, restare tale e quale (cf. W. Lapini, «ZPE» 143, 2003, e Capitoli su Posidippo, Alessandria 2007, pp. 23-24). Condividere la mia posizione non è obbligatorio, ma se uno la condivide, come sembra che faccia il Durbec a p. 16 n. 71, non può esimersi dal valorizzare, o almeno menzionare, l’elemento che la sostiene, e cioè la conservazione del tràdito ἤγαγεν.
In 78.13 il Durbec vorrebbe ripristinare τέλειον al posto di τελείου ma dimentica di intervenire sull’accento e così spunta τελείον. In 87.1 sceglie π[ῶλοι al posto di ἵ[πποι ma sbaglia la grafia: π[ώλοι. Nell’ep. 31 accetta quasi del tutto la mia ricostruzione e quindi anche la mia modifica di κίνη[σεν in κινη[θέν, ma di nuovo si dimentica dell’accento; il risultato è che mi viene attribuito un inesistente κίνη[θεν (cf. anche p. 24 n. 120). A p. 19 n. 92 viene ricondotto a D. Sider l’ametrico οὐχ ἑτέροις κριτόν come integrazione alternativa a οὐχ ἑτέ[ροις ἄ]κριτον di 24.6. Naturalmente la proposta di Sider era οὐχ ἑτέ[ροισι] κριτόν, col dativo lungo. Molto peggio è andata a Gronewald, la cui integrazione θεῖον ὁρ]ᾶι in 52.2 viene trascritta θεῖον ὧρ]αι a p. 36 n. 186. Per 68.4 sono disponibili varie soluzioni, fra cui εἰς τετράπ[ηχ]υν ὅ[ρον e εἰς τετραπ[λο]ῦν κ[ανόνα (D’Alessio). Il Durbec ne fa la conflazione e stampa un impossibile εἰς τετραπ[λο]ῦν . ὅ[ρον (sic). Ancora una conflazione in 99.2, dove l’ametrico αἰγιαλοῖο ῥόθιον è un innesto di αἰγιαλοῦ ῥόθιον (Austin) con αἰγιαλοῖο ῥόθον (Angiò). In 62.2 l’editore stampa ν[ῦν invece di ν[αί ma non aggiorna la punteggiatura, cosicché l’avverbio viene inspiegabilmente a trovarsi in posizione parentetica. Avanzi di vecchie lezioni sono anche «Teiléphia» per Τ⟨η⟩λε⟨φ⟩ίης di 51.3 («Tei-» presuppone il tràdito Τειλεσίης), καί εἴ ποτε di 91.1 (su καί è rimasto l’acuto come in καί, εἴ ποτε della princeps), e ἑνὸς …οῦ di 17.5 (fra le opzioni considerate, ἑνὸς αὐτοῦ ed ἑνὸς ἔργου, la preferenza va alla seconda ma il circonflesso è della prima). Poco accurato in questo libro è anche l’uso delle spaziature, dei corsivi, delle maiuscole e minuscole, dei caratteri greci (lo stesso titolo di copertina, Μουσέων εἵνεκα, sembra scritto in due font diversi). A p. 14 n. 63 si parla di paragraphos al maschile e a p. 57 n. 283 di δῶμα al femminile. Per 11.1-2 si parla di Priamel ma non vedo nessuna Priamel; per 76.4 si parla di litote ma non vedo litoti. In 24.1 viene stampato μέλα[ν ὄρνιν al posto di μέλα[ν’ ὄρνιν (e cf. p. 19 n. 93) e in 89.3 τοὔξ al posto di τοὐξ. Questi errori sono un’eredità dell’ editio princeps. Li ho segnalati e corretti più volte («Lexis» 20, 2002, 39; «Prometheus» 32, 2006, 188; Capitoli, pp. 214 n. 21; 293 n. 1), ma gli studiosi continuano a non recepire. A questo punto mi arrendo.
Nell’avvertenza di p. 74 il Durbec mi include fra coloro che lo hanno aiutato «à rassembler la vaste bibliographie nécessaire à la rédaction de ce livre». Non ricordo di aver prestato un aiuto del genere, ma, se l’ho fatto, o questo aiuto era di scarso valore o il Durbec non se ne è giovato abbastanza. Egli infatti sotto-utilizza o mis-utilizza costantemente i miei contributi posidippei degli anni 2002-2004 e ignora quelli del 2005-2006; e quanto ai Capitoli del 2007, volume di circa 500 pagine in cui ho indagato estesamente alcuni dei passi più problematici del P. Mil. Vogl. VIII 309, esso è citato solo una volta a p. 61 n. 305, e solo per attestare il fatto, non proprio bisognoso di attestazioni, che sul v. 2 dell’ep. 92 esistono «multiples restitutions souvent divergentes».
In realtà la bibliografia è proprio uno dei punti più deboli dell’opera. Dei saggi citati da Durbec, undici precedono il 2000; dieci sono del 2001, quarantadue del 2002, ventinove del 2003, sessantasei del 2004, venticinque del 2005, sei del 2006, altri sei del 2007, due del 2008, uno del 2009 e di nuovo due del 2010. Dopodiché più nulla. A p. 65 n. 312 viene dato come «à paraître» un articolo del 2008. Se avessimo la scatola nera di questo libro, essa forse ci parlerebbe di un’ archè intorno al 2005-2006, di una lunga degenza in un cassetto e poi di un’ anastasis improvvisa intorno al 2013-2014, seguìta da una pubblicazione precipitosa con pochi aggiornamenti last minute. Servirebbe un’introduzione per raccontarci come sono andate le cose, ma purtroppo il libro è privo anche di questa. Yannick Durbec è un ottimo studioso, autore di lavori importanti; e non si può negare che anche la presente traduzione, nonostante i rilievi di cui sopra, e benché sia fondata su un testo ostinatamente conservativo, sia in assoluto una delle migliori in circolazione. Ma le altre parti del lavoro sono troppo evidentemente figlie della fretta, e forse di consigli sbagliati.