Questo volume soddisfa, in maniera egregia, un’esigenza percepita già da lungo tempo negli studi lucianei in Germania, quella cioè di un’introduzione complessiva di buon livello scientifico all’opera del sofista di Samosata, adatta sia all’utenza universitaria che al pubblico colto.
I due autori sono degli specialisti; essi hanno già al loro attivo monografie lucianee ormai molto note e di imprescindibile consultazione.1
Al posto della solita prefazione il lettore trova, con piacevole sorpresa, niente meno che un dialogo alla maniera lucianea (9-11; l’idea è particolarmente felice ed invoglia subito ad ulteriore lettura). Dopo la sua morte Luciano arriva nell’Ade, ma Caronte non trova nel suo registro né il (vero) nome Loukianós né (lo pseudonimo) Lykinos: costernazione generale. L’anonimo nuovo venuto vorrebbe inoltre portare con sé, infrangendo così lo stretto protocollo infero, tutte le sue opere, onde non lasciarle in balìa degli sciagurati filologi ed interpreti: vivace scambio di battute; Ermes accorre e seda il tumulto; il nuovo arrivato passa finalmente lo Stige (senza libri) e sull’altra riva gli viene subito incontro chi se non il cinico Menippo, che lo invita a rivelare finalmente chi egli sia. Impossibile: Luciano non esiste. Esistono solo le molte maschere ( Masken) che egli stesso nelle sue opere si è dato (11). Ecco così già esposta la tesi sulla quale si regge tutto l’impianto ermeneutico del volume. Il Luciano „vero“, storico, l’autore empirico, è irraggiungibile, perché le opere del Corpus Lucianeum sono (o sarebbero) soltanto un prodotto della retorica della seconda sofistica. Originale, accattivante, raffinatissima, straordinaria, certo, ma pur sempre soltanto retorica. Se è stato un Prometeo, è stato solo un Prometeo letterario.
Il volume consta di cinque capitoli.
Nel primo viene esaustivamente raccolto e discusso tutto il materiale storico-biografico su Luciano (13-25), per poi passare alla disamina sistematica di tutte le sue maschere letterarie (Tychiades, Parrhesiades, il Siro, Lykinos, Menippo), inclusa quella che porta lo stesso nome dell’autore, Loukianós (26-57).
Il secondo capitolo (59-99) prende in esame il rapporto lucianeo con la paideia greca tradizionale, sottolineando il fatto che Luciano, per metterne bene in evidenza il valore intrinseco (da lui peraltro mai messo in dubbio: 155), usi figure provenienti da zone periferiche ( Randgebiete), si potrebbe quasi dire barbariche, della koiné culturale ellenica del tempo (86-7).
Il terzo capitolo è il più articolato ed impegnativo del libro (101-70) e a mio parere non è scindibile da quello successivo, il quarto (171-216). Si tratta di una lunga, puntuale, tenace analisi dei motivi preferiti ( Leitmotive) dell’autore (processo; viaggio; sogno; malattia e guarigione [149-70]) e dell’uso che egli fa dei generi letterari tradizionali (dialogo filosofico; commedia; satira menippea). In questo contesto vanno messi bene in evidenza almeno due aspetti: (1.) gli autori intendono l’analisi di detti Leitmotive come funzionale ad una più esatta comprensione del concetto lucianeo di paideia (149), il che costituisce un forte elemento di novità rispetto a molti approcci ermeneutici precedenti; (2.) il libero riuso lucianeo delle forme della tradizione è anche un modo di confrontarsi criticamente con i contenuti di tale tradizione, per es. i miti (178).
Il tema del quinto ed ultimo capitolo è l’ Überlieferungsgeschichte degli scritti del Corpus (217-33). L’esposizione è chiarissima e condivisibile (particolarmente brillante l’idea che il Piscator sia forse stato rappresentato da una troupe di attori durante un banchetto, una sorta di dinner- theater [222]), ma di fronte al problema di come Luciano di volta in volta concretamente presentasse le sue opere al pubblico anche l’agguerrita acribia dei due autori deve arrendersi: non ci sono dati sufficienti a risolvere la questione; ci si deve purtroppo accontentare di ipotesi piuttosto vaghe (219-22).
Una parte a mio avviso molto meritoria del libro sono inoltre i brevi ma esattissimi riassunti di tutte le opere del Corpus Lucianeum alla fine del volume: strumento davvero utilissimo a chi si voglia orientare in questa elusiva massa di testi (235-55).
Questo lavoro di Baumbach e von Möllendorff si potrebbe forse definire come „un Bompaire riordinato“. I due autori riprendono infatti (come già Graham Anderson molto prima di loro) la tesi di fondo del famosissimo Lucien écrivain del 1958, ma sono incomparabilmente più chiari, sistematici ed accattivanti nella presentazione del materiale.
Tuttavia, schiacciare un ingegno poliedrico come quello di Luciano sulla dimensione retorica mi sembra francamente riduttivo. Gli scritti di questo autore rivelano infatti, specialmente riguardo al tema della religione, una forte personalità con idee proprie. Luciano è stato tutt’altro che una marionetta retorica.
Le nuove traduzioni tedesche dei moltissimi passi citati sono fresche e spigliate (viene comunque sempre dato anche il testo greco secondo l’edizione oxoniense di MacLeod); la bibliografia alla fine del volume è, purtroppo, molto succinta, ma mi sembra comunque sufficientemente rappresentativa (259-62); gli indici sono precisi ed affidabili (263-69); la veste tipografica è curatissima.
Notes
1. M. Baumbach: Lukian in Deutschland, (München 2002); P. von Möllendorff: Auf der Suche nach der verlogenen Wahrheit. Lukians “Wahre Geschichten”, (Tübingen 2000).