Come ogni lettore potrà giudicare autonomamente ed in modo obiettivo, nella recensione di Attilio Mastrocinque al volume, Le gemme etrusche con iscrizioni, sono presenti affermazioni false che non trovano conferma nel testo. Cito alcuni esempi tratti dalla sua recensione: è falso che l’Autore “interpreta le tre k come abbreviazioni di kn(e)zus” nella gemma gnostica con kkk : a p. 100 del mio volume c’è scritto “Sulla gemma era incisa l’iscrizione knzus, e tre k sul rovescio, da intendere con ogni probabilità come il gentilizio kn(e)zus, attestato nella forma cnezus a Sette Camini ( Volsinii)”. E’ chiaro che intendevo dire knzus sta per il gentilizio kn(e)zus, attestato nella forma cnezus a Sette Camini (Volsinii) (le due virgole rendono la frase incidentale). Pur essendo una gemma gnostica, possiede al di sopra un gentilizio etrusco. Delle kkk, da me correttamente identificate e presenti sulle gemme gnostiche, parlo alle pp. 100-101. Per quanto riguarda la gemma in diaspro rosso n. 12, a p. 82: è falso che “non ha nessun elemento che la faccia ritenere etrusca”. Dal punto di vista stilistico può essere benissimo etrusca (tardo ellenistica), inoltre le lettere dell’iscrizione sono chiaramente etrusche (e proviene dal territorio di Todi). Quanto all’affermazione che la gemma n. 7, p. 76 (TLE 899) “potrebbe non avere nulla a che fare con l’etrusco” ci andrei molto cauta e inviterei Mastrocinque a considerare l’andamento sinistrorso e la grafia della prima riga dell’iscrizione e a prendere in mano il Corpus Inscriptionum Etruscarum di Tarquinia (III.1, 10152) dove l’iscrizione è stata inserita a suo tempo da Maristella Pandolfini. È falso che la gemma con apcar è “presentata fuori catalogo (pp. 111-114)” nel mio volume (vedi scheda di catalogo nel volume a pp. 73-74, n. 2, figg. 112a-b-c). È falso che nel testo apcar “viene tradotta con “scriba””. Nel testo si dice “l’iscrizione apcar ci consente di collegare lui o la tavola con le pedine alla parola greca ἄβαξ o alla parola latina “abacus”, l’abacarius o la tabula calculatoria” (pp. 112-113). Inoltre Mastrocinque riferisce all’autore tesi altrui, come la derivazione di menuci da Menoikeos (vedi già De Simone nel lontano 1968.1 Tale nome è trascritto correttamente a p. 96 nel commento al catalogo (è invece saltata per un errore di battitura la lettera e soltanto a p. 69). Anche per quanto riguarda l’iscrizione n. 119 molto è stato scritto a partire dalla Richter in poi (vedi la bibliografia della mia scheda p. 72, n. 119). Viene da chiedersi se l’inanellarsi di tutte queste affermazioni false sia dovuto a semplice disattenzione, frettolosità o a qualcos’altro.
Nella recensione di Mastrocinque si contravviene a molte norme basilari per la struttura di una recensione. Il recensore non offre al lettore un’idea generale del contenuto del libro: cita i vari capitoli in tre righe e mezzo della sua recensione senza affrontarne i temi generali, le conclusioni di carattere storico, sociale, epigrafico, artigianale eccetera. Nel volume è stato raccolto per la prima volta un corpus di ben 160 gemme etrusche con iscrizioni, inquadrabili tra il V e gli inizi del IV secolo a C., con pochi esemplari che si datano nel corso del IV sec. a.C. Tralasciando anche le clamorose scoperte (ritrovamento di gemme disperse, identificazione di contesti, rinvenimento di documenti d’archivio), l’attenzione di Mastrocinque si appunta quasi esclusivamente su quelle più tarde e su quelle che considera dei falsi.
Veniamo alla critica del metodo utilizzato: Mastrocinque dovrebbe sapere che uno dei metodi più proficui nello studio della lingua etrusca utilizzati dagli archeologi (da Massimo Pallottino in poi) consiste proprio nell’analizzare l’iscrizione per riconosce la funzione delle singole parole, ma anche la natura del documento che ne costituisce il supporto, dal quale se ne desume il contenuto complessivo. Il tipo di oggetto iscritto e la sua raffigurazione sono spesso una guida sicura per delimitare il senso dell’iscrizione. L’opera di Zazoff non può far fede per le iscrizioni delle gemme etrusche: molte delle letture sono state riconosciute errate e corrette già da diversi anni dagli epigrafisti etruschi (come può verificare nella bibliografia di ogni singola scheda del mio catalogo). La presenza del saggio iniziale sulle iscrizioni greche presenti su alcune gemme della Collezione Hamilton conservate a Londra è un’esemplificazione utile a capire come affrontare il problema dell’identificazione delle gemme moderne e dei falsi, soprattutto in presenza di iscrizioni “anomale”. Alla fine dell’esame se ne deduceva che alcune di queste iscrizioni possono essere dei falsi settecenteschi. Questo dovrebbe dimostrare la realizzazione dell’iscrizione da parte di una persona che non conosceva la lingua greca, che tentava di riprodurre su gemme etrusche iscrizioni copiate da gemme greche autentiche, senza capirne, ovviamente, il significato. Il tutto veniva ricondotto nel quadro dell’antiquaria del tempo.
Gratuite talora sono le affermazioni di Mastrocinque su alcuni motivi iconografici: come quella relativa alla gemma n. 119 “In realtà, è chiaro che non si tratta di Dedalo e che non siamo in grado di capire l’iscrizione”; un mistero, dal momento che la figura iconograficamente è del tutto congruente con le raffigurazioni che conosciamo di Dedalo nell’arte etrusca. Mastrocinque riesce ad identificare nella figura della gemma p. 81 n. 10 dallo schizzo edito nel Corpus Inscriptionum Italicarum I, 118 (che io ho pubblicato) addirittura “un leone, il cui stile richiama gli intagli siriani o mesopotamici”. Se vero, il dato sarebbe veramente sorprendente dal momento che la gemma recava un’iscrizione etrusca (s’uthr) e proveniva da Volterra. Sarebbe il primo caso, a me noto, di un intaglio siriano o mesopotamico dotato di un’iscrizione etrusca. La gemma è, ovviamente, a mio avviso, molto più recente, come dimostra il gentilizio (vedi p. 101).
Quanto al problema dei falsi: della reale attribuzione alla glittica etrusca di alcune delle gemme presentate nel catalogo, nel volume è stata evidenziata la datazione moderna proposta da studiosi che si sono occupati in precedenza della gemma. Consiglio a Mastrocinque di non basarsi esclusivamente sullo stile o sulla paleografia delle iscrizioni per giudicare l’antichità o la modernità delle gemme: occorrono analisi molto più dettagliate, realizzate da tecnici specializzati (non archeologi o, meno che mai, storici); spesso, purtroppo non sono neanche dirimenti…. Quanto alla qualità editoriale della pubblicazione (fotografie e disegni delle gemme) lamentata da Mastrocinque invito il lettore a confrontarla con quella dei volumi di Mastrocinque sulle gemme gnostiche,2 nei quali ciascuna gemma è riprodotta con una foto miscroscopica poiché a dimensioni reali, che non consente una facile lettura dell’immagine e dell’iscrizione. La presenza di più riproduzioni di incisioni tratti da libri di antiquaria del ‘700 e dell’800, per le quali si ringrazia la cortese disponibilità dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma, consente al lettore di confrontare la resa grafica della raffigurazione e di verificare le differenze nella trascrizione delle iscrizioni.
Quanto all’invito a visionare di persona tutte le gemme con iscrizioni etrusche sparse nei musei del mondo: le gemme in questione conservate a Berlino, Bologna, Boston, Cambridge, Città del Vaticano, Copenaghen, Den Haag, Firenze, Ginevra, Hamburg, Hannover, Londra, Malibu, Monaco, Montréal, Napoli, New York, Oxford, Parigi, Parma, Philadelphia, Populonia, Roma, San Pietroburgo, Taranto, Tarquinia, Vienna, Volterra. Affido a Mastrocinque l’ingrato compito di calcolare i costi di questi viaggi e soggiorni e, soprattutto, di suggerire come trovare i fondi per affrontarli. Il nucleo di gemme di Londra, visionate personalmente, 32 esemplari ai quali si aggiungono quelli con iscrizioni in lettere greche, costituiscono il lotto certamente più cospicuo. Pertanto, “l’autopsia, che l’Autore ha eseguito solo per gli esemplari del British Museum” ha un suo criterio logico. Vorrei sottolineare che il volume è stato pubblicato senza alcun contributo statale (tutto a spese dell’editore) e che il mio viaggio e soggiorno di studio a Londra presso il British Museum è stato pagato con il Premio Nazionale vinto dalla sottoscritta per i “risultati innovativi di particolare eccellenza e rilevanza strategica in ambito nazionale ed internazionale raggiunti nella ricerca scientifica nel 2005” nell’Area disciplinare delle Scienze dell’Antichità, consegnato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche Italiano nel 2009.
Notes
1. C. De Simone, Die griechischen Entlehnungen im Etruskischen, I. Einleitung und Quellen, Wiesbaden 1968, p. 93 s.v., citato nella scheda con l’iscrizione relativa (vedi p. 69, n. 113).
2. A. Mastrocinque et alii, Sylloge gemmarum gnosticarum, 1., Roma 2004; A. Mastrocinque et alii, Sylloge gemmarum gnosticarum, 2., Roma 2007 (2008).