Il volume, che costituisce la rielaborazione ampliata della tesi discussa nel giugno 2006 presso il Department of Theology and Religion ( The University of Birmingham), è uno dei lavori preparatori in vista di una nuova edizione delle antiche versioni latine del Vangelo secondo Giovanni ( Vetus Latina Iohannes).
La prima parte ( Augustine and the Gospels, pp. 1-99) è articolata in tre capitoli. Quello iniziale ( Augustine and the History of the Biblical Text) esamina la situazione delle traduzioni latine dei vangeli alla fine del IV secolo. Già dalla metà del III secolo si possono rintracciare tradizioni differenti nelle opere degli autori cristiani, sicché ricostruire la storia delle diverse traduzioni getta qualche luce sullo sviluppo della cristianità in Occidente, non solo in termini geografici e sociali, ma anche rispetto alla teologia e al culto. Agostino cominciò gradualmente a usare le nuove versioni geronimiane di alcuni libri dell’ AT (p. es. Isaia) e, dal 403 circa, anche il testo rivisto dei Vangeli. Inoltre egli ricercava l’accuratezza dei manoscritti biblici di cui disponeva, emendando talvolta i testi, ma, come giustamente osserva Houghton (d’ora in poi H), è eccessivo pensare che egli abbia controllato tutta la Bibbia, mentre pare più probabile che correggesse le versioni latine sul modello dei LXX.
Il secondo capitolo ( The Use of the Bible and the Production of Books in the Time of Augustine) si concentra in prima istanza sulle condizioni di produzione delle Scritture, soprattutto sulla scorta di alcune testimonianze antiche: forse, però, affermare che la produzione di libri era sì un’impresa, ma non tanto proibitiva come si pensa, è per certi versi audace e poco documentato. È vero che il commercio di libri dovette avere una certa diffusione nel Mediterraneo, ma questo non esclude che il fenomeno rimanesse comunque elitario: contributi, purtroppo trascurati, come quelli di G. Cavallo (“Libro e pubblico alla fine del mondo antico”, in Libri, editori e pubblico nel mondo antico, a cura di G. C., Roma-Bari 1977, pp. 81-132) e M. Caltabiano ( Litterarum lumen. Ambienti culturali e libri tra il IV e il V secolo, Roma 1996, con ampia bibliografia) sarebbero utili per ricostruire un quadro più complesso della questione.
Inoltre, se stenografi ufficiali erano impiegati dalla Chiesa (ma non sarebbe preferibile parlare di singole comunità?), per registrare gli atti dei Concili e i dibattiti pubblici, si può ritenere, secondo H, che anche la tradizione dei sermoni di Agostino rimonti a esemplari stenografati, come confermerebbero per esempio le osservazioni sul clima della giornata o alcuni commenti esplicativi registrati nel testo.
Di norma i riferimenti scritturistici presenti nei sermoni erano basati sul testo letto poco prima nel servizio liturgico ed è probabile che per molti dei discorsi esegetici Agostino predicasse a partire da un codice biblico che aveva tra le mani. H sottolinea significativamente la descrizione che dell’insegnamento cristiano Agostino offre nel proemio del De doctrina christiana (5): Ire in ecclesias aut codicem legere aut legentem praedicantemque hominem audire. Altrove ( Sermo 37,1) Agostino dice: Et hoc quod gestamus in manubus, scriptura scilicet quam videtis, a indicare, all’inizio dell’omelia, la copia delle Scritture che aveva fra le mani. Si tratta di elementi, raccolti utilmente da H, che rendono bene l’idea di quali fossero le circostanze concrete della predicazione.
Il terzo capitolo ( Augustine’s Biblical Exposition and Citation Technique) richiama l’approccio che Agostino ebbe con il testo biblico e riassume alcuni dei principi dell’esegesi agostiniana. In seconda battuta H si sofferma sui vari modi con cui Agostino suole citare le Scritture. Dell’indagine, ben documentata, non si può che ricordare nella forma più sintetica qualche conclusione: le citazioni più lunghe sono tratte da un codice che Agostino aveva dinanzi; talvolta le citazioni brevi sono poste le une di seguito alle altre, quasi in forma di catena (interessante l’uso tecnico dell’avverbio catenatim nel De spiritu et littera 30,52: Omnia haec quae velut catenatim conexui habent voces suas in scripturis sanctis); le citazioni a memoria, che rientrano in quello che H definisce ‘the mental text’ of the Bible, su cui si tornerà in seguito; le citazioni influenzate dalla polemica con l’oppositore di turno.
L’ultimo capitolo della parte introduttiva ( Augustine as a Witness for the Text of the New Testament) propone alcune considerazioni, preliminari alla più corposa parte successiva, relative al testo scritturistico utilizzato da Agostino: le diverse citazioni sono analizzate anche in rapporto con le tradizioni testuali del NT; l’attenzione è posta in particolare sul Vangelo secondo Giovanni. Viene applicato in questa sede una distinzione, formulata in precedenza, ovvero quella tra le citazioni primarie, introdotte da una formula, e quelle secondarie, disseminate nel discorso, che probabilmente sono a memoria. L’indagine mette in luce l’importanza delle citazioni agostiniane per lo studio della tradizione della Vulgata e delle antiche versioni latine. In alcune delle citazioni primarie Agostino discute delle varianti testuali e ciò permette di ricostruire con buona probabilità la lezione del codice da lui utilizzato. Nelle citazioni secondarie, invece, si rintracciano perlopiù forme riconducibili alle antiche versioni latine.
Prima di presentare alcune osservazioni sulla terza parte ( The Gospel According to John in Augustine: A Textual Commentary), che commenta puntualmente le citazioni del IV Vangelo in Agostino, ci fermiamo sul concetto di mental text of the Bible formulato da H per definire le citazioni a memoria che normalmente appaiono prive di quei riferimenti e di quelle connessioni che si trovano nell’originale. Il criterio è utile per isolare alcune citazioni che registrano lezioni differenti rispetto alla Vulgata, in accordo con le antiche versioni latine, o talvolta differenti anche da quest’ultime. Va però osservato che tale criterio, quando non sia sufficientemente sostenuto da riscontri, in particolare esterni ad Agostino, diventa una soluzione troppo semplicistica, giacché priva di verifica, e in quanto tale indimostrabile. Proprio in questo senso la nozione di mental text of the Bible appare limitata, giacché non consente di ricostruire un testimone ovvero una lezione consueta al tempo di Agostino; il che sarebbe utile per dirimere eventuali problemi testuali e in ogni caso per una più ampia conoscenza della tradizione cristiana. Qualche esempio può essere utile a chiarire quanto detto.
Io. 1,15: A proposito della forma qui post me venit, che, come osserva H, è l’unica attestata in Agostino, bisogna inoltre osservare che ricorre in altri Padri (p. es. Novat. Trin. 14; Ambr. Exp. Luc. 2,40; Paul. Nol. Epist. 23,32), al contrario della lezione della Vulgata ( qui post me venturus est), che si trova solo in Gerolamo ( In Ioelem 1,1).
Io. 1,34: La variante attestata nel Sermone 308A,4 electus dei al posto di filius dei della Vulgata si trova anche Ambr. Exp. Luc. 5,93.
Io. 2,15: Generalmente in Agostino si trova resticulis, contro funiculis della Vulgata, tranne che in Contra Adimantum 10 dove ha restibus. Quest’ultima lezione è anche in Ambrogio Exp. Luc. 9,21.
Io. 2,21: Hoc autem dicebat, presente in otto delle dieci citazioni agostiniane, pur senza riscontri nei manoscritti biblici, è attestato anche da Ambrogio ( Inst. virg. 12,77), Ambrosiaster ( In Gal. 1,1) e Rufino ( Ben. Patr. 1,6).
Io. 7,24: Tutte e sei le volte che Agostino cita questo versetto riporta personaliter, ma solo in Sermo 178,3 ha la lezione secundum personam, come in alcuni codici biblici, che si trova anche in Lucifero di Cagliari ( Athan. 2,25).
Io. 8,25: In cinque citazioni Agostino ha principium quod, come nelle antiche versioni latine, mentre nelle altre otto ha principium quia, come nella Vulgata. È significativo che la variante principium quod ricorra con una certa frequenza anche in Ambrogio (p. es. Exp. Luc. 10,112, per stare a un’opera già più volte citata finora) e in altri autori cristiani. Nella nota al passo G. Coppa ( Sant’Ambrogio. Esposizione del Vangelo secondo Luca, Milano-Roma 1979, p. 473) osservava che “la citazione, invalsa nelle versioni latine antiche e nella Volgata, è usata con lo stesso significato anche in Exameron, I, 2, 5; 4, 15 (ed. Schenkl, CSEL, 32, 1, pp. 4 s.; 13), ma non corrisponde al testo greco di Giovanni, in cui ha valore avverbiale”.
Io. 8,56: Secondo H, the Augustine’s mental text (11 su 13 citazioni) aveva Abraham concupivit videre diem meum, et vidit et gavisus est, differendo sia dalle antiche versioni latine sia dalla Vulgata. H suppone che Agostino attingesse a una versione oggi perduta. Nella stessa linea rileviamo che, oltre ai tre testimoni greci segnalati, anche Origene / Rufino e Quodvuldeus confermano questa ipotesi: Sicut enim Abraham concupivit videre diem Domini et vidit et gavisus est, ita et Moyses concupivit videre diem Domini et vidit et gavisus est ( Hom. Ex. 12,3); Abraham pater vester concupivit videre diem meum et vidit et gavisus est; diem scilicet passionis filii dei in suo filio figuratum vidit Abraham ( Lib. promis. 1,17).
Queste osservazioni, relative a una ricerca pur condotta con criterio e cura, intendono solo suggerire, soprattutto nella prospettiva delle future ricerche sulle antiche versioni latine, una più ampia analisi dei passi, che tenga presente, oltre ai codici biblici e ai testi di Agostino, anche gli altri scrittori cristiani. Sarà così possibile isolare le particolarità agostiniane, rintracciare eventuali connessioni testuali, altrimenti rimaste in ombra, e di conseguenza giungere al probabile testo biblico appreso da Agostino, questo sì documentabile in virtù di più riscontri.