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Scopo del volume di Katherine Callen King che qui si recensisce è fornire un’idea complessiva e chiara dell’epica antica, mostrando come tale genere letterario non soltanto costituisca un inestimabile bene culturale in sé, ma sia portatore di messaggi e valori tutt’altro che remoti o morti, e anzi in grado di formare l’intelletto dei lettori contemporanei e di entrare in contatto con le loro coscienze “in urgent and personal ways” (p. 1).
Sarebbe certo difficile non trovarsi d’accordo con l’autrice, specie in considerazione del fatto che il volume non si rivolge a un pubblico di specialisti, bensì a quanti desiderino essere introdotti nel mondo dell’ epos seguendone il lungo percorso tematico e cronologico. Va detto subito, tra l’altro, che fin dalle prime righe dell’introduzione l’autrice si rivela all’altezza del compito—non soltanto dal punto di vista tecnico, ma anche (e soprattutto) da quello comunicativo: il lettore, infatti, ha in questo libro il privilegio di poter contare su una guida chiara, costantemente preoccupata della linearità logica dell’argomentazione, e, allo stesso tempo, attenta alla fluidità linguistica, mantenuta a un livello di semplice, scorrevole eleganza, rifuggendo da banalità, da bellurie bellettristiche e da inopportuni e nebulosi paragrafi speculativi.
Fedele a questo generale principio di perspicuità, dunque, K.C. King imposta il proprio lavoro nel modo più classico ed efficace: scegliendo, cioè, di ripartire la discussione in otto capitolo, sei dei quali sono incentrati sui poemi presi in analisi ( Gilgamesh, Iliade, Odissea, Argonautika, Eneide, Metamorfosi), mentre i due restanti (il secondo e il sesto) introducono, rispettivamente, i contesti culturali dell’epica omerica e di quella romana.
La brillante e densa introduzione generale enuclea i concetti preliminari necessari ad affrontare il tema complessivo del libro (pp. 3-5), offre una visione d’insieme coerente dei sei poemi in oggetto (pp. 6-8) e ne sintetizza i contesti divini (pp. 8-13). Parte dell’introduzione, a parere di chi scrive, si sarebbe potuta impiegare per spiegare al lettore la scelta (per altro assolutamente legittima, ma non ovvia) del campo di analisi, che esclude interamente l’epica greca postalessandrina e quella latina di età imperiale.
Il capitolo che segue è dedicato all’epica di Gilgamesh. I primi paragrafi inquadrano il testo fornendo i dati fondamentali relativi alla sua tradizione e alle diverse versioni. I contenuti del poema, quindi, sono ampiamente discussi, ponendo in particolare evidenza la portata culturale e civilizzatrice delle imprese del protagonista—per esempio la creazione delle mura di Uruk.1 Ampio spazio, inoltre, è dato alla “metamorfosi” umana di Enkidu e al rapporto tra quest’ultimo e il protagonista, evitando però di fare della coppia Gilgamesh-Enkidu un inadeguato doppione di Achille e Patroclo. Al riguardo, senza perdersi inutilmente in speculazioni sulla natura di tale amicizia, l’autrice osserva con particolare sensibilità come proprio la divisione della coppia, dovuta alla morte di Enkidu, porti Gilgamesh a una maturazione intellettuale che coincide con la presa di coscienza (e la conseguente paura) della morte.
Conclude il capitolo una bibliografia ragionata, selettiva ma adeguata, che rende ragione delle versioni poetiche e in prosa del poema, delle diverse edizioni, dello status quaestionis critico e delle riprese moderne dell’opera—elemento di particolare importanza, considerate la destinazione del saggio e la tesi di fondo che lo anima. In generale, pur con qualche limite, le sezioni bibliografiche a conclusione di ciascun capitolo appaiono, nella loro lineare trasparenza informativa, coerenti con il disegno generale dell’autrice: esse mirano dunque, con qualche eccezione, a proporre al lettore strumenti di approfondimento generale, più che specialistiche analisi filologico-letterarie.
All’epica omerica sono dedicati i successivi tre capitoli (“The context of Homeric Epic”, “The Iliad”, “The Odyssey”). Di nuovo, l’autrice coglie nel segno coniugando assai felicemente le necessità comunicative e didattiche all’esattezza dell’informazione generale. Il contesto dell’epica omerica è esaminato con particolare finezza, e al lettore è offerto un quadro sostanzialmente chiaro e preciso del milieu sociale e culturale in cui i poemi omerici si svilupparono. Molto correttamente è posto in evidenza l’aspetto di totale oralità della poesia omerica; la struttura dell’esametro dattilico viene spiegata in modo didatticamente brillante, ricorrendo a esempi tratti dai primi versi di Evangeline di Henry Wadsworth Longfellow (pp. 35-36), in cui la disposizione degli accenti intensivi imita la scansione prosodica dell’esametro (la mente del lettore italiano corre, automaticamente, alla metrica “barbara” di carducciana memoria). Due successivi paragrafi illustrano quindi le funzioni di epiteti e formule, con un conciso ma notevole accenno alla “flessibilità” di queste ultime. Allo stesso modo, è spiegata la teoria delle “scene tipiche” o “temi”. Gli antefatti della guerra di Troia, le genealogie divine e il cosiddetto “ciclo” epico sono passati in rassegna in modo esaustivo (pp. 38-48), non tralasciando le peculiarità delle rappresentazioni degli dèi, la loro moralità e il senso complessivo della loro presenza in rapporto alle vicende umane. Senza forzature e senza conferire eccessiva enfasi all’argomento (anzi, quasi in sordina), l’autrice comincia a porre in evidenza, proprio in questo capitolo, alcune somiglianze tra l’epica di Gilgamesh e quella omerica. L’idea di guidare l’attenzione del lettore verso i punti di contatto tra i sei poemi trattati era del resto già emersa, pur implicitamente, nell’introduzione: nel corso del libro, la puntualizzazione di caratteristiche comuni ai diversi testi diverrà una costante, finalizzata a conferire coerenza all’insieme dell’opera e all’idea stessa di epos, senza mai spingersi a ipotesi inverosimili, e mantenendosi invece entro i confini di una ragionevole (e controllata) adesione alla lettera dei poemi.
Al termine del capitolo, la sezione dedicata ai rimandi bibliografici appare aggiornata e precisa, anche se sorprende non trovarvi titoli di grande importanza per la comprensione dell’universo omerico—non soltanto testi “tecnici”, quali potrebbero apparire quelli, per citare i casi più eclatanti, di Fenik, Hainsworth e Edwards,2 ma anche volumi particolarmente stimolanti soprattutto per un lettore non specialista, quali, per esempio, The Greeks and the Irrational, la snelliana Entdeckung des Geistes, di cui esiste una (datata, ma non irreperibile) traduzione inglese, e, soprattutto, il monumentale The Singer of Tales di A.B. Lord, recentemente ristampato.3
Ottimi appaiono i due capitoli dedicati all’analisi dei due poemi omerici. Anzitutto se ne loderà la chiarezza nell’impostazione, che mira anzitutto a fornire una sinossi il più possibile lineare ed esaustiva dei contenuti, partendo da un’analisi puntuale—ma non pedante—dei due proemi (pp. 52-53; 81-85) per porre in evidenza (anche in modo contrastivo, specie nel caso dell’ Odissea) i temi principali delle due epiche e per fornire osservazioni di tecnica poetica. Seguono poi alcuni approfondimenti su singoli argomenti di interesse; per quanto riguarda l’ Iliade, l’autrice concentra l’attenzione sull’aspetto motivazionale della guerra troiana, spunto per trattare poi più diffusamente di Ettore, Diomede, Achille e delle figure femminili del poema. Particolare sensibilità emerge dalla lettura che l’autrice offre dei protagonisti dell’ Iliade, e risulta molto felice il modo in cui ella illustra il percorso di de-umanizzazione subito da Achille a partire dal libro 19 (pp. 72-73); la tesi è sostenuta da pertinenti citazioni testuali e dall’analisi delle immagini poetiche che accompagnano Achille fino al momento dell’incontro con Priamo. Molto ben strutturata è anche l’analisi delle battaglie iliadiche, di cui sono concisamente studiati i ricorsi tematici e la tecnica compositiva. Interessante, ma—a parere di chi scrive—non sostenuta da opportuni argomenti, appare invece l’idea di fondo delle pp. 59-61, in cui Tersite è visto come il portavoce della comunità guerriera, zittito semplicemente perché latore di verità scomode.
Altrettanto preciso è il quadro dell’ Odissea, di cui, subito dopo l’analisi del proemio, sono passati in rassegna i personaggi principali. Ottima risulta la presentazione del protagonista, che l’autrice realizza guidando il lettore attraverso le parole stesse del poema, anziché fornirne una sintesi asettica; il confronto tra Odisseo e Achille, sotteso in tutto il capitolo (e particolarmente chiaro alle pp. 91-97) è poi mirabilmente sbozzato nella descrizione dell’incontro tra i due nel contesto dell’evocazione dei morti (p. 96). Ben delineata è, tra l’altro, anche la partizione narratologica del poema (p. 86), così come appare ben sottolineata la compresenza, all’interno dell’opera, tra folktale ed epica propriamente detta (p. es. pp. 94-98).
Sostanzialmente aggiornate ed esaustive, considerata la destinazione dell’opera, sono le due bibliografie (pp. 77-80 e 102-105), anche se dispiace non veder citate, tra le edizioni critiche dei poemi, le due, eccellenti, di Helmut van Thiel.4
Il quinto capitolo, dedicato agli Argonautika di Apollonio Rodio, si apre con un’ampia riflessione sui destini dell’epica postomerica e sulla cultura alessandrina. Particolarmente vivace nella trattazione ed estremamente lineare nella forma, questo capitolo fornisce al lettore un quadro essenziale, puntuale e soprattutto completo delle condizioni culturali in cui vissero e operarono i poeti-filologi di età ellenistica. Il lavoro dei dotti alessandrini è finemente descritto, chiarendone la missione culturale e illustrandone il credo estetico e i complessi rapporti con il testo omerico. Un resoconto delle tradizioni greche sulle imprese degli Argonauti apre la sezione dedicata più specificamente al poema apolloniano. Come nei casi dell’ Iliade e dell’ Odissea, l’autrice trae spunto dal proemio degli Argonautika per diffondersi su alcune questioni di tecnica compositiva e di estetica (pp.112-114); proprio in tale sede sarebbe stato forse necessario approfondire la questione della dizione epica apolloniana e, soprattutto, il fondamentale problema della para-formularità degli Argonautika.5 Il personaggio di Giasone è presentato subito dopo, ricorrendo alla già sperimentata tecnica contrastiva: le forti differenze che separano l’eroe apolloniano da Achille sono evidenziate molto bene, e altrettanto bene è puntualizzata la rete di analogie e dissomiglianze tra Giasone e Odisseo. L’ampio iato che separa le divinità omeriche da quelle di Apollonio è discusso alle pp. 118-119, dove l’autrice sottolinea anche l’importanza dell’introduzione del tema erotico negli Argonautika e le caratteristiche che rendono fondamentale l’operazione culturale di Apollonio. Segue un’ampia presentazione di Medea, in cui è spiegata, tra l’altro, anche la funzione del secondo prologo del poema. Ben sbozzato appare il carattere della protagonista, anche se forse, in un libro destinato a non specialisti, sarebbe stato utile inserire qualche ulteriore richiamo alle peculiarità tipicamente patologiche della passione della donna e alle tanto discusse “anticipazioni freudiane” che alcuni studiosi hanno visto nel libro III.6 La bibliografia conclusiva, essenziale, stranamente non contempla l’importante A Companion to Apollonius Rhodius curato da T.D. Papanghelis e A. Rengakos (Leiden, Brill, 2001, II ed. 2008).
L’ultima parte del libro, dedicata all’epica latina, si apre con un lungo capitolo introduttivo sulla cultura romana, in cui, mirando all’essenziale, l’autrice sintetizza in poche pagine l’intera storia di Roma dalla sua fondazione all’età augustea. Con lucida brevitas ella fornisce inoltre un quadro complessivo dell’epica latina dalle sue origini, ponendone in evidenza il complesso rapporto con i modelli greci e inserendo all’interno della trattazione anche la peculiare posizione ideologica dell’ Eneide (pp. 125-141).
L’analisi del poema virgiliano trae spunto, come di consueto, dal proemio del I libro, le cui differenze rispetto a quelli omerici sono poste in giusta evidenza. Opportunamente sottolineati sono poi gli elementi distintivi dell’ Eneide in esso enucleati: la pietas di Enea e la presenza e il ruolo del fato, elementi utili, in seguito, anche a marcare i più rilevanti punti di distanza tra l’eroe virgiliano e i protagonisti dei poemi omerici. Dopo la presentazione di Enea, viene affrontato il tema dei caratteri femminili dell’ Eneide, con particolare riferimento a Didone, personaggio di cui l’autrice, conformemente alla tradizione critica, pone in luce la dimensione tragica attraverso la classica associazione con l’Aiace sofocleo. Un’associazione con i patimenti della Medea apolloniana—associazione ormai assodata criticamente—sarebbe senz’altro stata utile a chiarire la complessa rete di modelli da cui l’ Eneide è germinata, e avrebbe inoltre reso ragione delle manifestazioni patologiche dell’eroina virgiliana. Il ricorso a un più completo collegamento con gli Argonautika sarebbe, tra l’altro, stato coerente con il disegno complessivo dell’opera della King, che mostra in genere una spiccata e acuta sensibilità nel cogliere simmetrie e somiglianze tra i poemi. Anche in relazione alla figura di Enea, infatti, l’autrice appare molto precisa e attenta nel delineare permanenze e mutazioni rispetto ad Achille e Odisseo: a tal proposito, osservando la maggiore debolezza di Enea rispetto all’eroe odissiaco e la sua propensione alla disperazione (p. 153), un confronto con Giasone sarebbe stato assai pertinente e, di fatto, desiderabile.
L’ultimo capitolo affronta uno dei testi più fascinosi e allo stesso tempo complessi della letteratura latina: le Metamorfosi ovidiane. L’assenza, nel poema, di un disegno compositivo (e tematico) unitario è posta subito in luce dall’autrice, che ne puntualizza anche l’eccentricità rispetto ai canoni del genere epico. Nell’impossibilità di stilare una sinossi completa del poema, l’autrice ne offre tuttavia un quadro assai ampio e variegato, ripercorrendone gli episodi più significativi e offrendo al lettore alcuni saggi interpretativi particolarmente acuti. Assai pregnante, per esempio, è il parallelo istituito tra il Giove di Ovidio ( Met. I, 617-621) e la Medea apolloniana (p. 177). Notevole, e ben argomentata, è anche l’osservazione della rete di richiami esistente tra alcuni passi delle Metamorfosi e della poesia ovidiana dell’esilio (p. 179). Coinvolgente e ben strutturata è infine la lettura (mediata, come l’autrice puntualizza, da W.S. Anderson) del mito di Aracne.
In conclusione, dunque, non si può non guardare con grande favore al libro di K. Callen King: in esso risultano davvero ammirevoli la coerenza, lo sforzo didattico, lo scrupolo informativo e la tensione costante alla chiarezza nell’esposizione di un argomento così ampio e multiforme. Il fatto che il testo sia rivolto a un pubblico di non specialisti e la sua conseguente dimensione divulgativa non ne riducono, in ogni caso, la portata e l’importanza culturale: al contrario.
Ancient Epic è il risultato di un equilibrio ben calibrato tra rigore metodologico, esattezza contenutistica e vivace desiderio comunicativo. Le scarse puntualizzazioni emerse nel corso della presente recensione sono, per così dire, fisiologiche e non intaccano la sostanza di questo volume, che merita di essere considerato tra le migliori introduzioni all’epica antica comparse negli ultimi anni, e ha tutte le caratteristiche per coinvolgere e affascinare un amplissimo numero di lettori (non necessariamente di madrelingua inglese) desiderosi di conoscere la poesia epica e di riviverla cogliendone il messaggio profondo.
Table of contents Chronologies viii
Map x
Introduction 1
1 The Epic of Gilgamesh 14
2 The Context of Homeric Epic 33
3 The Iliad 52
4 The Odyssey 81
5 The Argonautika of Apollonios of Rhodes 106
6 The Context of Roman Epic 125
7 The Aeneid of Virgil 143
8 The Metamorphoses of Ovid 172
Appendix: Chart of Olympian Gods and their Akkadian Counterparts 189
Glossary of Greek and Latin terms 192
Index 193
Notes
1. Incidentalmente, si noterà il probabile refuso di p. 17: “… the word ‘civilized’ … comes from the Latin word for city, civis“; di fatto, al latino civis corrisponde l’inglese “citizen”, non “city”.
2. B. Fenik, Typical Battle-Scenes in the Iliad, (Hermes Einzelschriften, 21), Wiesbaden, 1968; J.B. Hainsworth, The Flexibility of the Homeric Formula, Oxford, 1968; M. Edwards, “Homer and the Oral Tradition: The Type-Scene”, Oral Tradition 7/2 (1992), pp. 284- 330.
3. E.R. Dodds, The Greeks and the Irrational, Berkeley, 1951 (più volte ristampato); il testo di B. Snell è stato ripubblicato da poco in Germania: Die Entdeckung des Geistes: Studien zur Entstehung des europäischen Denkens bei den Griechen, Göttingen, 2009 (trad. inglese: The Discovery of the Mind: The Greek Origins of European Thought, Cambridge, Mass., 1953). Per l’opera di Lord, se ne veda la recente riedizione a cura di S. Mitchell e G. Nagy: A.B. Lord, The Singer of Tales, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 2000.
4. Homeri Ilias. Recognovit Helmut van Thiel, Hildesheim, 1996; Homeri Odyssea. Recognovit Helmut van Thiel, Hildesheim, 1991.
5. Cfr. almeno M. Fantuzzi, Ricerche su Apollonio Rodio. Diacronie della dizione epica, Roma, 1988.
6. Cfr., per esempio, G. Paduano, Studi su Apollonio Rodio, Roma, 1972.