Da molti anni la poesia latina di Cristoforo Landino (1424ca – 1498) giaceva ormai nell’oblio di un’edizione non troppo fortunata, se anche accorta e ricca come quella di Perosa; gli studi su Landino hanno perlopiù riguardato il versante filosofico o erudito della sua produzione, mentre su quello lirico si sono avventurati solo alcuni illustri campioni. La pubblicazione di questo volume segna invece l’inizio di una nuova stagione, che si spera più florida, negli studi sulla giovanile Xandra, raccolta di carmi latini (soprattutto elegiaci) riuniti sotto il nome dell’amata compagna di una vicenda frastagliata tra alti e bassi — molto ‘properziana’, in questo senso —, nell’appassionata ricerca di un mezzo letterario, di un latino che potesse esprimere appieno la percezione ‘umanistica’ della passione d’amore e della sua stessa storia come genere letterario. In verità, non sono solo i carmi Ad Xandram a penetrare nella silloge ma, con un andamento talora simile a quello del Liber catulliano, anche battute salaci, attacchi personali, lettere agli amici, professioni di spirito, puntate di erudizione mitologica, preghiere e insomma ogni gesto letterario che, pur nella ristrettezza del campionario metrico, si trova comodamente arrangiato nel distico elegiaco (più raramente il nostro si cimenta con la strofe saffica, il falecio e l’esametro).
La lettura dell’opera è necessaria anzitutto per gli studiosi di Landino, che vi ritrovano senz’altro la cultura molteplice e il brio analitico cui poi è informata tutta la sua produzione; per gli studiosi di letteratura umanistica — tanto latina, quanto volgare —; per gli studiosi di letteratura in genere, sia nell’ambito della storia letteraria nazionale italiana, sia per l’interesse teorico offerto dall’ampliamento del genere elegiaco verso il nuovo confine della modernità. L’opera di Landino è infine di grande interesse per gli storici della tradizione manoscritta umanistica, dal momento che il caso filologico offerto dai Carmina è da tempo tema di dibattito sui metodi della disciplina, nonché un repertorio di vexatae quaestiones, peraltro ancora in parte da affrontarsi. In quest’ultimo ambito, sarà utile ricordare che ci è pervenuta la più antica redazione del primo libro della Xandra, e che le modifiche occorse nell’ultimazione del nuovo libro (e della raccolta) sono molto indicative sulla maturazione, da un lato, dello stile e del lessico poetico di Landino, e dall’altro lato illustrano le dinamiche della diffusione delle opere e dei loro aggiornamenti.
L’edizione di Perosa è appunto alla base del testo di Mary P. Chatfield (d’ora in poi C.), che lo adotta e lo traduce nel consueto sistema dei volumi della Renaissance Library dei Tatti, edizioni con testo a fronte e traduzione, preceduti da un’introduzione generale e seguiti da un commento essenziale, qui entrambi a cura della stessa traduttrice. Tengo subito a ricordare che lo scopo della collana è ‘semplicemente’ quello di salvare i più importanti o interessanti testi dell’Umanesimo latino e renderli facilmente accessibili al pubblico contemporaneo, spesso impedito dal difficile riperimento di edizioni antiche o dall’assenza di commenti integrali (“un’Atlantide sprofondata tra i classici e le letterature nazionali in volgare”, secondo la definizione di James Hankins, direttore della serie). Di conseguenza, in molti casi, si è scelto di adottare senza troppe riserve le edizioni difficilmente reperibili di cui si parlava, trasportandone però mende e difetti. Se da un lato questo è comprensibile, mi convinco tuttavia che, trattandosi in larga parte di testi di fattura elaborata e facendosi dei volumi dei Tatti l’unico mezzo per accedervi, una revisione testuale accurata e fondata su un riesame della tradizione debba diventare uno standard di questa collana peraltro infinitamente meritoria. Meritoria è già quindi di per sé questa ‘riedizione’ tradotta e annotata del Landino, ma soffre del generale vizio editoriale di cui abbiamo appena detto: nel pieno rispetto del lavoro svolto, di séguito indico delle mende che in un’auspicabile seconda edizione potrebbero volersi eliminare.
Oltre i rilievi di natura testuale, naturalmente si vorranno anche e soprattutto esaminare l’introduzione, la traduzione e il commento: ogni parte è affrontata in una sezione separata.
SISTEMA CITAZIONI
Prima di passare ad altro, è bene avvertire sul modo in cui i carmi vengono citati. Nell’edizione di Perosa (e negli studi che ne mutuano il sistema) il sistema delle citazioni interne ai vari carmi risultava appesantito, nel caso della Xandra, dalla doppia cifra romana maiuscola per il numero del libro e del carme; la formula ” forma antiquior” o “prima redazione” per l’originario primo libro della Xandra non aveva un’abbreviazione fissa; per i testi al di fuori della Xandra, il comodo “Var.” per le poesie miscellanee e il molto meno agevole numero di pagina e rigo per gli altri testi.
Il criterio della C. è leggermente diverso. Una legenda in calce all’introduzione (n. 3, p. xxiii) spiega il sistema dei riferimenti alle varie sezioni del corpus : i soli numeri arabi fanno riferimento alla Xandra (numero del libro, della poesia ed eventualmente del verso o dei versi); i numeri arabi preceduti da “er” (cioè “earlier redaction”, in tondo e senza spaziatura prima del numero) per la prima redazione; il perosiano “Var” (senza punto abbreviativo e spaziatura prima del numero) per i Miscellaneous poems (dove forse “misc.” sarebbe stato più comprensibile ai lettori della traduzione). Pur conformandomi qui all’uso della C., trovo che, per future edizioni delle opere, sia bene pensare a una diversa e più leggibile maniera per segnalare la prima redazione (qualcosa come ‘1a’ o simili). Quanto ai testi non poetici, l’unico qui riportato, ossia la Lettera di Presentazione a Bernardo Bembo, è segnalato come Appendix.
INTRODUZIONE
La Introduction della C. (xiii-xxv) sintetizza la posizione generale di Landino nel contesto fiorentino in cui operò come insegnante di letteratura e come letterato, riassumendo i principali fatti della sua vita e della sua carriera, gli appoggi e le alleanze, le amicizie dotte e la produzione letteraria. In quest’ultimo ambito, si nota l’assenza di riferimenti al De anima e al De vera nobilitate. Passando più specificamente alla Xandra (pp. xvii ss.), dopo un generale avvertimento sull’edizione di Perosa e il suo ordinamento, viene dato un quadro comprensibile della cronologia delle redazioni, delle datazioni possibili e dello sviluppo della materia poetica nei tre libri (più uno) della Xandra, nonché sul gruppo dei varia su Bernardo Bembo e la sua passione per Ginevra de’ Benci.
Avremmo gradito trovare un giudizio più articolato sullo stile e l’evoluzione del latino poetico di Landino, così come una noterella metrica avrebbe senz’altro arricchito la percezione della progressiva maturazione e del generale usus di uno tra i più abili poeti neolatini, per non parlare poi di un breve riepilogo della tradizione manoscritta; tuttavia non rientrano questi tra gli interessi precipui della collana, meno specialistica di quanto simili considerazioni la renderebbero.
TESTO
La questione del testo è a mio parere la più importante, pur riconoscendo che abbiamo di fronte una ‘traduzione annotata’ e non una vera e propria edizione critica. Discuto prima le innovazioni dichiarate dalla C. nella Note on the Text. Di séguito, poi, alcuni casi dove l’intervento era necessario e doveroso in una nuova edizione ‘di fatto’ (se non ‘intenzionale’) quanto pure vicina la si volesse a Perosa. Escludo invece alcuni casi (soprattutto tra i Varia) tali da richiedere interventi più specifici e discussioni più lunghe in altra sede: mi limito qui a proporre i meno estesi o discutibili. Ometto anche di evidenziare tutti gli errori nella punteggiatura, già segnalati (anche se in minima parte) da Terzaghi, ammessi da Perosa e ben riconoscibili ad ogni lettore. D’ora in poi, salvo dove diversamente segnalato, ci si riferirà sempre con “Terzaghi” a Terzaghi 1939 e con “Perosa” a Perosa ed.
Delle 17 emendazioni della C., 6 sono sicuramente da accettare e, alcune già avanzate da Terzaghi, perlopiù di carattere formale: 1.8.6 Spirituamque (contro Sprituamque di Perosa), 2.5.51 immitis ( immits), 2.25.28 paenula ( penula), 3.4.59 subibo ( subido), er1.41.6 nunc ( munc), Var8.49 decoris ( decori); una settima che senz’altro si può accettare è quella a 3.4.113 nostrae, frater, persolvimus ( nostrae frater persolvimus), che però cambia soltanto la punteggiatura di Perosa, già in più punti emendata da Terzaghi, e soprattutto ancora tutta da cambiarsi nell’estensione dell’intero corpus : valeva la pena di rinnovarla tutta o piuttosto lasciarla immutata e riservarne il miglioramento al prossimo editore.
Le altre 11 emendazioni sono a mio parere da respingersi tutte; parimenti, se valgono le critiche, saranno da respingersi le relative traduzioni, che non elenco quindi nella successiva sezione, laddove segnalo appunto gli errori nella traduzione. Questi i punti: 1.5.11 fatere contro fabere di Perosa: è contra metrum, e il testo di Perosa — con il futuro ben comprensibile, se anche non altrove attestato, di for — torna benissimo. 2.3.14 proveniet, semper… velim? contro proveniet? Semper… velim? già difeso da altri attacchi da Perosa 1940. 2.7.38 irrisos contro irrisae, stravolge il senso del distico: Novi ego: poscentes semper lusistis amantes, | irrisae cupitis sponte subire viros, da tradurre “Vi conosco bene io (o donne): raggirate sempre gli innamorati che vi desiderano, ma vi sottomettete da voi agli uomini quando siete disprezzate“, in coerenza con il contesto. 2.23.29 = 3.5.45 Regias contro reginas : l’errore di Perosa sta nello stampare con minuscola l’aggettivo Reginas, cioè “di Reggio”, il senso che la C. vorrebbe introdurre con la sua doppia emendazione, tuttavia non richiesta né migliorativa. 2.25.73 timidas ( capras) contro tumidas, dove il nesso con tumidas, che non è altrove attestato, è pure comprensibilissimo: “le capre gonfie (di latte)” (cf. Calp. Sic. 5.33 tumidis papillis, detto di capellae). 3.1.3 nunc elegi tempus graviori insurgere plectro contro nunc elegi tempus: graviori insurgite plectro : la C. sostiene di seguire “some mss.” dove è solo un ms. tra i più recenti (R4 di Perosa) ad avere insurgere, evidentemente facilior (dà maggiore continuità sintattica a un’espressione volutamente più franta). 3.5.42 legibus; insultet contro legibus insultet, dove il distico deve suonare Audendum propriis manibus patriaeque vetustis | legibus insultet per sua castra Leo (mia la maiuscola, analogamente al successivo Lupam): l’intervento non sembra sostanziale dove invece, se legibus può forse essere legato a insultet, rischia d’essere erroneo. 3.17.70 ipsa contro ipse, basata sulla lezione di due mss., stavolta nominati, cioè V1 e V2; ma il primo errore è nei sigla (infatti l’apparato di Perosa ha ipsa per V1 e V3), il secondo è nel fatto che i due mss. sono in realtà fratelli e valgono quindi per il singolo comune subarchetipo, il terzo è nel senso. Il distico suona infatti: At te nobilitas generoso pectore veris | laudibus a vulgo iam procul ipse canit, dove la C. prende nobilitas come soggetto di canit, dovendo quindi ‘correggere’ ipse in ipsa, con te riferito a Poggio, delle cui opere si stanno qui tessendo le lodi; ma nobilitas è un vocativo, mentre il soggetto di canit è ipse, cioè Poggio stesso: più ampiamente s’intenda “ma te, o Nobiltà, egli canta con giusta lode in quanto proveniente dalla grandezza dell’animo individuale (non dall’antichità del lignaggio), distante dall’opinione comune”, e il riferimento è alla discussione del De vera nobilitate di Poggio (come pure la nota di commento rileva). D’altronde l’editore è, in casi come questo, meno esposto del traduttore, la cui interpretazione è più chiara e criticabile: l’editore può invocare un’innocua svista tipografica, ma edizioni future dovranno avere At te, Nobilitas, generoso etc. Var11.3 celebrati scriba leonis contro celeber + leonis : dall’apparato di Perosa (” v. lacuna corruptus“) sembrerebbe di capire che sull’unico testimone manoscritto (siglato M4) ci sia una lacuna tra celeber e leonis, cioè Perosa avrebbe mal segnalato (a quanto sembra di poter dire senza controllare il codice) una lacuna, e non disperato di emendare il tràdito celeber avvertito così come erroneo. Di conseguenza la congettura potrebbe essere non petita e in ogni caso non rende più leggibile il verso, che anzi s’appesantisce.
Questo per quanto riguarda le innovazioni segnalate dalla Note on the Text. Per passare all’altra classe di errori, cioè quelli già discussi in passato (da Terzaghi e Perosa in particolare), si vedano i casi seguenti (selezione). 1.1.9 Qui per Quid (già segnalata da Terzaghi). 1.4.5 pectore per pectora. 1.24.57: questo è il caso sintomatico di una troppo scarsa attenzione al testo: il verso suona (presso la C. come del resto già presso Perosa) Protinus tumuit dea saeva suisque, ed è evidentemente monco, oltre a presentare un cretico all’inizio del verso: pareva evidente cercare un coriambo dopo Protinus; ma già Terzaghi aveva segnalato la difficoltà, risolta da Perosa 1940: per una svista tipografica, nell’edizione non compariva l’ invidia (tra Protinus e tumuit) tràdito da tutti i codici. Anche in assenza dell’ormai antico aggiustamento, in presenza di una Note to the text disposta ad accogliere congetture, era almeno il caso di congetturare (tanto più se poi la traduzione suona “The savage goddess swelled with rage“). 1.26.2 nigri per nigris (come nel caso precedente, l’errore è già in Perosa ma non sembra essere stato segnalato). 2.4.41 Quando gravis cuiquam, quando non cuncta modeste… visa est? va forse corretto con modesta (la traduzione sottintende questa emendazione); il successivo v. 46 va concluso, come già Terzaghi suggeriva, con un punto esclamativo e non interrogativo. 2.12.34s. vale! | Atque vale va mutato per riavere il catulliano vale atque vale (già Terzaghi). 2.15.3 Philippo va quasi sicuramente emendato in Philippus. 2.18.1 Nescio quid maius nostro, crudelis, amori | … poscere… queas va senza dubbio emendato, con amore di Terzaghi: il punto è stato tra i più dibattuti, ma non si può difendere il testo tràdito dicendo con Perosa che è un “costrutto all’italiana”, dove al limite è l’italiano del copista a giocare uno scherzo all’ottimo latino di Landino (in ogni caso la traduzione della C. è errata: “greater than my love” presuppone comunque un ablativo, rompendo però il costrutto di posco). 2.26.71 manca una sillaba lunga dopo nimis, che propongo di correggere con l’inserzione di ah : His ego, Xandra, tuos, nimis ah crudelis, amores con stilema altrove presente in Landino. 3.3.121 pedibus illa suis haeret tamen usque, nec ima è contra metrum (né Landino è tacciabile di simili erroracci): probabilmente basterà trasporre pedibus dopo haeret. 3.4.59 forti è errato, come già segnalava Terzaghi 1930, e difeso da Perosa 1940 fu giustamente ricondannato da Terzaghi 1940, cui Perosa 1941 poté opporre solo flebili obiezioni; non saprei però quale congettura adottare; a 62 mollitiae per mollitia (anche in Perosa); a 83 miseroque patri non dà senso, e Terzaghi proponeva l’accettabile miserere patris (la difesa di Perosa stava nell’asserire che abbiamo a che fare con “poesia di secondo ordine”!). A 3.7.66 mi pare vada scritto Castaliae e non Castalii. 3.16.25 ad Sanum per ad sanum : “(riportare) alla giusta misura” (Terzaghi), non “Siena’s” etc. 3.17.3 Thetis per Tethys (già Terzaghi); a 12s. ricorre “onore”, ma nel latino si ha prima honos e poi honor : sarà il caso di uniformarli (probabilmente su honor); a 52 Bellorophontei per Bellerophontei. 3.18.78 tollerare per tolerare : potrebbe riguardarsi come semplice refuso, ma questa grafia altera la metrica, divenendo quindi un errore testuale (già in Perosa). Var4.32 ambrosios per ambrosias (già Terzaghi). Var7.28 dissolvisse per dissoluisse. Ometto i molti interventi necessari sugli spuri Carmina super quaedam aenigmata che concludono (tra i Dubia) la raccolta; rimando a Grant 1955 per alcuni interventi già realizzati, e ad un’altra occasione per alcuni nuovi; si vedano qui però le annotazioni nelle sezioni TRADUZIONE e COMMENTO. Quanto all’ Appendix con la Lettera di Presentazione a Bernardo Bembo (edita da Perosa, pp. 190s.), penso si possa proporre perstringator per perstrigator a r. 11 (nell’edizione; qui invece manca la numerazione, che sarebbe stata invece utile).
PRIMA REDAZIONE
Per rappresentare la situazione di Lu., cioè del codice lucchese che da solo trasmette la forma più antica del primo libro della Xandra, la C. segue Perosa, isola cioè in una sezione B, dopo la A che contiene i tre libri della versione ‘definitiva’ della Xandra, tutta la libri primi forma antiquior. In molti casi, Landino ha mantenuto integralmente dei carmi più antichi nella nuova redazione, e in questi casi basta il rinvio all’identica elegia contenuta nello stadio più recente del primo libro; tuttavia ci sono dei casi in cui, se il grosso dell’elegia è preservato, nella versione originaria esistono delle differenze, non solo in termini di varianti (pure importantissime) che qua e là mutano una paroletta in un’altra isometrica, ma anche nel senso che versi presenti nella forma più antica non sono stati inseriti nella nuova redazione, cosicché il carme più antico risulta più lungo di quello più recente. Per tutti questi casi si sarebbe forse gradita — in mancanza di altre possibilità che per esempio un apparato critico avrebbe concesso — una tabella che, oltre eventualmente a segnalare le varianti testuali più ‘piccole’ (ma sempre notevolissime e indicative dello sviluppo del lessico poetico di Landino), segnalasse soprattutto l’antica presenza di questi gruppi di versi poi rifiutati. Inoltre, nei non pochi casi di rititolatura (e in particolare in quelli dove veniva cambiato il destinatario, per es. la er5, inizialmente destinata Ad Bernardum e poi, nella nuova redazione, Ad Bartholomaeum Opiscum Scalam), sarebbe stato utile confermare al lettore che i punti sensibili dell’elegia — per esempio i vocativi nelle allocuzioni al destinatario originario (nel nostro esempio, Bernarde) — vengono mutati (nel nostro esempio, mi Scala).
Bisogna però ammettere che, data la natura della collana, era difficile rendere perfettamente i connotati di questa difficoltà precisamente testuale, e che la difficoltà si avverte pure nell’edizione di Perosa, dove l’apparato secondario (un apparato più alto, incluso tra il testo e l’apparato vero e proprio, ovviamente solo nel primo libro) non basta a soddisfare l’esigenza di un rapido accesso alle varianti tra la prima e la seconda redazione, che pure restano argomento a sé trattabile e ancora non completamente sviluppato. La ‘tabella’ che invocavo sopra poteva essere una soluzione; ma la soluzione migliore sarebbe che la collana ampliasse la propria portata e si vestisse di maggiore precisione specialistica, includendo strumenti tipografici atti a illustrare i ‘casi filologici’ quasi sempre inauditi e intricati che proprio la letteratura di cui la collana si occupa non manca quasi mai di offrire.
I casi di cui si parla sono, in breve, i seguenti (indico il numero dell’elegia omettendo la notazione er): 5 (già esaminato sopra), 6 (quattro versi in più nella prima redazione), 18 (due versi in più), 37 ( Ad Iohannem Antonium reintitolata Ad Bartholomaeum Opiscum Scalam, con le conseguenti varianti), 46 ( Ad Leandram diventa Ad Ginevram, con le solite varianti), 49 (qui è la prima redazione a essere più breve — è lunga due soli versi — rispetto alla nuova), 51 (i vv. 31-44 sono interamente modificati), 52 (quattro versi in più dopo il v. 14 e vv. 18-22 interamente diversi nella prima redazione), 53 (la prima redazione non ha i vv. 2-10 della seconda, e il v. 11 è molto diverso). In un caso c’è anche un errore: la 17 non è “untitled in the earlier redaction” ma il ms. ha una lacuna dopo Ad (come lo stesso testo latino lascia intuire).
Ad ogni modo, nella forma antiquior sono presenti interi carmi poi non trasportati nella nuova redazione. Questi vanno quindi qui riguardati, come già gli altri, sia da un punto di vista testuale che da quello della traduzione, oltre che dell’ortografia e del commento: eventuali commenti si troveranno perciò nelle singole sezioni di questa recensione.
TRADUZIONE
La resa è quasi sempre consona all’ispirazione del singolo carme, di cui vengono ora imitati i guizzi salaci, ora il pianto elegiaco, ora l’afflato civile, con movenze che, nel piacevole inglese della C., consentono anche al lettore inesperto del latino di intuire il tono dell’originale. Parlando del rispetto dell’originale, però, è talora fastidiosa la tendenza a ‘tradurre’ le perifrasi o gli aggettivi e sostantivi dotti (geografici, patronimici etc.) con il nome ‘comprensibile’ di quell’eroe o quella divinità: diventa più una parafrasi che una traduzione, e toglie molto del sapore che invece informa una poesia volutamente dotta. Inoltre non si può evitare di constatare una moltitudine di fraintendimenti. Alcuni errori dipendono dalla punteggiatura o altre caratteristiche del testo latino; ma sembra il caso di segnalarli piuttosto qui che nella sezione relativa al testo, per la maggiore portata che hanno nella traduzione. I corsivi all’interno delle traduzioni sono miei.
1.1.3 “for, being shy and wisely insecure, it did not wish | its awkward trifles to come out into the light” traduce namque pudens, gnarusque sui sapienter ineptas | in lucem nugas noluit ire suas, dove invece bisogna intendere gnarusque sui come a sé stante, cosicché sapienter (“wisely”) va piuttosto con noluit. 1.3.37 in libertas prima refugit, prima significa “originaria” (non “my liberty first flee”). 1.4 (titolo) omissione di “Opiscus” (anche a 1.23, 1.24). 1.6.18 ut redeam lacrimis insidiosa tuis è da intendere come “insidiosa per via delle tue lacrime” e non “how often ask, through your tears, you scheming girl, that I return”. 1.7.3s. sit satis … ni cupiam non va tradotto “it might be satisfactory … if I wished to”, ma nel modo opposto “se solo non desiderassi”; 27ss. sanctumque furorem | inspira ut vanos valeam enarrare labores, | ut nostris edocta malis ventura iuventa | te … Cupido … fugiat, va inteso in questo senso: “ispirami perché riesca a raccontare la vanità del mio travaglio, perché i giovani che verranno, la posterità, sappia sfuggirti, o Cupido” non va assolutamente tradotto “inspire holy passion, that I may say farewell to my tale of empty suffering, that, having learned my lesson of woe, my remaining youth will flee from you”. 1.9.5s. va scritto hunc… vitate virum, licet ore rotundo | Chrysippi ritu tristia verba cadant, senza i due punti dopo virum, che portano la C. a tradurre “avoid this man: for, though smooth of tongue, words as gloomy as Chrisippus’ pour out of him”, mentre licet congiunge cadant, e non ore rotundo che ne è il complemento. 1.10.5s. nell’espressione tota nullus in urbe | Bardorum quam tu bardior esse potest, credo che Bardorum sia da prendere meglio come partitivo di nullus che come specificazione di urbe, come invece la C. intende (“in this city of fools”). 1.12 Esse tuum dicis quem dant unguenta colorem, | Alda. Quod emisti, quis neget esse tuum? viene tradotto “You say your color is the product of an ointment, Alda. Since you’ve bought it, who’ll deny that that color is yours?”, ma il senso è invece l’esatto contrario: “Tu dici che è il tuo colore naturale quello che invece ti rendono i trucchi, Alda”; inoltre il Quod è pronome (“chi può negare che sia tuo ciò che hai comprato?”). 1.18, l’epitaffio per il Bruni, comincia con Hic cui frondenti nectuntur tempora lauro | … Leonardus erat dove la C. traduce ” Here lies Leonardo…”, ma credo che l’epigramma sia concepito per essere collocato su un’effigie (vera o presunta), e che quindi si debba tradurre ” Questo era Leonardo…”. 1.21.1s. va stampato con questa punteggiatura: Ecce dies partus: properat Lucina. Puellae, | casta, fave: partus advenit ecce dies! e tradotto di conseguenza. 1.22.25 e 28 mitigas e receptas sono indicativi e vanno tradotti come tali, mentre la C. li rende all’imperativo (“soothe … take”). 1.24.45 noscite è tradotto come indicativo, ma l’imperativo ha un suo senso nel contesto. 1.26.21-25: è un lungo periodo che va tradotto “credi che debba bastarmi se per una volta mi è riuscito con sforzo enorme di sfiorarti” etc., mentre la C. divide il periodo in più frasi sconnesse. 1.29.7 properas è tradotto come un imperativo, ma l’indicativo va mantenuto. 1.29.13s. nos procul a nostra … puella | cogimur insani discere iura fori significa “io sono costretto a studiare diritto, lontano dalla mia ragazza” e non “my girl compels me from afar … to learn the laws” etc. 2.3.8 saepe è compreso nell’ablativo assoluto navi labante, e “often” della traduzione non va quindi legato a substineat. 2.4.23 tremendos sembra reggere Latio Romaeque nel senso di “ostili a” con il dativo (forse non “leaders of Rome and Latium”); poi a 25ss. Nam neque tam moveor ocellis … quam quod nec mores desunt in cuncta venusti, libera nec quicquid nosse puella velit : va tradotto “non mi commuovo tanto per gli occhi, quanto per il fatto che non è priva di maniere amabili in ogni movimento, e non le manca niente che una fanciulla libera possa voler conoscere”; la C. sembra fraintendere; anche subito dopo, 31s. sive iocos (sc. illam videas tractantem) … credas tunc Iulos illius ore loqui è tradotto “you’d think that then the Iulii were speaking through her mouth” non sembra avere senso (né se ne fornisce spiegazione in commento): forse però bisogna prendere Iulos per Iulo (ed eventualmente anche correggere la lezione) ed intendere “Demetra” per come è invocata nei canti delle filatrici, forse presi per licenziosi ( sed quos laudet censura priorum), visto che nel distico prima era sempre una dea a venire paragonata a Sandra (in quel caso Pallade, per i seria). 2.23.31 ludo ( grandia proelia gracili versu) significa “canto, metto in versi” non “I mock”. 2.30.9s. Quid Mario Caesar deiecta trophaea reponis, | si quod Sylla fuit, hoc sibi tempus erit? va meglio punteggiato con una virgola dopo si, così da intendere “A che restituire, o Cesare, i trofei di Mario già abbattuti (= probabilmente le statue di Mario, ripristinate nel 69 dopo l’abbattimento in età sillana; la C. non precisa nel commento), se poi quello che per loro era stato Silla (= cioè un motivo di distruzione, di oblio) lo sarà in ogni caso il tempo (= che le manderà in oblio come Silla)”; la C. traduce invece “If Sulla was something, will there come a time for him?”. 3.1.10 crudeli proelia gesta manu potrebbe intendersi come “battaglie combattute da un esercito crudele” piuttosto che “con mano crudele”. 3.3.105s. va tradotto “a mala pena li (= gli edifici costruiti da Cosimo) conterrebbero i confini una volta sacri a Giove Tarpeo con le mura della rocca capitolina” e non ” they (cioè gli edifici di Cosimo) would circle the precincts sacred to Tarpeian Jove by the walls” etc.; a 114 Marte è ablativo di mezzo (quindi non “the hard yoke of Mars”). 3.4.131s. Aspicite, o cives, quicquid micat urbe decorum, | quae multis annis aedificata nitet viene tradotto “Look, O citizens, at the glory beaming on our city, | look at the buildings that shine now for many years !” dove però nitet è al singolare, e quae è dunque la urbs, peraltro “costruita in molti anni”. 3.5.9s. sed mea mens … qui caneret va inteso con mens vocativo. 3.6.39 vos aeterni mortali e semine divi va tradotto “voi, deità immortali, da mortale semine nati”, il gioco è su aeterni / mortali, e si perde in “you, divine beings, sprung from mortal seed”. 3.6.61s. presenta un enorme fraintendimento: il testo latino, nell’edizione fornita, ha Omnibus imperii certatum viribus hic est, | cum populus nollet arcas habere pares, e la C. traduce “Here there was a struggle with an empire’s full strength, though the People would not wish to equal it in wealth”; ma questa traduzione presuppone arcas = acc. plur. di arca, generando un monstrum sintattico e metrico (forse anche logico), dove invece bisogna scrivere Arcas e intendere Arcas populus = Pisani (come a v.60 Parrhasiae urbis = Pisa, come giustamente il commento rileva); la nota di commento è viziata a monte dall’interpretazione. A 74 il soggetto di esse caput non è “she” ma il popolo di cui si è parlato nei vv. precedenti. A 83 Florentine non è “Florence’s” ma “o Fiorentino”. 3.7.77s. virtutis amorem | quem sequitur vera nobilitate decus : non “love of … virtue, and the honor that comes from true nobility” ma “l’amore della virtù cui tiene dietro la gloria per una nobiltà vera”. 3.7a.2 non est humanae noscere mentis opus è “non è proprio di una mente umana comprendere etc.”, e non “It is not needful for the human mind to know” che presuppone invece il costrutto di opus est con il dativo. 3.15.19s. egere… cedere ha forse (come sostiene Perosa 1941) il secondo verbo come apposizione del primo, e in ogni caso il costrutto non è quello presupposto da “forced to yield”; a 45 libertatis unica cura è ” soltanto l’interesse della libertà” e non “a special care for liberty”. 3.17.38 nec docto promptius ore loqui“né parlare più prontamente con voce dotta” e non “readier or more learned”. 3.18 il titolo latino è Eulogium in Cosmum puerum Magni Cosmi nepotem, tradotto “Eulogy for the Boy Cosimo, Grandson of the Great Cosimo”, ma forse andava rispettato il nome storico del personaggio elogiato, cioè Cosimino, reso con la perifrasi puer Cosmus, antitetica a magnus Cosmus. 3.19.4 Xandram cuius tantum uror ab igne, | quantum Sicaniis non furit Aetna iugis, cioè “Sandra dal cui fuoco vengo riarso tanto, quanto neanche l’Etna sfavilla in Sicilia” e non ” as much as does raging Aetna” etc.; subito dopo a 5, gracili qui canit alta pede è “che canta temi alti con metro esile (= elegia)” e non “who writes in a high and slender meter”. er9.4 spurcide, oltre a essere ben poco classico, è anche un vocativo (“tu, zozzo”) e non avverbio (“obscenely”). er27.10 docte è vocativo e non avverbio (“learnedly”). er40.2 egregio polluit ingenio non è “polluted his splendid talent” (dove peraltro avremmo avuto un accusativo) ma un raro perfetto di polleo (cioè il contrario: “fu eccellente per altezza d’ingegno”. er42.3 ploret è congiuntivo (“dovrebbe compiangere” o simili). Var1.68 iura umbris numquam ( nun- cod.) diffugienda piis significa “giudizi che le anime pie non devono rifuggire” e non “judgments which even pious shades never may escape“. Var2.34 vix inopi è legato a milite, quindi “con l’esercito appena in grado di” e non “him … scarce able to … his soldiers destitute”. Var6.21 vincitur tradotto con “is won” fa pensare a un equivoco (in realtà è da vincio); 27s. animo, non corpore formam | optandam è forse “bellezza da cercare con l’animo, cioè con i mezzi dell’animo, e non con il corpo” piuttosto che “beauty of soul, not body”. Var8.65 Semeleius non è affatto “Semele”, ma “il figlio di Semele”, cioè Bacco (come in Hor. carm. 1.17.22).
Ultimo è il caso dei non landiniani Carmina super quaedam aenigmata che si trovano alla fine del corpus, già stampati da Perosa come Dubia, qui raccolti (insieme alla Ad Ugolinum Verinum) come Doubtfully Ascribed Poems, ma sicuramente da rigettare. Rinviando ad altra sede, anche in questo caso (come nella sezione TESTO), ogni discussione più approfondita, vorrei però segnalare che le traduzioni sono fuorvianti, nella misura in cui, una volta nota la risposta agli indovinelli (alcuni dei quali furono già risolti da Grant 1955), è evidente che il testo latino ha un senso diverso da quello che la traduzione invece presuppone: per es. al v. 2 dell’ aenigma A, sidus in aere fragro è tradotto “I stink in air”, ma bisognava correggere in flagro (già Grant) e tradurre ” in quanto stella brillo nel cielo”; oppure al v.1 dell’ aen. B, Quinque placent ori presuppone la soluzione ” dapes“, quindi “Cinque (= parola di cinque lettere) piacciono alla bocca”, e non “Five are pleasing in appearance” (l’indovinello continua per sottrazione di lettere: apes, pes, es = aes : v. Grant).
COMMENTO
Il commento è così strutturato: tutti i carmi sono segnalati e d’essi si precisa sempre il metro; se il testo o la sua interpretazione lo richiedono, solo allora una nota viene inserita con il numero di verso a cui si riferisce; per alcuni carmi, un cappello introduttivo dà informazioni generali sui personaggi, i luoghi, gli eventi o il contesto culturale a cui bisogna guardare per comprendere l’intero carme. Per quanto riguarda l’ampiezza dei commenti, si può dire in generale che le note sono sufficienti per una comprensione immediata dei problemi e del contesto, dove chiaramente un volume come questo non mira ad esaurire l’analisi di una poesia complessa come quella di Landino, spessissima nell’accumulo di suggestioni classiche e tardoantiche (quando non anche medievali o coeve) e concepita in un momento storico-culturale pregno di idee ed eventi epocali. Ogni tanto le più evidenti riprese dai classici vengono segnalate; vengono anche offerti (così come da parte della letteratura critica) alcuni paralleli con Dante, Petrarca e Boccaccio; per alcuni personaggi citati nei carmi, essi stessi autori neolatini o volgari, sarebbe stato utile indicare le edizioni e gli studi di riferimento più moderni; i contributi originali sono comprensibilmente limitati ad alcune notazioni erudite, che sarebbero però parse talora più forti quando fossero state indicate le fonti; altrove, però, le fonti sono ben segnalate. Comunque il giudizio può essere perlopiù positivo, salvo che per alcune negligenze o inesattezze che segnalo qui di séguito (secondo il numero di carme e verso a cui si riferiscono le note discusse).
1.8: nessuna notizia sull’Alfonso cui è dedicata l’elegia. 1.19.14: non viene spiegato il senso di lactea gemma. 2.2.5s.: non credo che rex Peliacus possa in alcun modo riferirsi a Chirone. 2.5.39s.: Quid Venerem matrem, quid te Neptune, quid illum | nunc referam, falsi quem iuba texit equi? : secondo la C. la trasformazione in cavallo è quella di Nettuno che rapisce Cerere; ma la transizione quid te Neptune, quid illum fa pensare a un altra divinità, probabilmente da identificarsi in Crono, ai tempi in cui si mutò in cavallo per unirsi a Filira, procreando Chirone. 2.6.8: qui denas vix cecinisset oves, mentre si parla di Virgilio, allude con evidente ironia alle dieci ecloghe: era senz’altro il caso di rilevarlo. 2.13: è un epigramma De Bindo lusco, e nel commento la C. si chiede come mai, a v. 2, ci sia il vocativo Marce, e non Binde, considerando anche che 2.19 e 2.24 invece compare questo vocativo in epigrammi similmente intitolati: ma probabilmente si può rispondere che il personaggio dovesse essere un Marco di Bindo o Marco Bindi, e che non ci sia quindi un errore di tradizione. 3.4: avrebbe potuto dare più informazioni sul fratello (scarse notizie a p. xxi). 3.4.99: Averno non è “the three-headed dog that guarded the entrance to Hades”: le fauces sono semplicemente l’ ingresso e l’intero emistichio è tolto da Verg. Aen. 6.201 dove è indubbio che non si tratti di Cerbero. 3.5: nessuna notizia storica sulla “Aragonese War” che è l’argomento dell’elegia; qualche riferimento invece nel cappello a 3.6. 3.7.9: il mons Aonius non è l’Olimpo, ma l’Elicona! 3.12: a proposito delle Bis quinas Sibyllas avrebbe forse dovuto spiegare il numero e l’identità delle Sibille, possibilmente ignoti al lettore meno esperto. Nella traduzione del titolo, tra l’altro, inserisce Cumaean, ma il latino ha De Sibylla e un solo ms. (che innova senza dubbio) aggiunge Cumana : invece sta al lettore stabilire di quale Sibilla si tratti; al limite, come si diceva, lo si può guidare nella nota di commento. er13: non sono sicuro che Gnognia, ipocorismo di Antonia, abbia a che fare con “vergogna”. er16: non si dice niente sul significato di questo epigramma, forse legato alla Gnognia cui è dedicato er15. er24.4: non spiega perché Philomena sia invocato come nome per l’amante (la spiegazione è naturalmente etimologica e costituisce la pointe dell’epigramma). Var8: ci si sarebbe aspettati un riferimento al De vera nobilitate dello stesso Landino (dove invece l’ed. Lentzen, p. 46, fa riferimento al nostro carme).
BIBLIOGRAFIA
La poesia latina del Landino non ha destato che poche ricerche, di cui C. dà conto nella Bibliography alla fine del volume (pp. 383s.). Vi si ritrovano, tra i contributi specificamente landiniani che ci si aspetta ragionevolmente di vedere citati, i lavori di Cardini, Charlet, Kallendorf, La Penna, Lentzen, Tonelli.
Tra le edizioni (“Text”) è citato il solo Perosa, mentre il Bandini comincia la lista (alfabetica) degli “Studies”; la scelta può essere discutibile, per quanto Perosa sia in effetti la sola base editoriale del volume. Sarebbe stato anche opportuno, credo, indicare le principali edizioni delle altre opere di Landino, tanto più se in presenza di frequenti riferimenti ad altri testi di carattere generale, citati magari in un solo caso all’interno delle note.
Tra le omissioni vorrò solo additare quella degli ‘scambi’ tra Perosa e Terzaghi cui già si è fatto riferimento (sez. TESTO) e che si conta oggi tra le pietre miliari degli studi di metodo nella trattazione di testi umanistici (e di Landino in particolare, verrebbe da aggiungere!). L’esito di questa omissione è tanto più nefasto se provoca la messa in circolazione di un testo che già lo stesso Perosa, anche se solo in parte e soltanto quasi per i compiti editoriali meno pregnanti, aveva comunque rivisto sulla via di Terzaghi. Sarebbe sembrato opportuno anche un riferimento ai contributi di Cardini (nel Dizionario Critico della Letteratura Italiana) e Dionisotti (nell’Enciclopedia Dantesca), cui spesso ci si rifà per cose landiniane; tra la bibliografia più recente, segnalo solo i recentissimi contributi di Bausi (2001 e 2005).
ORTOGRAFIA
L’edizione di Perosa si conforma sostanzialmente alla norma ortografica delle moderne edizioni di classici latini, attenendosi alle forme aberranti tràdite solo dove queste siano concordemente stabili nei vari manoscritti. Non entrerò nel merito di una questione irtissima di dibattito nell’ambito delle edizioni umanistiche, né mi addentro in teorie che mirino a risolverla; semplicemente, segnalo i casi dove ogni evidenza induce, per generico buon senso o per fiuto editoriale, a mutare la grafia adottata da Perosa e trasferita qui per intero. In questa scelta c’è anche dell’integralismo, perosiano questo, dove monottongazione grafica dei dittonghi e simili ‘errori medievali’ — onorati anche se in sede di edizione di mss. non autografi e non di trascrizione di autografi — vanno assolutamente corretti. Quando è possibile e vale la pena, indico anche altri luoghi nel corpus landiniano dove i mss. hanno invece la grafia che un editore moderno adotterebbe per un classico, cosicché si configura la possibilità di ‘correggere Landino con Landino’ (anche se, per l’appunto, parliamo pur sempre di manoscritti non autografi e di copisti adusi a una grafia medievale). Si vedano i seguenti casi (alcuni certamente contestabili a seconda delle preferenze dell’editore, che pure deve esprimerle): 1.3.18 preire per praeire; 1.4 (titolo) Bartolomeum (Perosa Bartholomeum) per Bartholomaeum (anche a 1.23, 1.24); 1.6.13 coeli per caeli (questo il primo degli infiniti casi nel testo); 1.7.7 dii per di; 1.20.4 relligiosa per religiosa (anche a 2.8.10); 1.23.12 adiicit per adicit (con l’obiezione di Perosa 1941 che rileva la diffusione della forma “fino all’Ottocento”: tuttavia molte forme che giustamente non sono state conservate nell’edizione, e che si trovano invece nei mss., sono perdurate anch’esse fino a tempi recenti); 1.24.29 conjux per coniunx (anche a 2.23.66); 1.24.7 Faesulis per Fesulis (che peraltro va scandito come anapesto: la grafia deve correggersi; l’errore è ripetuto a 1.24.55 e 114, 1.25.11; ma v. i casi di 2.6.23, 3.3.4, 3.7.95 etc., dove invece si ha Fesul -, che confortano ulteriormente la correzione in quanto tràditi); 2.5.29 caetera per cetera (anche 2.9.13, 3.7.189); 2.7.12 exuperare per il preferibile exsuperare (anche 3.3.60, 3.4.32 e 34, Var1.4, Var8.8), 30 jugo per iugo; 2.18.8 nunquam per numquam (anche questo esteso su tutto il testo); 2.30.26 relliquias per reliquias; 3.1.2 iocunda per iucunda (anche a er.11.5; ma la lezione giusta è a 3.6.91); 3.3.128 ocia per otia (la lezione giusta a 3.6.94); 3.4.10 sydere per sidere, 102 Echidnei per Echidnaei, 133 Pyerides per Pierides; 3.6.42 tolo per tholo (difeso da Perosa 1941); 3.6.84 exolves per exsolves; 3.7.39 e 41 assunt per adsunt, a 102 humor per umor, a 110 Moeonia per Maeonia, a 133 moesta per maesta, a 160 Carule contro il Carole già più volte incontrato (lo stesso vale per il titolo di 3.7a dove Caruli va certamente emendato in Caroli); 3.9.1 Virgilium per Vergilium; 3.15.6 buccina per bucina; 3.16.57 conditionibus per condicionibus; 3.17.57 precipiti per praecipiti (la giusta grafia a 3.18.17), 125 commercia per commertia; 3.18.66 Letheo per Lethaeo, 102 exurgat per exsurgat; er12.2 licterulis per litterulis (anche a v. 6 lictera e v. 10 licterulas, er19.8 lictera; ma la giusta grafia nella lettera a Bembo riportata qui in Appendice, e in Perosa a p. 191, r. 6); er14.8 ilico per illico; er20.1 girum per gyrum; er25.4 assit per adsit; er26.6 Callimaco per Callimacho; er40.11 e 23 pellex per paelex; er48.19 Meduseo per Medusaeo; Var1.14 relligione per religione; Var.2.78 quatuor per quattuor; Var5.3 tetrum per taetrum (anche Var9.69), 25 assimilem per adsimilem; Var7.43 aspirate per adspirate; Var9.76 squallida per squalida; Var13.1 Haebreus per Hebraeus.
REFUSI
I refusi nel testo non landiniano sono pochi e perlopiù veniali: p. xxiv (cit. da Cardini 1993) humanistico per umanistica, e humanismo per umanesimo; 1.24.61 Castilian per Castalian; 1.24.83 he per He; 2.23.52 god’s per gods’; 3.3.58 it per its; 3.8.7 Muses per Muse; 3.18.93 women per woman.
L’unico refuso nel testo latino che si possa prendere come tale e non come errore testuale (eventualmente mutuato dal testo già erroneo di Perosa) sembra essere a 2.17 (titolo latino) Ad Francia per Ad Franciam.
Nel commento, sono curiosamente frequenti i refusi nell’indicazione iniziale del metro dei carmi (al cui numero si fa qui riferimento): 1.13 hendcasyllabics per hendecasyllabics; dal commento al carme 2.1 in poi si trova elegiac in luogo di elegiac distich, usato invece per tutto il libro primo; ogni tanto il refuso elegaic (Var10, Var11, Dub1.); 3.5 ha elegiacs; dal commento a er1 elegiac diventa elegiac couplet, er9 ha elegiac couplets, er11 elegiac couples; da er12 si ricomincia ad avere il solo elegiac.
Altri refusi nel commento: p. xxii elegaic per elegiac; 3.7.13 masculo per mascula; 3.16.3 elegaics per elegiacs; er42 fiorention per fiorentino.
Lavori citati:
Bausi 2001 = F. Bausi, Modi e forme della poesia umanistica (tra latino e volgare), in Atti del Convegno dell’ADI, Lecce-Otranto, settembre 1999, 2 voll., Galatina, 2001, vol. 1, pp. 89-96.
Bausi 2005 = F. Bausi, Due note petrarchesche, in P. Viti (cur.), Letteratura, verità e vita. Studi in ricordo di Gorizio Viti, 2 voll., Roma, 2005, vol. 1, 85-95.
Grant 1955 = W. L. Grant, Cristoforo Landino and Richard of Segbrok, “Phil. Quart.” 34, 1955, 74-76.
Perosa ed. = Christophori Landini carmina omnia ex codicibus manuscriptis primum edidit A. Perosa, Firenze, 1939.
Perosa 1940 = A. Perosa, Critica congetturale e testi umanistici, “ASNP” 9 (ser. 2), 1940, 120-134 (rist. in Perosa 2000, 9-27).
Perosa 1941= A. Perosa, Miscellanea di filologia umanistica, IV, “La rinascita” 4, 1941, 303-310 (rist. in Perosa 2000 29-35).
Perosa 2000 = A. Perosa, Scritti di filologia umanistica, 3 voll., cur. P. Viti, Roma, 2000, vol. II: Quattrocento fiorentino.
Terzaghi 1939 = rec. a Perosa, “Leonardo” X, 7-8, 1939, 234-239.
Terzaghi 1940 = N. Terzaghi, Critica congetturale, anche se i testi sieno umanistici, “ASNP” 9 (ser. 2), 1940, 210-216.