La cultura antiquaria nell’Italia dell’Ottocento fa capo a numerose figure di eruditi che si dedicarono alla storia del loro territorio, continuando una tradizione di studi, già forte nel secolo precedente e rappresentata fra gli altri dal veronese Scipione Maffei.
In questo periodo, accanto a studiosi del livello di un Canina, di un Fea, di un Cavedoni, di un De Rossi, di un Nibby e soprattutto di un Borghesi, la personalità del gesuita napoletano Raffaele Garrucci (1812-1885), seppure spesso accostata a studiosi ritenuti all’epoca minori come Giovanni Labus, Giuseppe Furlanetto e Camillo Ramelli, appare senza dubbio come una delle più interessanti. La sua avventura intellettuale può essere ricostruita attraverso una rete di relazioni che lo introdussero nel variegato mondo della cultura storico-archeologica italiana ed europea, relazioni ben documentate dai carteggi tuttora conservati.
Il presente volume, curato da Claudio Ferone e da Laurentino García y García, ripropone alcuni articoli del Garrucci pubblicati nel “Bullettino Archeologico Napolitano” dal 1852 al 1853 e di difficile reperimento, oltre a quella che risulta essere la sua opera più significativa: le Questioni pompeiane, pubblicate a Napoli nel 1853.
Esso si apre con una breve biografia dell’autore, Brevi notizie bio-bibliografiche su Raffaele Garrucci con documenti inediti (pp. 11-22), e si conclude con Gli studi pompeiani di Raffaele Garrucci (pp. 191-202) e la Bibliografia completa di Raffaele Garrucci sulle antichità pompeiane (pp. 203-209).
Le Questioni pompeiane (pp. 31-170), nel quale il Garrucci riunì gli articoli di argomento pompeiano pubblicati nel “Bullettino Archeologico Pompeiano”, ebbe, sin dal suo apparire indole … litigiosa, come lo stesso autore amò definirlo. “Sono pochi i pompeianisti che lo citano eppure l’autore in queste poche pagine ebbe il merito di affrontare diverse questioni di rilevante importanza fino allora non mai trattate né chiarite. Gli va inoltre riconosciuto il primato cronologico di diverse identificazioni di strutture e monumenti pompeiani che risultano valide ancora oggi” (Ferone, p. 7).
A corollario delle Questioni pompeiane, i curatori del volume forniscono un aggiornamento delle fonti letterarie, bibliografiche ed epigrafiche (pp. 171-181) utilizzate dal gesuita napoletano.
Gli articoli qui riproposti, a detta di García, non sono né vogliono essere una semplice ristampa degli scritti del Garrucci ma si pongono come una nuova edizione commentata e corredata di note bibliografiche. Tra di essi spiccano il raro opuscolo dedicato ad un’iscrizione anforaria pompeiana ( Intorno alla leggenda Vespasiano. III. et. filio. C~S scritta sul collo di un’anfora recentemente scavata in Pompei, Napoli 1851: cfr. pp. 23-30), di grande importanza storica per la ricostruzione dei Fasti consolari del 71 d.C., la Giunta all’articolo: “Il tribunale della basilica pompeiana quando, e da chi costruito” (Napoli 1853: cfr. pp. 183-184) e il contributo Sull’epoca dell’anfiteatro pompeiano lettera del Ch. Garrucci all’editore del Bullettino (Napoli 1861: cfr. pp. 185-190).
Oltre alle Questioni pompeiane, il Garrucci pubblicò altre tre monografie pertinenti sempre alle aree flegrea, vesuviana e sannitica: Antichità dei Liguri Bebiani raccolte e descritte da P. Raffaele Garrucci della Compagnia di Gesù (1845); Storia di Isernia raccolta dagli antichi monumenti (1848); Classis praetoriae misenatis piae victrici Gordianae Philippianae monumenta quae extant, studio collecta et commentariis illustrata a P. R. Garrucci (1852: la data di pubblicazione di quest’ultimo lavoro è interessante in quanto coincide con quella delle Inscriptiones Regni Neapolitani Latinae del Mommsen).
In questi scritti si evidenzia con chiarezza la peculiarità della produzione scientifica del Garrucci: il dominio assoluto delle lingue classiche, la conoscenza profonda dei dialetti italici e della storia dell’Italia antica, soprattutto sulla base della documentazione epigrafica e numismatica.
Con le Antichità dei Liguri Bebiani il gesuita napoletano forniva un primo studio ed una trascrizione parziale di uno dei più importanti documenti epigrafici dell’Italia meridionale, attestante l’ institutio alimentaria traianea nel territorio dei Liguri Bebiani. La pubblicazione di quest’opera segnò l’inizio di quelle aspre polemiche con i membri dell’Istituto di Corrispondenza archeologica in Roma, in primis con il Mommsen, che ebbero un peso determinante nella vita e nella fortuna scientifica del Garrucci. Erano infatti quelli gli anni in cui l’Accademia delle Scienze di Berlino compiva il progetto del CIL e il Mommsen attraversava le contrade e le città del Regno di Napoli per l’allestimento delle Inscriptiones Regni Neapolitani Latinae, opera che doveva fungere da banco di prova generale per il futuro CIL.
Il Garrucci avrebbe tanto voluto partecipare all’impresa, come egli stesso afferma nella prefazione al lavoro sulla flotta di Miseno, e il senso della polemica contro la dittatoria alemanna è ben chiarito da una sua lettera, senza data, al Minervini, in cui auspica una miglior difesa contro l’invasione della ricerca tedesca e una minore ammirazione per tutto ciò che si chiama il risultato degli studi d’oltremonte (Biblioteca Apostolica Vaticana, Autografi Ferrajoli, sez. IV, nn. 1931-1932).
Vale infine la pena di ricordare le Inscriptions gravées au trait sur les murs de Pompéi (Bruxelles 1854; II edizione col titolo Graffiti de Pompéi, Paris 1856), opera che, nonostante il giudizio negativo espresso dallo Zangemeister (CIL IV, p.
Gli interessi del gesuita napoletano per gli aspetti paleografici dell’epigrafia latina, specialmente quella di età repubblicana, sono inoltre documentati da una serie di studi, tra i quali occorre segnalare I segni delle lapidi latine volgarmente detti accenti (Roma 1857) — lavoro premiato dall’Académie des inscriptions et belles lettres e salutato con grande favore anche dai suoi avversari (cfr. la recensione di W. Henzen nel “Bullettino dell’Instituto di corrispondenza archeologica”, XXX 1858, p. 48), col quale il Garrucci stabilì la vera natura dell’ apex e del sicilicus nelle iscrizioni latine — e il lungo saggio Dei canoni epigrafici di Federico Ritschl e di alcune epigrafi arcaiche finora inedite (in “La Civiltà Cattolica”, XXI 1870, 9, pp. 419-430, 649-663; 10, pp. 163-178), nel quale, discutendo dell’opera del Ritschl, Priscae Latinitatis monumenta epigraphica (Berolini 1862), ebbe modo di precisare importanti questioni pertinenti agli aspetti paleografici di alcune iscrizioni latine arcaiche.
I risultati di questi studi confluirono poi nell’ampia premessa teorica alla Sylloge inscriptionum Latinarum aevi Romanae reipublicae usque ad C. Iulium Caesarem plenissima, Augustae Taurinorum 1875, che in due distinte sezioni, numismatica ed epigrafica, raccoglie tutte le iscrizioni latine fino alla morte di Cesare.
Al di là dei risultati raggiunti, sempre al vaglio della storiografia contemporanea e passibili di rettifiche e revisioni, l’esigenza dell’autopsia dei monumenti costituisce l’aspetto più importante del metodo scientifico del Garrucci, che riteneva dovere di ogni epigrafista di vedere da sé medesimo gli originali e trascriverli ( Le antiche iscrizioni di Benevento, Roma 1875, p. V).
Da quanto detto, risultano evidenti i motivi per cui il lavoro di Ferone e di García è utile, dato che si inserisce in quel filone di rinnovato interesse per una storiografia generalmente considerata minore, storiografia in cui la figura di Raffaele Garrucci spicca in quanto personalità non locale ma internazionale, sicuramente più complessa e poliedrica di quanto si sia finora ritenuto.