Alain H. Sommerstein ha dedicato gran parte dei suoi studi al teatro greco: oltre all’edizione, commentata e tradotta, di tutto Aristofane (Aris & Phillips, 1980 ss.) e a molti interventi in periodici scientifici, volumi collettivi e atti di convegni, per Eschilo in particolare la comunità scientifica gli è debitrice, tra l’altro, dell’edizione commentata delle Eumenidi (Cambridge 1989), che a distanza di vent’anni costituisce tuttora punto di riferimento critico, e dell’esemplare monografia di sintesi Aeschylean Tragedy (Bari 1986). Nelle pagine premesse a ognuno dei tre volumi di cui consta tutta l’edizione, Sommerstein rileva che da tempo nella collana Loeb era dovuta ad Eschilo una edizione aggiornata, sulle orme delle precedenti edizioni di Menandro, Aristofane, Euripide e Sofocle, fornita di una traduzione intelligibile al lettore moderno. Una lettura attenta (e non disinteressata) di una parte dell’opera basta a garantire della bontà del risultato ottenuto. La traduzione è senza dubbio gradevole ed efficace, anche se il recensore non è in grado di valutarla con la competenza di un madrelingua, il testo comunque è qualcosa di più di un testo aggiornato: esso costituisce la testimonianza dell’impegno di uno studioso intelligente e serio alle prese con un testo altamente problematico, sul quale si sono cimentati alcuni filologi tra i maggiori d’Europa; il suo immediato termine di confronto è l’Eschilo teubneriano di M. L. West, uno strumento di lavoro che ha suscitato spesso critiche vivaci per le conclusioni cui è giunto ma in ogni caso l’ammirazione per l’approfondimento della documentazione e il rigore delle analisi su cui è fondato. Si deve anche aggiungere che Sommerstein non sembra condividere la prospettiva che Bruno Gentili e molti studiosi con lui hanno assunto riguardo alla colometria dei manoscritti medievali (basta aprire una pagina dell’edizione e confrontarla con le analisi di Th. J. Fleming, The Colometry of Aeschylus, a c. di G. Galvani, Amsterdam 2007), e che egli condivide con la massima parte dei filologi di scuola anglosassone la tendenza rispettabile a correggere un testo problematico piuttosto che approfondirlo alla ricerca di un senso condivisibile. L’una e l’altra sono scelte che possono essere discusse, e nel caso della prima la discussione è in corso, anche con qualche punta che potrebbe sembrare vivace: chi scrive non intende rinunciare a mettere in luce i contributi importanti che gli sembra di ravvisare leggendo questi volumi. Indico qui di seguito alcune scelte testuali che mi sembra possano caratterizzare questa edizione.
Ag. 48 μέγαν concordato con Ἄρη è la lezione dei mss., ultimamente accolta da Fraenkel e West, “for a mighty war” (così intende Fraenkel, assumendo il valore metaforico di Ἄ)ρη), μέγαλ’, acc. avverbiale, “chiamando a gran voce”, è quella di Sommerstein che segue un suggerimento di Page fondato sul parallelo di Hom. Il. 16. 428, μεγάλα κλάζοντε. La proposta è seducente, e porta il segno del genio di Page che l’ha formulata, ma non è detto che Eschilo debba sempre adeguarsi a un ipotizzato modello omerico, e μέγαν… Ἄρη dà un senso eccellente; in un caso analogo Timpanaro disse di un emendamento, anch’esso proposto da un illustre maestro, che ‘non sarebbe cattivo, se fosse necessario’.
Ag. 52 (50 Page, 51 West) ὕπατοι λεχέων, “high above their eyries”, intende Sommerstein, leggendo con i manoscritti, e accogliendo senza problemi un testo che viene comunemente crocifisso; questa operazione mi sembra decisamente positiva.
Ag. 140 καλά di MV, problematico per il senso, è corretto nei tricliniani in ἁ καλά, appellativo rituale di Artemis, accettato tra gli altri da Wilamowitz, Murray e Page. West ha criticato in apparato questa variante come un dimeter pravus, sulla base della estensione della legge di Porson ai dimetri giambici lirici ipotizzata a suo tempo dalla Parker, accogliendo quindi la vecchia congettura di Badham Ἑκάτα che modifica drasticamente la tradizione; credo che Sommerstein abbia fatto bene a ritornare alla lezione comunemente accolta. Per il problema metrico, cf. anche M. C. Martinelli in Lexis 22, 2004, 158-59.
Cho. 3ab (= 3 bc West). Questo frammento, indicato per la prima volta da Hermann (ma nelle Adnotationes, non nell’edizione che le introduce, e trascurato dai successivi editori), è stato portato a testo da West, nella disposizione che si addiceva alla misura dei trimetri, e allo stato della ricerca mi sembra ragionevole comprenderlo; non meno ragionevole pare poi la scelta di omettere i frr. 3a e 7a West, sui quali è difficile raggiungere una certezza adeguata (cf. a questo proposito Di Benedetto, Hermes 121, 1993, 29-34 [= Di B., Il richiamo del testo, III, Pisa 2007, 1233-36]).
Cho. 61 ss. Nel groviglio quasi inestricabile della seconda antistrofe della parodos Sommerstein si sforza di far luce sostituendo al v. 62, a τοῖς μὲν del ms., τοὺς μὲν, seguendo la parafrasi di uno scolio e la proposta di Turnebus e facendone oggetto di ἐπισκοπεῖ. La soluzione è brillante, ma non so bene se da uno scolio che recita τοῖς μὲν · ἀντί τοὺς μὲν si possa ricavare a testo τοὺς μὲν : esso indica che il termine glossato, quale che fosse, stava al posto di τοὺς μὲν, e quindi τοὺς μὲν certamente non era. Questa mi sembra l’unica certezza che si possa dedurre.
Cho. 68 ss. Nella terza strofe Sommerstein recupera, tranne che per l’integrazione [‘d’] al v. 68, la soluzione proposta da West, ivi compresa l’espunzione di βρύειν alla fine ‘ del v. 69. La difficoltà che vedo in questa sistemazione è che la soluzione più credibile per rendersi conto di come sia avvenuta l’inserzione erronea del v. 70 nel testo che ci è giunto (= 65 τοὺς ’δ’ἄκραντος ἔχει νύξ) è pensare che la ripetizione di βρύειν alla fine ‘ del verso 69 come del 64 abbia attratto meccanicamente con sé quella del verso che seguiva l’infinito nella seconda antistrofe.
Cho. 78: il testo di M, πρέ’ποντ’ ἀρχὰς, accolto da Murray e West, è modificato da Sommerstein, che accetta la congettura di Wilamowitz, ἀρχὰς πρέπον. Questa suggerisce un testo assai più lineare: non so se questo sia un motivo sufficiente per introdurlo in un testo che molto lineare non è, ma la ripresa di Sommerstein merita riflessione.
Cho. 91 s.: come già Page e West, Sommerstein accoglie la trasposizione suggerita da Diggle ( CR 20, 1970, 267-79) dopo il v. 99. Osservava allora Diggle che Elettra considera tre alternative: la prima (vv. 89-90) di eseguire l’ordine di Clitemestra e offrire la libagione come segno dell’amore devoto di lei verso il marito; la seconda (vv. 93-95) di compiere l’offerta pronunciando con distacco la formula rituale, di ricambiare l’uguale a chi la invia, oppure (terza) di versare la libagione in sprezzante silenzio, e andarsene via gettando l’urna come se fosse immondizia. Dopo aver enunciato la prima alternativa, secondo il testo del manoscritto, Elettra si interrompe dicendo “non mi assiste il coraggio di farlo, e non so cosa dire versando questo unguento sulla tomba di mio padre (vv. 91 s.)”. Già Sievers aveva proposto di espungere questi due versi, e Weil li aveva spostati dopo il v. 95; Diggle osserva che θάρσος si adatta solo alla terza alternativa, l’unica che può essere considerata coraggiosa, e che per mantenere l’ordine tradizionale θάρσος dovrebbe valere “impudenza”, un significato che questa parola non ha mai in tragedia. A questo proposito già H. Erbse, Versumstellungen in der griechischen Tragödie, ICS 6 (1981) 24-43 esprime i suoi dubbi e A.F. Garvie, Aeschylus Choephori, Oxford 1986, 69 conclude la sua analisi “it seems best to retain M’s line-order”; così si esprime pure L. Battezzato, in una breve nota all’edizione dell’ Orestea uscita nel 1995 a Milano con un’introduzione di V. Di Benedetto, traduzioni e note dello stesso Battezzato, di E. Medda e di M.P. Pattoni. Si potrebbe forse aggiungere che Elettra è sconvolta soprattutto dall’idea di offrire la libagione secondo l’intenzione della madre, un atto che sarebbe stato chiaramente oltraggioso per Agamennone: ella non osa fare un simile affronto ; il rifiuto è così violento che ella non può proseguire nell’enunciazione delle tre possibilità che lei ha in mente, ma deve dar ragione del suo turbamento. Questo non darebbe a θάρσος il valore di “impudenza” che Diggle trova inaccettabile, né d’altronde si potrebbe escludere che la situazione specialissima in cui Elettra si trova possa averle sollecitato la formazione di un hapax semantico che è apparso a qualcuno forzato.
Cho. 131: la proposta di Schneidewin φῶς ἄναψον ἐν δόμοις è ormai accettata pacificamente da tutti gli editori dopo Wilamowitz. Non faremo carico a Sommerstein di averla recepita nel suo testo, ma non saprei se non si possa escogitare qualcosa che sia meno lontano dalla lezione manoscritta πῶς ἀνάξομεν δόμοις. Forse un dubitativo πῶς ἀνάξωμεν δόμοις ?
Rispetto alle due prime tragedie della trilogia, diversa è la situazione delle Eumenidi, per le quali Sommerstein ha pubblicato da tempo l’edizione commentata di cui si è detto: ovviamente, trovandosi nella situazione di possedere un testo ben collaudato di questa tragedia nel momento in cui si accingeva a pubblicare tutto Eschilo, egli si è appoggiato sul lavoro già fatto; scorrendo qualche centinaio di versi, non ho trovato sensibili variazioni del testo fissato, anche se le note sono puntualmente aggiornate. A questo proposito non ho capito perché l’espunzione dei vv. 104 s., attribuita nel 1989 a Schütz, sia ora attribuita a Linwood, che ha pubblicato una edizione delle Eumenidi cinquant’anni dopo la prima di Schütz; nella seconda del 1808, che ho più accessibile, l’editore non espunge materialmente i versi, ma scrive che essi “sane si deessent, nemo desideraret; imo gratam orationis perpetuitatem male interturbant”.
Nel complesso il secondo volume di questo Eschilo si presenta come un prodotto di alta classe; nella linea della moderna ecdotica eschilea e in rapporto con il suo immediato predecessore, ha sue caratteristiche che lo individuano chiaramente. Talora modera certe arditezze di West (cf. il caso di Ag. 140), talora ritorna a proposte precedenti, talora infine ne suggerisce suo marte, sempre con la consapevolezza che la comunità scientifica ben gli riconosce. L’apparato critico e le note esegetiche hanno una misura che eccede le caratteristiche della collana, e Sommerstein è ben grato all’editor di essa per avergli concesso questa possibilità: questa scelta consente al lettore di aver a che fare con un testo consapevolmente costituito e aggiornato al 2007, cosa decisamente preziosa dato che la seconda edizione di West ha solo eliminato i refusi tipografici della prima.
L’edizione dei frammenti non intende soppiantare quella monumentale di Radt, ma apporta a quella i contributi fatti in ventidue anni di studi, dovuti in parte allo stesso Sommerstein, che ha anche rivalutato molte proposte non condivise dal precedente editore, e si fa apprezzare per sostanziose introduzioni ai singoli drammi e precise annotazioni: così il fr. 23 (= 23.1 R. + tr. adesp. 114 K.) è integrato secondo la proposta di Kannicht, il fr. 23 a (= 23.2 R. + 341 R.) secondo quella di West, Studies, il fr. 25 a recepisce tre correzioni, due di Heyne e una di Burzacchini. La quantità degli interventi mette in evidenza la profondità dello scavo compiuto da Sommerstein, che come si vede non si è limitato agli aggiornamenti con la bibliografia più recente, ma ha ripensato i problemi della costituzione di ogni frammento. Le caratteristiche specifiche della collezione Loeb, di fornire al lettore elementi precisi di orientamento per chi non ha bisogno di affrontare sistematicamente lo studio della tradizione di ognuno dei testi, sono felicemente sfruttate da Sommerstein a questo scopo e risultano preziose nel caso di testi frammentari, che richiedono un inquadramento del testo nell’ambito della tradizione erudita. Sommerstein ha limitato la sua scelta ai frammenti costituiti di un intero verso o di due emistichi consecutivi, con vistose eccezioni per quelli papiracei, “so long as they preserve enough to provide a reasonable clue to the subject-matter of a passage”. Con tutto questo la selezione che questo volume offre è rilevante.
Nel complesso questa edizione costituisce uno strumento di primissimo ordine per lo studio del poeta di Eleusi. E’ inevitabile che di fronte a un testo tanto problematico le scelte siano spesso diverse e le opinioni sui singoli luoghi contrastino, ma la ricchezza dei suggerimenti e la consapevolezza con cui sono formulati meritano la considerazione e la massima stima di tutti.