Il ruolo della rabbia nell’azione giudiziaria greca è al centro di questo volume che si apre prendendo le mosse da un vecchio film degli anni Cinquanta, intitolato Twelve Angry Men, in cui si racconta la storia di un giovane accusato di parricidio, sulla cui condanna a morte sono chiamati a decidere dodici giurati. I componenti di questa giuria appaiono animati da rabbiosi pregiudizi e sentimenti di rivalsa nei confronti dell’imputato e del suo crimine. Uno solo riesce a insinuare nel, corso del dibattimento, un ragionevole dubbio che, poco per volta, sgretola l’impianto accusatorio e le convinzioni degli altri undici giurati, smascherandone il cinismo, la superficialità e le arbitrarie preclusioni. Prendendo spunto da questa pellicola, l’Autore si propone di esplorare, nel mondo greco, il peso della collera nell’emanazione di una sentenza e come essa sia, in fin dei conti, esito di un’aspirazione alla vendetta, che un’offesa arrecata all’onore genera.
Il volume inizia con un’introduzione metodologica, in cui l’Autore illustra le tappe del suo percorso che mira a esaminare i passi in cui il trinomio onore-rabbia-vendetta ricorre sia nei poemi omerici sia all’interno del corpus degli oratori attici, con l’obiettivo di evidenziare elementi di continuità tra la gestione della giustizia nella società omerica e nell’Atene classica. In queste pagine introduttive, egli propone un breve status quaestionis e difende la maniera con cui ha costruito il dossier documentario, escludendo deliberatamente le tragedie, già troppo studiate. Infine, previene eventuali obiezioni da parte dei lettori rispetto alla sua scelta di mettere a confronto il mondo omerico con le forme di gestione della giustizia che emergono dalle orazioni attiche, puntualizzando come anche Aristotele non esitava a fare ricorso a Omero per illustrare l’importanza dell’appello a specifiche emozioni da parte degli oratori, al fine di orientare la decisione dei giudici.
Il primo capitolo del volume, intitolato Anger and the Community in Homeric Society, si concentra sui poemi omerici, sforzandosi di mostrare come i diversi termini che vi sono impiegati, per raccontare la rabbia, l’irritazione, così come anche le manifestazioni fisiche della collera (quali per esempio cholos, kotos e menis o il verbo skyzomai) corrispondano nella sostanza al concetto aristotelico di orge. Il filosofo individuava in questa nozione il sentimento di ira che si concretizza in un desiderio di vendetta, accompagnato dal dolore ingenerato da un’offesa immeritata nei confronti di un individuo o di qualcuno cui esso è legato (Arist. Rhet. 2.2.1). Tale definizione, secondo l’Autore, si adatta particolarmente agli eroi omerici le cui reazioni colleriche, benché originate da un’ampia varietà di situazioni, risultano sempre innescate dalla percezione di un’offesa arrecata al loro onore, da cui scaturisce la ferma volontà di porvi riparo (p.47).
Il secondo capitolo, dal titolo Revenge and Community in Homeric Society, è dedicato proprio alla vendetta, quale strumento principale per riaffermare l’onore perduto a seguito di un’offesa ricevuta di fronte alla comunità di riferimento. L’Autore mostra, in queste pagine, come, tanto nelle relazioni tra mortali, quanto in quelle tra immortali, l’appello alla vendetta a seguito di un’offesa ricevuta sia anche l’esito di una pressione sociale che impone all’individuo di rispondere adeguatamente, anche per mettersi, in futuro, a riparo da eventuali altre ingiurie. Il ricordo infatti della reazione mostrata in precedenza, rispetto ad offese analoghe subite in passato, finisce per avere una funzione deterrente che protegge da ulteriori oltraggi, come accade nel quindicesimo libro dell’Iliade, quando Zeus, svegliandosi sul monte Ida, prende coscienza che la battaglia presso le navi sta mettendo a mal partito i Troiani, ai quali aveva accordato seppure temporaneamente la sua protezione, e ricorda a Era la punizione che dovette subire da lui, quando sottraendosi al suo imperio divino aveva lasciato suo figlio Eracle sul mare alla deriva (Hom. Il. XV 18-34). L’Autore puntualizza inoltre che non è necessario che la vendetta giunga a segno immediatamente: Achille, per esempio, nel primo libro dell’Iliade, trattiene la sua rabbia e rinuncia a colpire Agamennone (Hom. Il. I 186-192). L’eroe che ritarda la propria reazione, però, può vedere il proprio prestigio diminuire progressivamente, a meno che, questa scelta, non faccia parte di una strategia ben precisa, volta a pianificare la propria vendetta, come avviene nel caso di Odisseo che, una volta giunto a Itaca, subisce tutta una serie di affronti da parte dei pretendenti, prima di trovare l’occasione giusta per regolare, per bene, i conti rimasti in sospeso.
Il terzo capitolo, Punishment and the State in Homeric Society, sposta il fuoco sulle forme dell’amministrazione della giustizia nella società omerica, esaminando la celebre scena del processo rappresentata sullo scudo di Achille, nel diciottesimo libro dell’Iliade, da cui emerge il peso della collettività sulle sentenze dei giudici (Hom. Il. 497-508). Benché la giustizia appaia infatti amministrata dal singolo o da un’élite ristretta, essa doveva tenere conto di una certa pressione sociale e del sentimento di indignazione che un verdetto sgradito avrebbe potuto generare. A questo proposito, l’Autore dedica un intero paragrafo all’emozione della nemesis nel mondo omerico, su cui il confronto con la Retorica di Aristotele, di cui si era avvalso, a più riprese, nei capitoli precedenti, avrebbe potuto fornire ulteriori spunti di riflessione. La conclusione di questa prima parte è che, già all’interno della società omerica, la reazione ad un’offesa non era un mero atto privato. I poemi omerici descrivono, secondo l’Autore, una sorta di “stato” cui era demandato il compito di sollecitare la rabbia della comunità in risposta a crimini contro l’onore collettivo (p. 108).
Terminata questa prima sezione, la seconda parte del volume si concentra sulla nozione di castigo nell’Atene classica, proseguendo l’indagine sugli elementi di continuità e discontinuità con il mondo omerico. Nel quarto capitolo, Punishment and Anger in the Athenian Courts, l’Autore esplora la base emotiva dei termini, legati al castigo che ricorrono nel corpus degli oratori attici (timoria, kolasis, diken lambano/didomi, zemia) e evidenzia come, persino all’interno di una polis democratica come Atene, con un sistema giudiziario ben organizzato e regolato, l’azione punitiva fosse profondamente marcata dalla collera, sollecitata dagli oratori stessi, che si davano da fare al fine di persuadere i giudici che in gioco vi era un’offesa arrecata all’intero demos.
Il quinto capitolo, Moral Authority and the Appeal to Anger, si concentra sull’analisi degli appelli espliciti alla collera che appaiono sulla maggior parte dei ventinove discorsi di accusa giunti fino a noi. Per i cinque discorsi in cui l’invito alla rabbia non compare, l’Autore individua delle precise motivazioni: infatti, talora si tratta di opere pervenute in maniera troppo frammentaria per postularne l’assenza; mentre, in altri casi, è possibile ipotizzare che i querelanti stessi ritenessero di non possedere la sufficiente autorità morale per servirsene. Questo avveniva solitamente quando vi era un sospetto di sicofantia o se l’accusatore era troppo giovane. In quest’ultima ipotesi, egli però poteva strategicamente fare ricorso al passato, evocando il ricordo di processi che avevano già sollecitato la rabbia dei giudici, a patto che riuscisse a dimostrare che la questione in ballo metteva in gioco offese contro la collettività analoghe a quelle dibattute in occasioni precedenti. L’appello alla collera dei giudici non mancava nemmeno nelle cause di diritto privato, come emerge dall’analisi condotta dall’Autore nel sesto capitolo, Public Offence and Private Procedure. In casi particolari, quando cioè le controversie private risultavano avere risvolti per la tenuta dello stato o minavano alla base il funzionamento della giustizia, oltraggiando i giudici e tribunali, come per esempio nei reati di falsa testimonianza, un appello alla collera e alla conseguente sanzione era analogamente sollecitato.
L’ultimo capitolo, Homicide, Impiety and the Myth of Angerless Punishment, esamina le cause di omicidio e quelle di empietà, sulle quali però il materiale documentario appare limitato solo a sei discorsi. Qui ll’Autore evidenzia l’assenza di un lessico riconducibile alla collera che, se anche tirata in ballo, non appare sollecitata presso i giudici o la collettività, ma semmai presso defunti che reclamano vendetta o gli dèi oltraggiati da azioni empie. In questi ultimi contesti, sono piuttosto altre le emozioni che vengono più specificamente chiamate in causa, come la vergogna, il senso di colpa, o la paura.
Il volume termina con alcune osservazioni conclusive in cui l’Autore riprende, punto per punto, le fila della sua argomentazione, e torna a sottolineare come la stessa Atene classica, benché rigorosamente disciplinata dal punto di vista giudiziario, non abbia, in realtà, del tutto chiuso la porta alla vendetta, motivata da ragioni emotive, come strumento di regolazione delle controversie, e non sia quindi nella sostanza troppo diversa dalla società omerica, a dispetto della distanza temporale che separa questi due contesti. Il confronto tra il mondo raccontato da Omero e la realtà che emerge dalle orazioni attiche, benché lontani nel tempo e ricostruibili sulla base della rappresentazione derivante da due genere letterari completamente diversi, dovrebbe mirare a valorizzare le analogie piuttosto che le differenze. L’analisi dei discorsi forensi, infatti, dimostrerebbe una persistenza del principio in base al quale la punizione, benché inflitta da una comunità poleica, era motivata dal moto di collera generato da un’offesa. Secondo l’Autore era proprio questa dinamica emotiva a conferire legittimità alla sanzione. Una punizione inflitta senza rabbia era considerata ingiusta e inutile. Per essere legittima essa doveva procedere da un’attenta ricostruzione dei fatti, da cui potesse emergere con chiarezza l’affronto arrecato alla comunità.
Rispetto alla società omerica, determinati crimini nell’Atene classica, come per esempio gli atti di hybris o persino le calunnie, potevano essere interpretati come offese indirizzate non direttamente al singolo, ma al demos. Era quest’ultimo ad esercitare un potere sovrano nella polis e pertanto a stabilire quali comportamenti fossero da considerare ammissibili e quali invece censurabili. Queste pagine si chiudono con una ripresa dei temi trattati nel film Twelve Angry Men, da cui l’indagine dell’Autore aveva preso avvio, al fine di sottolineare l’importanza della componente emotiva quando essa è messa al servizio della giustizia. È, infatti, la frustrazione del dodicesimo giurato a innescare un’inversione di tendenza, rispetto a un’accusa di colpevolezza certa, e a fare vacillare, una dopo l’altra, le convinzioni degli altri giurati.
Un’appendice terminologica sugli appelli alla collera e all’applicazione delle pene nell’oratoria forense e indici molto curati corredano questo volume che, senza dubbio, ha il pregio di rigettare una lettura evoluzionistica della giustizia, mettendo in evidenza gli elementi di continuità tra il passato antichissimo dei Greci, raccontato nei poemi omerici, e le prassi giudiziarie dell’Atene classica. La bibliografia consultata purtroppo è, a parte qualche sporadica eccezione, esclusivamente, in lingua inglese. Stupisce che anche i lavori di Angelos Chaniotis[1] sulle emozioni nel mondo greco o quelli di Martha Nussbaum [2] vi abbiano trovato poco o nessuno spazio. Tuttavia, gli studiosi che indagano sul ruolo delle emozioni nella deliberazione pubblica e nei processi di amministrazione della giustizia troveranno, senz’altro, in queste pagine materia di riflessione.
Notes
[1] Per esempio: Angelos Chaniotis, Emotionen und Fiktionen: Gefühle in Politik, Gesellschaft und Religion der griechischen Antike, Darmstadt, 2023; Id., “Display, arousal, and performance of emotions: introduction” in Unveiling emotions. 3, Arousal, display, and performance of emotions in the Greek world, edited by Angelos Chaniotis. Heidelberger Althistorische Beiträge und Epigraphische Studien; 63, 9-30, Stuttgart 2021.
[2] Martha Nussbaum, Upheavals of Thought: The Intelligence of Emotions, Cambridge 2001.