Negli ultimi decenni il simposio gode di rinnovato interesse negli studi storico-culturali dell’antica Grecia: Renate Schlesier lo riconosce subito nel suo ‘opuscolo’, — definito così a p. IX, — che rielabora quattro conferenze al Münchner Zentrum für Antike Welten (MZAW) di Monaco, fra ottobre 2017 e giugno 2018.
Tre le tesi fondamentali del libro, riprese in sintesi nel quarto capitolo (che discute i legami di Saffo con la cultura del simposio): 1. il simposio non è istituzione originariamente, né esclusivamente, aristocratica; 2. non è esclusivamente maschile; 3. non ha primaria funzione pedagogico-normativa. Le conclusioni, redatte nell’autunno 2023, chiariscono fonti e approcci analitici, riassumendo risultati e questioni ancora aperte.
Innanzitutto, Schlesier esamina la sociologia del simposio, partendo dal presupposto che la concezione di questa istituzione sia stata influenzata dalle testimonianze di contesto storico e geografico dell’Atene classica (p. 4). L’acquisizione della competenza intellettuale della scrittura, evidente nella perizia tecnico-compositiva dell’iscrizione sulla Coppa di Nestore, induce Schlesier ad affermare una nuova gerarchia sociale, nella quale gli antichi valori di possesso terriero e forza bellica sarebbero stati superati dal nuovo dominio culturale di una classe composta da mercanti, medici, musicisti e artigiani vari, élite di professionisti coinvolti nella serie di processi socio-culturali dinamici nel Mediterraneo dell’VIII a.C. che ha contribuito all’istituzione del simposio. La principale argomentazione per un simposio originariamente non aristocratico è addotta dal contesto di ritrovamento della Coppa di Nestore a Pithekoussae e dai vasi potori di Methone di Pieria (Macedonia),[1] per analoghi contesti di scavo e reperti: in entrambi i siti archeologici la maggior parte dei ritrovamenti riguarda vasi e contenitori di argilla piuttosto semplici e piccoli; non sono state rinvenute né armi né gioielli; non sarebbe pertanto possibile ricostruire una composizione sociale aristocratica, ma sarebbe invece possibile ricostruire un simposio assai sobrio, nello “stile di Pithekoussae” (o più generalmente di tipo “euboico”, per via del legame tra Pithekoussae e Methone, diverso da quello che sarebbe diventato il simposio nello “stile greco” della madrepatria).[2]
Successivamente, Schlesier contesta l’idea che a simposio si imponga una gerarchia che subordina agli uomini adulti i giovani e le donne, a prescindere dal fatto che esse siano schiave, prostitute o etere. Per queste ultime, andrebbe considerata la possibilità che la loro presenza a simposio non sia banalmente ‘a servizio’ di quella maschile, ma regolata su uno statuto paritario e su un principio di uguaglianza di tutti i simposiasti, ipotizzando per le etere — secondo Schlesier — un ruolo di simposiaste al pari dei simposiasti.[3] La tesi troverebbe conferme nell’interpretazione (pp. 36-43) di alcune pitture vascolari; nonché nell’interpretazione di reperti fittili, soprattutto aryballoi, evidentemente appartenuti a donne e, forse, ascrivibili in parte a contesti simposiali quali doni da parte di simposiasti. In quanto probabile prima allusione ad una etera in un simposio, avrebbe forse meritato qui più spazio un’analisi più attenta dell’iscrizione sulla kotyle da Eretria (SEG 39.939, 735-725 a.C.)[4], solo rapidamente menzionata.
Schlesier intende dimostrare che il simposio non avrebbe la primaria funzione di istituzione pedagogico-normativa, ma piuttosto sarebbe luogo di sperimentazione culturale, anche attraverso forme di trasgressione che vengono ascritte ad ambito non greco: si porta l’esempio del frammento di Anacreonte 356 PMG, a proposito del quale Schlesier ritiene che i simposiasti accoglierebbero volontariamente le trasgressive usanze ‘scitiche’ nel bere vino; si discute anche la kylix London, BM E38 = 1843.1103.9 (ca. 510 a.C.), a conferma di analoga sperimentazione culturale, ove compaiono — secondo Schlesier in modo non rigidamente contrapposto — situazioni di simposio moderato e fattori di violenza sfrenata, cui alluderebbero gli strumenti impiegati dall’auleta e dalla danzatrice nel tondo, nonché il sacrificio di Busiride su un lato della coppa.
Il rapporto della poesia di Saffo con il simposio è indagato nella ricezione della sua produzione poetica da parte di ceramisti e pittori attici di VI-V a.C., in particolare Eufronio. Schlesier discute Lieblingsinschriften (del tipo παῖς καλός) presenti su vasi attici e la ricorrenza anche dello stilema παῖς καλή,[5] per ribadire che la lode della bellezza si inserisce in un contesto al contempo agonale ed erotico, perfettamente ascrivibile al simposio. In particolare, si intende dimostrare una certa conoscenza della poesia di Saffo da parte di Eufronio che nelle scene simposiali, in virtù del contenuto erotico di alcuni enunciati generici, avrebbe impiegato versi della poetessa, come rivelerebbe l’iscrizione sull’anfora Paris, Louvre G30 (515-510 a.C.): ΜΑΜΕ<Κ>ΑΠΟΤΕΟ, probabile citazione ‘creativa’ — secondo Schlesier — del fr. 36 V. καὶ ποθήω καὶ μάομαι.
Per sostenere la tesi di un simposio non aristocratico, alle argomentazioni archeologiche Schlesier aggiunge quelle legate all’onomastica riscontrabile sulle ceramiche attiche. Su un cratere a calice attribuito ad Eufronio (München, Antikensammlungen 8935, 520-510 a.C.) sono rappresentati quattro simposiasti indicati dal nome proprio: Ekphantides, Thodemos, Melas e Smikros. Siccome i primi tre nomi non confermano la tesi della presenza esclusiva di membri della aristocrazia a simposio, Schlesier ritiene che anche l’ultimo si possa ricondurre a un artigiano, un pittore, la cui firma e il cui nome compaiono anche su uno stamno coevo (Brüssels, Musées Royaux d’Art et Histoire A717, 520-500 a.C.). La coincidenza proverebbe la presenza a simposio anche di membri della classe artigiana, ammessi in virtù della loro alta competenza artistico-letteraria: questa maestria dei ceramografi nel comporre versi sarebbe dimostrata da un’anfora del medesimo Smikros (Berlin, Antikensammlung 1966.19, 510-500 a.C.), che sul lato B reca una problematica iscrizione, interpretata come gliconeo di senso allusivamente erotico-sessuale (ΝΕΤΕΝΑΡΕΝΕΤΕΝΕΤΟ: νήτην ἄρ<ρ>εν ἐτείνετο, pp.78-89). Sul collo di un’altra anfora a figure rosse di Eufronio (Paris, Louvre G30, 515-510 a.C.) compare il nome ΛΕΑΓΡΟΣ, di gran lunga il più popolare tra παῖδες καλοί (in circa ottanta vasi attici e sedici volte tra i vasi di Eufronio). Come ricorda Schlesier stessa, il nome Leagros coincide con quello di un cittadino ateniese, nato nel 535 ca., che donò una statua all’agorà (SEG 19.319), ma difficilmente potrebbe trattarsi dello stesso Leagros, stratego caduto in guerra nel 465 (Herodot. 9.75); Schlesier fa notare per contro che il nome è attestato anche per una famiglia del Ceramico tra il VI e il IV a.C., il che porta la studiosa a mettere in discussione l’identità aristocratica del Leagro rappresentato sui vasi di Eufronio. In generale, per dimostrare il carattere non esclusivamente aristocratico del simposio greco sarebbe forse stato opportuno chiedersi quante risorse economiche ed alimentari un uomo greco (tra l’VIII e il V a.C.) fosse disposto ad impiegare per intrattenere un gruppo di persone, pur ristretto, non appartenente alla propria famiglia, cioè per una funzione non di sussistenza.[6] Dato il progressivo accrescimento delle potenzialità economiche della classe artigianale, nulla vieta che uomini appartenenti a classi subalterne potessero assumere atteggiamenti, costumi e modi delle classi dominanti.
Nel discussione sulla presenza femminile a simposio, — per l’Autrice ancora sottovalutata, — sulle inclinazioni sessuali delle etere, nonché sulla realtà di ‘simposi di etere’ (secondo Schlesier intesi dagli interpreti un paradosso comico, quando non addirittura negati), è dedicato spazio ad un Psykter di Eufronio (San Pietroburgo, Hermitage B1650, ca. 505 a.C.), confrontato con un’hydria attribuita a Phintias (München, Antikensammlungen 2421, 550-500 a.C.). Sarebbe stato interessante anche un confronto con i noti ritratti di etere di Archiloco (frr. 30-31 W.2) e la descrizione degli spregiudicati atteggiamenti di Neera (Demosth. Contra Neera 33) — fonte per altro cronologicamente non così lontana dalle pitture esaminate dall’Autrice, — per tacere delle più tarde testimonianze di simposi di etere offerte da Alcifrone (4.13,11-15 e 4.14,4) e da Luciano (DMeretr. 3). Per ribadire che le etere fossero donne nient’affatto analfabete, interagenti a simposio paritariamente con gli uomini presenti, in qualità di professioniste delle arti, libere sia intellettualmente che sessualmente, l’attenzione di Schlesier si focalizza sul frammento (Anacr. fr. 358 PMG) della “Ragazza di Lesbo”, plausibilmente un’etera: Schlesier nota giustamente che per un pubblico antico (meglio, del VI a.C.) non era immediata l’associazione tra Lesbo e l’omoerotismo femminile, anche perché questa associazione è più tarda;[7] tuttavia Schlesier aderisce ancora all’idea che la sola menzione di una donna proveniente da Lesbo potesse alludere alla pratica della fellatio, per via del verbo λεσβιάζειν: il che, di nuovo, non è dimostrabile per l’età di Anacreonte.[8] Infine, Schlesier intende rivendicare libertà sessuale assoluta alla “Ragazza di Lesbo”, che preferirebbe una partner femminile, stando alla presunta ambiguità grammaticale del v. 8 πρὸς δ’ ἄλλην τινὰ χάσκει. Tuttavia, Hans Bernsdorff (2020, 473-75) esclude, su basi linguistiche, un interesse omoerotico da parte della ragazza:[9] il sottinteso più immediato, infatti, è qui πρὸς δ’ ἄλλην τινὰ (κόμην), “sta a bocca aperta verso un’altra chioma (di capelli)”, di un uomo più giovane.
Riguardo la tesi che il simposio non sia un’istituzione a carattere primariamente educativo, Schlesier non affronta la differenza tra istituzioni dai contenuti educativi e istituzioni dalle finalità educative; né rammenta che nella cultura greca arcaica e classica l’educazione avveniva con modalità partecipative e imitative, non con modalità didattiche. Ovvio che il simposio non avesse primaria finalità educativa, poiché finalità non ancora dichiaratamente esistente nel panorama culturale greco; tuttavia, indubbio anche del simposio il contenuto educativo, sul quale le fonti (e.g. Teognide) sono del tutto esplicite. Che il simposio del fr. 356 PMG di Anacreonte sia esempio di sperimentazione è possibile e nulla vieta che la smodatezza sia stata volontariamente adottata; ma pare anche evidente che alla presunta volontà di trasgressione, espressa nella prima parte del frammento, la seconda parte intenda porre un freno, esortando, attraverso il valore negativo di μηκέτι[10], ad interrompere la bevuta ‘scitica’. Quello che sicuramente va escluso, e che invece Schlesier ipotizza, con forzatura esegetica, in virtù del ‘topico’ δηὖτε, è la presenza nel frammento di qualsiasi riferimento erotico. Piuttosto, sarebbe stato auspicabile affrontare quella poesia simposiale a carattere programmatico (soprattutto Senofane e Teognide, ma anche Alceo per altri esempi di trasgressione), che descrive in senso normativo gli appropriati costumi da tenere a simposio.
In conclusione, Schlesier dimostra competenza nel trattamento della ricca e varia selezione di fonti archeologiche ed iconografiche, analizzate e presentate con un corredo di immagini a colori funzionale, richiamato in un comodo indice delle illustrazioni; per quanto invece riguarda le fonti letterarie, — opportunamente registrate nell’indice finale, — la misura esigua del volume non ha permesso all’Autrice di raccogliere più di una dozzina di frammenti della poesia greca arcaica (tre dei quali di Saffo) né di presentare un quadro interpretativo più ampio. In generale, il libro può costituire un’introduzione alla sociologia ed alla cultura del simposio, ricca di suggestioni e di facile lettura per i giovani studenti universitari di lingua tedesca, anche in virtù della curata veste tipografica.[11] D’altro canto, agli studiosi del simposio sono offerti quegli spunti di riflessione che l’Autrice auspica ai fini di un futuro rilancio del dibattito critico; e sotto questo aspetto, il lavoro può dirsi senz’altro riuscito.
Notes
[1] Cf. Tzifopoulos, Y.Z. – Besios, M. – Kotsonas, A. (2012) Methone Pierias I, Thessaloniki; Clay, J.S. – Malkin, I. – Tzifopoulos Y.Z. (2017) Panhellenes at Methone. Graphê in Late Geometric and Protoarchaic Methone, Macedonia (ca. 700 BCE). Berlin-Boston.
[2] Murray, O. (2018) The Symposion: Drinking Greek Style. Essays on Greek Pleasure 1983-2017, ed. by V. Cazzato. Oxford.
[3] Cf. De Marinis, S. (1966) s.v. Simposio, in Enciclopedia dell’Arte Antica, Roma: 317, che rimanda ai rilievi fittili di Larisa sull’Hermos e al rilievo da Taso (Mus. Istanbul 1947, ca. 460 a.C.).
[4] Cf. Palmisciano, R. (2018) “Eros in azione. Considerazioni pragmatiche sulla poesia erotica simposiale”, QUCC n.s. 120, 153-76: 158.
[5] Cf. Dettori, E. (2022) “Su due iscrizioni vascolari del tipo ‘καλός’, in Arbeid, B. – Ghisellini, E. – Luberto, M.R. (curr.) Ὀ παῖς καλός. Scritti di Archeologia offerti a Mario Iozzo per il suo sessantacinquesimo compleanno, Monte Compatri (Roma): 123-132.
[6] Sulla dialettica ἀναγκαῖα ~ ἔπιπλα del simposio, cf. Musti, D. (2001) Il simposio, Roma-Bari: 13-18.
[7] Luc. DMeretr. 5.2 e Λεσβία in Areta, cf. Cassio, A.C. (1983) “Post-Classical Λέσβιαι”, CQ n.s. 33: 296-97.
[8] Cf. Bernsdorff, H. (2020) Anacreon of Teos. Testimonia and Fragments, I-II. Oxford: II, 472.
[9] Pensare che un’etera potesse manifestare interessi omosessuali o bisessuali è del tutto lecito (cf. Cantarella, E. (2016, ediz. orig. 1988) Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, Milano: 120), ma non pare necessario ipotizzarlo qui.
[10] Questo il senso Bernsdorff (2020, 422), forse frainteso da Schlesier.
[11] Si segnala soltanto il carattere improprio per gli schemi metrici: p. 63 n. 17; p. 88.