BMCR 2025.04.23

Aristophanes fr. 305-391

, Aristophanes fr. 305-391. Fragmenta comica, 10.6. Göttingen: Verlag Antike, 2023. Pp. 409. ISBN 9783949189784.

La serie Fragmenta Comica collegata al progetto “KomFrag” facente capo all’università di Freiburg si è recentemente arricchita di un nuovo volume (10.6) interamente dedicato a una sezione di frammenti di Aristofane provenienti da commedie di cui è noto il titolo. Si tratta dei frammenti 305-391 secondo la numerazione di Kassel e Austin (PCG III 2). Questi ottantasette frammenti (a cui si aggiungono le relative testimonianze) appartengono a cinque commedie perdute di Aristofane: Εἰρήνη β´, Ἥρωες, Θεσμοφοριάζουσαι β´, Κώκαλος, Λήμνιαι. Come previsto dalle linee editoriali della collana, i frammenti riconducibili a ognuna di queste commedie sono preceduti da una preziosa introduzione generale in cui si prendono in esame problemi connessi al titolo, al contenuto e alla datazione delle singole opere perdute. L’edizione dei frammenti è accompagnata da una nuova traduzione e da un ricco commento lemmatico. A loro volta l’edizione e il commento seguono le convenzioni e la struttura ormai consolidate dei Fragmenta Comica.

Complice l’ordine alfabetico dei titoli, questo volume comprende ben due casi, peraltro molto problematici, di διασκευαί di commedie conservate (Pace II e Tesmoforiazuse II) e uno degli ultimi lavori del commediografo, il Cocalo, composto da Aristofane, ma messo in scena dal figlio Araros. Data la delicatezza e la complessità dei problemi coinvolti – problemi che richiedono una visione complessiva della carriera artistica di Aristofane e del suo modo di lavorare – non ci si può che rallegrare del fatto che ad occuparsene sia stata una grande esperta di Aristofane come l’autrice del volume[1]. Né il contenuto dell’opera tradisce le aspettative. Si tratta, infatti, di un lavoro che spicca per ricchezza di erudizione, lucidità e profondità di analisi, equilibrio di giudizio, chiarezza ed eleganza di scrittura. Un saggio di queste qualità si può apprezzare nelle pagine dedicate alla spinosissima questione della datazione di Tesmoforiazuse II (pp. 98-106), a proposito della quale l’autrice, basandosi su un esame puntuale delle diverse proposte finora avanzate, propende con cautela per la datazione tradizionale al biennio successivo al 411/10, anno in cui sarebbero state rappresentate le Tesmoforiazuse conservate. Analoghi pregi si trovano nel commento, dove la vasta documentazione raccolta – sempre accuratamente vagliata e valutata – aiuta a collocare i frammenti, per quanto possibile, nel loro contesto storico-culturale d’origine e ad apprezzarne le più sottili sfumature stilistiche. Allo stesso tempo, il testo dei frammenti, pur basato sull’edizione di Kassel e Austin, è stato sistematicamente rivisto e ripensato. Giova presentare brevemente alcune delle differenze più significative rispetto a PCG III 2.

Il fr. 332 contiene un lungo catalogo di accessori tipici dell’abbigliamento e della toeletta femminili interrotto a più riprese da espressioni ingiuriose (ὄλεθρον τὸν βαθύν, ἐλλέβορον, βάραθρον). Di solito queste inserzioni sono considerate esclamazioni lanciate dalla stessa persona loquens – verosimilmente di sesso maschile – a guisa di commenti esasperati sull’interminabile catalogo[2]. La soluzione brillante e innovativa dell’autrice è di considerare queste espressioni «inserzioni bomolochiche del secondo locutore» (p. 119). Di conseguenza, tanto nel testo quanto nella traduzione, i tre improperi sono attribuiti al personaggio “B”, al quale già si deve la breve interlocuzione del v. 9 (εἶτα τί;). La proposta ha l’indubbio vantaggio di eliminare la stranezza per cui il locutore principale (“A”) si lascerebbe andare a commenti ingiuriosi soltanto nel prima parte del catalogo (vv. 1-8) e non anche nella seconda (vv. 10-14)[3].

Nel fr. 333, laddove Kassel e Austin si limitano a mettere un punto interrogativo alla fine del v. 3, viene aggiunto – con Bothe – un punto interrogativo dopo ἰχθὺς ἐώνηταί τις (v. 1)[4], e – con Douglas Olson – un altro punto interrogativo alla fine del v. 2. In questo modo la sintassi risulta nel complesso molto più chiara: la seconda domanda, che sottintende ἐώνηται, funge da completamento e da chiarimento della prima (dove, peraltro, ἰχθὺς … τις non sembra essere sullo stesso piano delle alternative seguenti), mentre il passaggio alla terza domanda è marcato dal nuovo verbo ὀπτᾶτ(ο).

Nel fr. 340 l’autrice ha finemente proposto di vedere nelle parole οὐ δύναμαι φέρειν σκεύη τοσαῦτα e τὸν ὦμον θλίβομαι delle «battute convenzionali sul tema del servo che porta il bagaglio, che potevano essere elencate dalla persona loquens in un contesto di critica metateatrale analogo a quello presente all’inizio delle Rane» (p. 180). Di conseguenza, le parole in questione sono state virgolettate sia nel testo sia nella traduzione. La proposta può contare sul già menzionato forte parallelo del prologo delle Rane (si vedano in particolare i vv. 3-30), oltre che sul confronto con Ar. Th. 412, a p. 181, dove l’espressione διὰ τοὖπος τοδί, parallela al διά γε τοῦτο τοὖπος del frammento in questione, introduce la citazione di un verso euripideo[5]. La proposta è completata dalla scelta di stampare all’inizio del v. 1 ὥς (seguito da virgola) in luogo di ὡς, intendendo ὥς come «avverbio di modo introduttivo di un’esemplificazione» (p. 181). Tuttavia, in Aristofane non risultano altri casi di quest’uso e lo stesso avverbio ὥς si trova molto raramente.

Per quanto riguarda il fr. 347, al v. 1 è accolta a testo la semplicissima congettura di Kassel ἔτ’ ἦν in luogo dell’impossibile paradosi di Ateneo ἐστὶ ἡ, messa tra croci da Kassel e Austin. Al v. 2 è conservato il tràdito Κράτητί τε in luogo della correzione Κράτης τό τε di Kaibel stampata da Kassel e Austin; a Κράτητί τε si accompagna al v. 3 la correzione del tràdito ἐνόμιζεν in ἐνομίζετ’, proposta a suo tempo da Bergk e già approvata da Bonanno (1972, p. 137): dal punto di vista della ratio corruptelae si tratta senza dubbio di una soluzione più semplice ed elegante che intervenire su Κράτητί τε mantenendo ἐνόμιζεν. Sempre al v. 3 Kassel e Austin conservano il tràdito παρακεκλημένον, decisamente difficile da giustificare. Una certa fortuna ha avuto la correzione del Musuro παραβεβλημένον, posto che in alcuni casi παραβάλλειν viene utilizzato per indicare l’atto di gettare cibo alle bestie[6]. Tuttavia, in genere nell’archaia non si ha correptio Attica davanti ai nessi βλ e γλ, fatto che crea una difficoltà rispetto al tetrametro cretico-peonico qui utilizzato (cf. p. 203 e n. 106). Per questa ragione, l’autrice sceglie di stampare la congettura παρακεκλεμμένον, proposta dubitativamente da Kaibel, congettura che ha ad un tempo il vantaggio di superare la difficoltà metrica posta da παραβεβλημένον e di offrire un senso decisamente migliore rispetto al tràdito παρακεκλημένον. Per quanto non si abbiano altre notizie circa un furtum poetico compiuto da Cratete a proposito del τάριχος ἐλεφάντινον, si tratta di un motivo tutt’altro che estraneo alle riflessioni metateatrali di Aristofane (cf. p. 203 e n. 107). A ciò si aggiunga che con παρακεκλεμμένον anche il precedente ἀπόνως risulta ancora più pregnante: proprio perché la trovata di Cratete è stata rubata ad altri non è gli è costata fatica[7].

Il fr. 364, restituito da Ateneo (XI 478d), è un locus vexatus della critica aristofanea, come mostrano i numerosi tentativi di correzione fatti dalla fine del Settecento in poi (cf. pp. 249-252). Sulla stessa interpretazione metrica del passo non c’è consenso ed esso potrebbe essere corrotto in modo irreparabile. Tuttavia, l’autrice non ha rinunciato a un nuovo tentativo di ricostruzione complessivamente più economico di quelli precedentemente avanzati. Dal punto di vista metrico si individua nel passo una sequenza di cola enopliaci chiusi da un ferecrateo, mentre, per quel che riguarda la costituzione del testo, si accetta ai vv. 3-4 κεραμευσάμεναι κοτύλας μεγάλας di Blaydes in luogo del tràdito κεραμευομέναις κοτύλαις μεγάλαις e, al v. 6, οὐδένα κόσμον di Toup in luogo di οὐδὲν ἄκοσμον della tradizione di Ateneo[8].

In un lavoro di questa complessità è inevitabile che alcune soluzioni appaiano meno convincenti di altre. È il caso, ad esempio, della controversa espressione πάντα ταῦτ’ ἐχρῆτό μοι del fr. 305 (v. 3), espressione che, non a caso, è stata fatta oggetto in passato di diversi tentativi di correzione (cf. p. 18). L’autrice mantiene il testo tràdito, ma traduce “tutto questo essi trovano in me” (il soggetto è ricavato dal πᾶσιν ἀνθρώποισιν del v. 1). Tuttavia, non è facile estrarre questo senso da πάντα ταῦτ’ ἐχρῆτό μοι. Tutto considerato, se il testo è sano, forse la soluzione più semplice è quella di considerare Εἰρήνη, menzionata sempre al v. 1, soggetto di ἐχρῆτο: Γεωργία, cioè, direbbe di Εἰρήνη che “si serviva di me per tutte queste funzioni”, con riferimento ai ruoli elencati subito prima[9].

Le oltre quaranta pagine di bibliografia (pp. 313-359) danno un’idea del dominio della materia da parte dell’autrice e della scrupolosità nel tenere conto del progresso scientifico[10]. I quattro indici analitici che chiudono il volume permettono di orientarsi agevolmente al suo interno. Nel complesso il volume pare molto curato: i refusi sono pochi e di poco conto[11].

Questa presentazione, di necessità selettiva, non rende naturalmente giustizia alla ricchezza di questo libro. Si spera, tuttavia, di aver fatto capire che, senza alcun dubbio, questo lavoro resterà a lungo un imprescindibile punto di riferimento per chiunque si interessi di Aristofane e dell’archaia.

 

Riferimenti bibliografici citati

Bonanno 1972 = M.G. Bonanno, Studi su Cratete comico, Padova 1972.

Cullhed-Douglas Olson 2022 = E. Cullhed-S. Douglas Olson (eds.), Eustathius of Thessalonica. Commentary on the Odyssey, Vol. 1: Preface and commentary on Rhapsodies 1-4, Leiden-Boston 2022.

Cullhed-Douglas Olson 2023 = E. Cullhed-S. Douglas Olson (eds.), Eustathius of Thessalonica. Commentary on the Odyssey, Vol. 2: Commentary on Rhapsodies 5-8, Leiden-Boston 2023.

Dorandi 2013 = T. Dorandi (ed.), Diogenes Laertius. Lives of Eminent Philosophers, Cambridge 2013.

Henderson 2007 = J. Henderson (ed.), Aristophanes, Fragments, Cambridge MA-London 2007.

Imperio 2004 = O. Imperio, Parabasi di Aristofane: Acarnesi, Cavalieri, Vespe, Uccelli, Bari 2004.

Lorenzoni 2017 = A. Lorenzoni, rec. di M. Pellegrino, Aristofane. Frammenti, Lecce 2015, «Eikasmós» 28, 2017, pp. 423-456.

Probert 2003 = P. Probert, A New Short Guide to the Accentuation of Ancient Greek, Bristol 2003.

 

Notes

[1] Ricordiamo almeno il fondamentale Imperio 2004.

[2] Cf. Lorenzoni 2017, p. 433.

[3] Ai vv. 14-15 l’autrice stampa il testo di Fritzsche (ἄλλα <πολλά> θ’ ὧν / οὐδ’ ἂν λέγων λέξαις), adottato anche da Kassel e Austin, dove tuttavia non si vede bene come fare dipendere il genitivo ὧν dal successivo λέξαις, a meno di non accogliere l’integrazione di Kaibel τὸν ἀριθμόν dopo λέξαις (o un’integrazione simile). Del resto, l’integrazione di Kaibel, pur non accolta nel testo, sembra presupposta dalla traduzione di p. 111 (“e <molte> altre cose (del genere), / che tu, se anche cercassi di farlo, non potresti enumerare”).

[4] Di conseguenza, sempre seguendo Bothe, subito dopo il punto interrogativo viene stampato ἦ e non ἢ.

[5] Sempre in base ad Ar. Th. 412 è forse preferibile intendere διά γε τοῦτο τοὖπος in senso causale (“a causa di questo detto”) più che come “secondo questo detto” (così l’autrice nella traduzione a p. 179). Il fatto che non si capisca bene la ragione di questa espressione causale può dipendere dal taglio della citazione. Nel testo del frammento τοὖπος è stampato con il circonflesso (pp. 179, 181), mentre nella citazione del passo delle Tesmoforiazuse viene riportato τοὔπος con l’accento acuto secondo la prassi editoriale invalsa per questo testo (p. 181). In teoria la forma corretta dovrebbe essere τοὖπος con il circonflesso, ma non c’è consenso su questo punto (cf. Probert 2003, p. 41). Quale che sia la posizione assunta in proposito, è forse preferibile adottare di volta in volta una linea uniforme.

[6] Cf. Bonanno 1972, p. 138.

[7] Dalla traduzione dei vv. 2-3 del frammento a p. 199 (“al tempo in cui da Cratete la salamoia eburnea, plagiata senza sforzo, era ritenuta brillante”) si ha l’impressione che il dativus agentis Κράτητι dipenda da ἐνομίζετ(ο). Tuttavia, forse è preferibile far dipendere Κράτητι da παρακεκλεμμένον: “al tempo in cui la salamoia eburnea, plagiata da Cratete senza sforzo, era ritenuta brillante”. Il soggetto logico del passivo ἐνομίζετ(ο), così come del successivo ἐκιχλίζετο, è il pubblico del tempo di Cratete, pubblico che riteneva λαμπρόν una trovata come il τάριχος ἐλεφάντινον.

[8] L’ἔγχεον del v. 5 è inteso come imperfetto senza aumento (“versavano” è la traduzione a p. 248), fenomeno piuttosto insolito in commedia, dove, peraltro, in genere ἔγχεον ricorre come imperativo aoristo di seconda persona singolare (cf. e.g. Ar. Eq. 118, 121, 122; Pax 1246), forma tuttavia impossibile in questo contesto. Bisogna pensare a un epicismo parodico? Si segnala, inoltre, che al v. 1 l’integrazione di δ’ è priva delle necessarie indicazioni in apparato.

[9] Per la costruzione di χράομαι con dativo e accusativo neutro avverbiale cf. LSJ s.v. χράω C.III.4.a. La stessa interpretazione qui suggerita sembra presupposta dalla traduzione di Henderson 2007, ad loc. (“all these she had in me”).

[10] Si segnala, tuttavia, che per Diogene Laerzio è meglio fare riferimento a Dorandi 2013 e, per il commento di Eustazio all’Odissea (limitatamente alle rapsodie da I a VIII), si può contare ora su Cullhed-Douglas Olson 2022 e 2023.

[11] Ad esempio, «Onomomatologos» (p. 11 n. 1); «kerniba» (p. 90); «puà» (p. 124); «οἱ δὲ τὸν ἰδίως τὸν μέλανα» (p. 151); «Πολυνεῖκης» (p. 280); «δεἲ» (p. 289); «abstinbebant» (p. 299).