La rivista Amoenitas, specializzata in studi sulle ville romane, dedica un intero numero a un lavoro di Marco Cavalieri sulla villa romana di Aiano (San Gimignano, Siena). L“insolito formato monografico” del volume, secondo gli editori Masanori Aoyagi e Claudia Angelelli (p. 9), è giustificato dalla necessità di dare spazio alla presentazione dei risultati di ricerche ormai quasi ventennali, effettuate da un team belga-italiano coordinato dall’Université catholique de Louvain a partire dal 2005 in uno dei contesti più rilevanti in Italia per l’archeologia delle ville tardoantiche.
Il volume rappresenta infatti una sintesi critica aggiornata di quanto finora prodotto sulla villa, a fronte di una ricchissima bibliografia che, sin dal momento dell’avvio dei lavori, è stata realizzata per comunicarne gli esiti, a più livelli e in contesti differenti.
Un’edizione più completa dello scavo è ancora in corso di elaborazione, ma l’autore, direttore delle ricerche condotte nel sito, ha ritenuto opportuno garantire intanto alla comunità scientifica una pubblicazione a un diverso livello di specificità disciplinare, dando spazio, in particolare “al contesto storico-archeologico ed alla villa nel suo divenire, da luogo residenziale a cantiere, come recita il titolo del volume” (p. 12). Per le caratteristiche della sede editoriale, per quanto lungo e articolato, il contributo ha la struttura di un articolo e una suddivisione in paragrafi e sotto paragrafi, che consentono di scandire agevolmente le argomentazioni.
La ricerca prende l’avvio all’interno di un progetto più ampio, VII regio, The Elsa Valley during Roman Age and Late Antiquity, che ha permesso di approfondire le conoscenze sull’occupazione del territorio dell’alta Val d’Elsa dall’età protostorica all’alto medioevo, con un particolare approfondimento per il periodo romano e per il fenomeno delle ville, con i suoi sviluppi nelle diverse epoche storiche. I primi paragrafi sono dunque destinati a riassumere la storia delle ricerche (§1.2-1.5). Dopo prime ricognizioni di superficie e un sondaggio esplorativo (2001) effettuati da parte dell’Associazione archeologica Sangimignanese e dalla Soprintendenza competente per il territorio, su iniziativa dell’UCLouvain e in sinergia con altre Università ed Enti locali, nel 2005 si decide dunque di avviare una ricerca sistematica in un sito molto promettente, ma ancora difficile da inquadrare in termini insediativi. Dopo le prime indagini, riconosciuta la presenza di una villa, inizia una serie di approfondimenti specifici per inquadrare il sito e le sue vicende storiche in un contesto più ampio relativo alle conoscenze sulle ville romane (§2).
Le ricerche sono state svolte con una metodologia multidisciplinare, partendo dallo studio della geologia e geomorfologia del sito che ha permesso di rilevare come la costruzione della villa si collochi in un fertile fondovalle alluvionale nei pressi del torrente Fosci, ai piedi di una collina (§3). Lo studio della viabilità antica ha consentito inoltre di osservare come il sito non fosse visibile dalle principali vie di comunicazione del territorio del municipium di Volaterrae, che tuttavia potevano essere raggiunte con una certa facilità. Secondo Marco Cavalieri, dunque, per la scelta del luogo, avrebbe prevalso “la preoccupazione di nascondersi alla vista dei viandanti” (p. 35), dettata forse dalla particolare insicurezza dei percorsi viari nella tarda antichità. Al territorio circostante sono state dedicate ricerche specifiche, per riscostruirne le diverse fasi insediative e non sono mancate le indagini geognostiche finalizzate ad individuare la reale estensione del sito archeologico e indirizzare così le attività di scavo (§4-6).
Si presentano quindi i risultati delle 15 campagne di scavo effettuate fino al 2022, che hanno permesso di riconoscere sei periodi di frequentazione del sito dalla fine del III secolo alla prima metà del VII (§7). Naturalmente si tratta di un lavoro in continua evoluzione con precisazioni effettuate nel corso delle diverse campagne di scavo e in particolare delle ultime.

Nel primo periodo (fine III-metà IV secolo) si colloca la costruzione della villa, per la quale non si possiedono molti dati a causa dei rimaneggiamenti successivi. È nel secondo periodo (seconda metà IV-ultimi decenni del V secolo) che l’edificio viene monumentalizzato (Fig. 1). L’impianto si caratterizza per la presenza di una sala triabsidata dalla planimetria piuttosto particolare rispetto alle più comuni sale tricore, resa ancora più interessante dall’inserimento in corridoio plurilobato. Inizialmente, questa sala aveva una conformazione differente, con sei esedre, a cui si poteva accedere a sud da un piccolo ambiente con funzione di vestibolo. Alla fine del IV secolo, i lavori per la costruzione della sala sembrano interrompersi e, con la successiva ripresa dell’attività edilizia nella prima metà del V secolo, il progetto cambia: la sala esalobata viene trasformata in una sala triabsidata e tra le tre absidi vengono realizzati degli ambienti rettangolari. Il pavimento della sala in questa fase, parzialmente preservato, consiste in un cementizio decorato con l’inserimento di tessere musive in bianco e nero di reimpiego che compongono motivi geometrici e figurati.
Alcuni vani che precedevano la sala dovevano avere funzioni residenziali mentre a nord-est di questo settore si disponeva la pars fructuaria, oggetto delle indagini più recenti.
L’edificio doveva inoltre essere caratterizzato da una ricca decorazione di cui, a causa delle sistematiche attività di spoglio eseguite dopo l’abbandono della sua funzione residenziale, non sono state rinvenute che poche tracce, pertinenti a lastre per pavimentazioni, crustae marmoree, opera sectilia in pasta vitrea, mosaici anche con tessere in pasta vitrea, soglie in marmo, piccole porzioni di intonaci e stucchi parietali.
Durante la seconda metà del V secolo non ci sono elementi per stabilire se la villa fosse ancora utilizzata in senso residenziale, ma già negli ultimi decenni si collocano delle attività di smontaggio degli arredi, a partire dai pavimenti. Ciò avviene nel periodo III, quando la villa viene abbandonata come edificio residenziale e si trasforma in un cantiere e una sede di attività artigianali. All’interno degli ambienti residenziali si installano officine specializzate nella lavorazione di diverse categorie di materiali. Le attività produttive si concentrano soprattutto nel secondo quarto del VI secolo e si possono riconoscere dei veri e propri ateliers specializzati nella lavorazione e nel riciclo dei materiali della villa stessa. L’ultimo periodo di occupazione stabile dell’area è il quarto, che si colloca tra la seconda metà del VI secolo e la prima metà del VII. Le attività produttive si riducono per interrompersi definitivamente nei primi decenni del VII secolo, quando tutti gli ambienti vengono riempiti da detriti. Il quinto periodo riguarda la sporadica frequentazione della zona dall’alto medioevo all’età moderna, mentre l’ultimo periodo, di età contemporanea, è segnato dalle attività agricole che, con mezzi meccanici, intaccano profondamente i depositi archeologici.
Un paragrafo (§8) è dedicato alla presenza di materiali etruschi negli strati altomedievali della villa, forse provenienti da sepolture presenti nella zona, spoliate per recuperare gli oggetti di corredo metallici. Nel paragrafo seguente (§9) si propone un’analisi della cultura materiale del sito, con l’obiettivo di precisare gli elementi su cui si sono basate le ricostruzioni cronologiche, rinviando ad un esame specifico delle diverse classi nella monografia in preparazione.
Il paragrafo successivo (§10) si concentra sullo studio della sala triabsidata di cui vengono forniti possibili confronti e accurate ricostruzioni volumetriche e decorative, frutto di un esame puntuale di tutti gli elementi archeologici e architettonici disponibili. Partendo dal rilievo dello stato di fatto delle strutture, “il lavoro di ricostruzione tridimensionale della sala tribsidata si è basato su un approccio teoretico e metodologico che garantisse la scrupolosità intellettuale e tecnica dell’intervento e la trasparenza del dato” (p. 89). I risultati di tale lavoro erano stati presentati in altre sedi, ma qui sono illustrati con molta più dovizia di particolari e tramite dati sul rilievo e le metodologie usate, grazie anche ad un ricchissimo apparato grafico, in cui spiccano le elaborazioni 3D di Daniele Ferdani. Un’attenzione particolare è poi riservata all’esame dell’esiguo numero di frammenti pittorici recuperati nello scavo, quasi per nulla in situ. Tuttavia, colpiscono le proposte di restituzione delle decorazioni per la sala triabsidata e l’ipotesi ricostruttiva di una parete affrescata elaborata da Paolo Tomassini. Dallo studio effettuato si ricava come la decorazione pittorica della villa di Aiano si inserisca perfettamente nella produzione tardoantica, per l’utilizzo di imitazioni di decorazioni marmoree. Un altro studio accurato è dedicato all’analisi dei frammenti di sectilia in pasta vitrea, che rappresentano l’indicatore principale del lusso decorativo dell’edificio. Molto efficaci le ricostruzioni proposte da Stefano Landi delle raffigurazioni di pesci ed altri animali marini.
Di particolare interesse è il sotto paragrafo 10.7, dedicato al settore nord-est, indagato a partire dal 2019. In quest’area è stata infatti riconosciuta la pars fructuaria della villa, composta da vari ambienti, tra cui spicca una sala scandita da 6 pilastri in cui sono stati rinvenuti dei dolia interrati. Si tratta dunque di un magazzino per la conservazione di derrate, secondo una tipologia ben attestata in molte ville romane. Secondo l’autore, per la sua posizione a nord, la sala potrebbe corrispondere alle indicazioni degli agronomi antichi circa le celle vinarie, ma per un’identificazione certa occorrerà aspettare i risultati delle analisi archeometriche sui contenuti dei dolia.
Il paragrafo 11 sintetizza i dati sul cantiere che si imposta nella villa, dopo la fine della sua funzione residenziale, distinguendo un atelier per il riciclo di materiali litici (mosaici e marmi), officine pirotecnologiche, un’officina per la lavorazione del vetro, attività di riciclaggio di tessere in pasta vitrea e di tessere ialine, in cui veniva recuperata la foglia d’oro. Sono state inoltre rinvenute due tavolette di pietra, interpretate ipoteticamente come pietre di paragone, quindi attrezzi di un’oreficeria specializzata. Si sono fatte delle proposte di ricostruzione dell’officina del fabbro ferraio che si installa nel vano B della villa, mentre sono state ipotizzate altre attività, come la produzione di ceramica comune presso una fornace individuata nel vano F.
Numerose le indagini archeometriche effettuate, riguardanti i materiali in pasta vitrea, i reperti metallici e quelli in vetro e le tessere ialine musive.
Le conclusioni permettono di tracciare un bilancio del lavoro svolto, evidenziando anche le questioni ancora aperte che dipendono in parte da uno scavo ancora parziale del sito e dall’altra dalle sue stesse condizioni di rinvenimento. Un altro aspetto importante, di cui si è tenuto conto nel corso delle ricerche, è quello della conservazione e della valorizzazione dei resti archeologici, all’interno di un progetto di archeologia pubblica. Malgrado l’enucleazione di principi per la creazione di un parco archeologico ecosostenibile nel sito e per l’allestimento di due sale dedicate alla villa all’interno del Museo archeologico di San Gimignano, purtroppo, fino al 2023, non esisteva ancora alcun progetto concreto per la valorizzazione e fruizione delle strutture, con grande rammarico del direttore delle ricerche, che conclude il lavoro cum maestitia.
Come si evince da questa presentazione, pur non trattandosi dell’edizione definitiva dello scavo, il volume di Marco Cavalieri rappresenta un’opera che ben analizza e sintetizza le acquisizioni finora raggiunte per la storia della villa di Aiano, confermandone la sua specifica rilevanza nel panorama delle ville tardoantiche. Se infatti i dati relativi alle fasi residenziali dell’edificio non sono molti, e se la qualità di decorazioni e arredi può essere restituita a fatica dall’analisi dei pochi frammenti sfuggiti alle attività di spoliazione e di riciclo che si impiantano sulle rovine della villa, è proprio la possibilità di studiare in maniera analitica le sequenze di queste attività, altrove note ma non sempre adeguatamente documentate, che fa di questo sito un contesto di eccezionale importanza per la conoscenza delle fasi post-villam e apre una serie di questioni sulla continuità o discontinuità anche nei regimi proprietari. Un’attività artigianale così bene organizzata presuppone infatti una gestione centralizzata, di cui non si può escludere si siano fatti carico gli stessi proprietari delle strutture, non più interessati a risiedervi.
In conclusione, il libro, grazie anche ad un ricchissimo apparato illustrativo (ben 155 figure), non solo fa il punto sulle conoscenze della villa di Aiano, ma apre nuove prospettive di ricerca per gli studi sulle ville tardoantiche in Italia e nel Mediterraneo romano. Mettendo in risalto le innumerevoli attività svolte, e sottolineando il valore irrinunciabile della condivisione pubblica dei risultati delle ricerche archeologiche, sollecita inoltre la necessità di preservare e di rendere fruibile un sito di tale importanza.