BMCR 2024.12.03

The dangerous life and ideas of Diogenes the Cynic

, , , The dangerous life and ideas of Diogenes the Cynic. New York: Oxford University Press, 2023. Pp. 208. ISBN 9780197666357.

Preview

 

The Dangerous Life and Ideas of Diogenes the Cynic è la traduzione inglese del saggio che Jean-Manuel Roubineau ha pubblicato, in francese, nel 2020 presso le Presses Universitaires de France – Humensis, con il titolo Diogène: l’antisocial[1]. Il titolo coglie bene la prospettiva critica dell’autore: quella di illustrare l’impatto dirompente e destabilizzante – dangerous, appunto – esercitato, sulle convenzioni socio-culturali del tempo, dal pensiero di Diogene e dalla sua stessa condotta di vita, exemplum coerente e rigoroso di quel modus vivendi[2].

Dopo il breve Foreword di Phillip Mitsis (pp. vii-xiii) e l’altrettanto sintetica Introduction di Roubineau (pp. 1-6), il primo capitolo (Diogenes, Foreigner [pp. 7-27]) è dedicato alla biografia di Diogene: la cronologia incerta, la provenienza da Sinope (cui qui è dedicato un opportuno approfondimento storico) e le origini familiari. Specifica attenzione è prestata al controverso episodio dell’accusa, rivolta direttamente al filosofo e/o al padre Icesio (cambiavalute) di aver falsificato del denaro: un’accusa che, variamente riferita dalle fonti, costringe Diogene a lasciare Sinope. I viaggi, gli incontri con differenti culture, le molteplici esperienze di vita (è cittadino, meteco e persino schiavo) sono determinanti per portarlo a elaborare una visione cosmopolitica.

Il secondo capitolo (Rich as Diogenes [pp. 28-52]) parte dal presupposto che per Diogene la ricchezza è inutile. Di qui deriva la scelta della mendicità, che, a causa della sua natura ‘parassitica’, era stata fino ad allora giudicata antitetica alla philia e alla reciprocità sociale[3]. Da mendicante Diogene abita all’interno di un pithos, una grande giara usata per conservare le derrate alimentari: considerato in seguito una «botte» (a partire dall’erronea traduzione latina, dolium), il pithos era fin dall’inizio della Guerra del Peloponneso un comune e frequente ricovero di fortuna. Da mendicante Diogene diventa poi schiavo: rapito dai pirati, è venduto a Xeniade, un corinzio dal mediocre carattere, di cui egli, sebbene schiavo, diviene di fatto padrone e dal quale, anni dopo, riottiene la libertà[4].

Nel terzo capitolo (Diogenes, or the Proper Use of the Body [pp. 53-79]) Roubineau illustra l’atteggiamento di Diogene verso temi indissolubilmente connessi al corpo, a cominciare dalla sessualità, per la quale il cinismo, incontrando non poca resistenza, specie tra i pensatori cristiani, ammette tre tipi di relazioni (masturbazione, sesso all’interno del matrimonio, libero amore). Diogene, tuttavia, prende le distanze dal matrimonio, che, ritenuto un limite alla libertà sessuale, si oppone a un’idea allargata e cosmopolitica di appartenenza. Diogene si distanzia anche da un’altra pratica culturalmente approvata, la pederastia, come pure dall’amore mercenario, considerando le prostitute un ostacolo all’autosufficienza degli uomini. Alla corporeità rinvia anche la rigorosa scelta dell’abbigliamento (tunica, mantello, bastone e bisaccia). L’attenzione per l’essenzialità spinge Diogene a guardare con interesse all’educazione spartana e all’atletismo, di cui però contesta i risvolti negativi, quali il culto dei vincitori e l’ossessiva ricerca della vittoria.

Il quarto e ultimo capitolo del volume è dedicato a Diogenes, Mentor (pp. 80-106). Il confronto con Socrate – è nota la definizione platonica di Diogene quale Socrate mainomenos – consente a Roubineau di riflettere sui rapporti intercorsi tra Diogene e i filosofi che di poco lo hanno preceduto: il pensiero di Antistene, allievo di Socrate, ha senz’altro influito su Diogene, mentre un altro allievo di Socrate – Platone – ha attirato l’ostilità del Sinopeo per la (presunta) mancanza di concretezza della sua filosofia. Diogene è ricordato anche come autore di tragedie[5] e di una Politeia. Intensa e apprezzata è stata la sua attività didattica, la cui notorietà è giunta fino ad Alessandro Magno, con il quale ebbe un celebre incontro a Corinto nel 336 (la tradizione fa addirittura morire Diogene e Alessandro nel medesimo giorno del 323 a.C.). Sepolto probabilmente a Corinto, Diogene anche dopo la morte è stato fonte d’ispirazione (poetica oltre che filosofica), come dimostrano, inter alia, gli epigrammi di Leonida e Onesto e i dialoghi lucianei.

Al termine dei quattro capitoli trovano spazio le Notes (pp. 107-120)[6], la Bibliography (pp. 121-122)[7] e l’Index dei principali temi e termini discussi (pp. 123-128); degno di nota è anche il bell’apparato iconografico di quattordici immagini in bianco e nero, posto – senza numerazione di pagina – tra le pp. 46 e 47.

Valutato nel contesto dell’attuale panorama accademico, che negli ultimi decenni ha visto crescere l’interesse per la filosofia cinica[8], The Dangerous Life and Ideas of Diogenes the Cynic occupa un posto per nulla trascurabile. Benché infatti privilegi un’analisi di ampia prospettiva (tanto da poter apparire, ad una lettura superficiale, un ennesimo resoconto biografico) e sebbene la stessa Casa Editrice lo definisca «written accessibly for a general readership»[9], il volume di Roubineau si avvale di un ponderato impianto metodologico – attento al dato storico non meno che a quello filosofico – e dimostra un costante rigore scientifico nel descrivere l’indissolubile legame che, in Diogene, unisce «life and ideas»: Roubineau va oltre i fraintendimenti esegetici degli antichi e dei moderni[10], si smarca intelligentemente da ogni sterile e ‘scandalistica’ tendenza aneddotica[11], indaga aspetti poco esplorati della tradizione biografica[12] e propone una brillante ricognizione del pensiero diogeniano con il supporto di puntuali riflessioni di carattere storico, antropologico, economico, sociale e politico.

Si tratta, in definitiva, di un saggio che, fruibile anche da un lettore non specialista, ha il merito di rimuovere dalla biografia di Diogene molte incrostazioni aneddotiche e ‘scandalistiche’ e di ripristinare i contorni di un’esperienza filosofica che, materialisticamente lontana da ogni speculazione astratta, ha trovato invece pieno compimento nelle scelte e nelle pratiche della vita quotidiana: una filosofia performativa, si potrebbe definirla, coerentemente incarnata dalla vita – a volte pericolosa – di un filosofo che «made the city his classroom» (p. 87)[13].

 

Notes

[1] La traduzione è di Malcolm DeBevoise, «prize-winning translator», come segnala Phillip Mitsis nel Foreword (p. viii).

[2] Come è noto, principale fonte della biografia del filosofo di Sinope è Diogene Laerzio: per l’attendibilità storica dei suoi aneddoti e per la loro funzione nel connotare il pensiero diogeniano, vd. Nerea Terceiro Sanmartín, Diógenes «el Cínico»: entre la anécdota y la historia, in: Cuadernos de Filología Clásica. Estudios griegos e indoeuropeos, 29, 2019, pp. 113-132.

[3] Su questi aspetti vd. i recenti contributi di Isabelle Chouinard, Le sage peut-il mendier?, in: Étienne Helmer (ed.), Mendiants et mendicité en Grèce ancienne, Garnier, Paris 2020, pp. 189-208 e di Donatella Izzo, La souris, ennemie de l’homme et modèle du cynique, in: Aitia, 13.1, 2023 (online dal 1° ottobre 2023).

[4] L’episodio del rapimento dei pirati, ritenuto talora «fictitious» (John L. Moles, s.v. Diogenes, in: Simon Hornblower, Antony Spawforth [edd.], The Oxford Classical Dictionary, Oxford University Press, Oxford 19963, p. 473), è vagliato da Roubineau all’interno di un più ampio contesto storico che non ne esclude la verosimiglianza.

[5] La produzione tragica di Diogene e Cratete è stata indagata da Maria Noussia, Fragments of Cynic ‘Tragedy’, in M. Annette Harder, Remco F. Regtuit, Gerry C. Wakker (edd.), Beyond the Canon, Peeters, Leuven 2006, pp. 229-247; utili indicazioni bibliografiche sono anche in Francesco Lupi, Su due frammenti tragici di autore incerto: Diogene di Sinope o Euripide?, in: Prometheus, n.s. 6, 2017, pp. 67-80 e, da ultimo, in Juan L. López-Cruces, F. Javier Campos-Daroca, Diogenes’ Thyestes, in: Greek, Roman, and Byzantine Studies, 64, 2024, pp. 226-250.

[6] Le note forniscono per lo più gli estremi dei passi citati. Sarebbe stato preferibile ridurre il ricorso alle citazioni ‘di seconda mano’ (frequenti soprattutto quelle a Paquet, Les Cyniques grecs. Fragments et témoignages), che comportano il rischio di rinvii non aggiornati, come accade, per esempio, per un paio di citazioni di frammenti tragici adespoti, menzionati secondo l’ottocentesca – seppur autorevole – edizione di Nauck piuttosto che secondo quella di Kannicht e Snell (1981, 20072).

[7] Pur essendo alquanto selettiva, la bibliografia dà adeguatamente conto dei più importanti studi sulla filosofia cinica; ai tre titoli integrati da Mitsis nel Foreword si potrebbe qui aggiungere il volume di Roberto Brigati, Introduzione al cinismo, Clueb, Bologna 2022.

[8] Un forte impulso è stato dato dalla pubblicazione di testi fondamentali, come quello di Peter Sloterdijk, Kritik der zynischen Vernunft, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1983 o i tre tomi delle Socraticorum reliquiae curati da Gabriele Giannantoni (1985), seguìti dai quattro delle Socratis et Socraticorum reliquiae (1990); e ulteriore spinta è venuta dagli studi di Michel Foucault, su cui vd., da ultimo, James I. Porter, The Cynics With and Without Foucault, in: Arethusa, 56.3, 2023, pp. 363-389.

[9] Vd. sito della Oxford University Press.

[10] A Diogene – spiega lo studioso nell’Introduzione – è stata imputata dagli antichi l’immoralità e l’assenza di un sistematico corpus dottrinario, mentre i moderni si sono occupati di lui solo in una prospettiva storico-filosofica, sottovalutando la realtà socio-antropologica del IV secolo.

[11] Un istruttivo esempio è la già ricordata analisi sull’uso del pithos come abitazione: Roubineau dà, sì, conto di una tradizione di straordinario successo letterario e iconografico, ma la riconduce all’evidenza sociale, archeologica e storiografica, liberandola da ogni travisamento.

[12] Per scrivere tragedie e altre opere – osserva Roubineau – Diogene, pur avendo scelto la mendicità, avrà dovuto necessariamente disporre, almeno in modo episodico, di costoso materiale scrittorio, di tavoli e di luoghi per conservare i rotoli.

[13] Per un’interessante lettura politica della biografia di Diogene, il quale, rifiutando la separazione tra privato e pubblico, mette quotidianamente in discussione le norme e i tabù sociali, vd. Dmitri Nikulin, Diogenes the Comic, or How to Tell the Truth in the Face of a Tyrant, in: Cinzia Arruzza, Dmitri Nikulin (edd.), Philosophy and Political Power in Antiquity, Brill, Leiden-Boston (Mass.) 2016, pp. 114-133.