Il volume raccoglie otto contributi incentrati su diversi aspetti della Sabina antica oltre ad un cospicuo corpus delle fonti antiche latine e greche sul territorio dei Sabini. L. Capogrossi Colognesi, nella prefazione, richiama a grandi linee la lavorazione che ha portato infine alla pubblicazione di questa poderosa opera e ribadisce la necessità, a fronte di un panorama bibliografico sterminato, di portare avanti ulteriori indagini approfondite sui rapporti tra Roma e il mondo italico, secondo una prospettiva storiografica che lo studioso riconduce alle riflessioni di Arthur Rosenberg. Egli, a suo avviso, “più di ogni altro ci ha segnalato come una storia di Roma e del suo espanso dominio nella penisola italica, con i suoi sviluppi politici e istituzionali, richieda la piena comprensione della ricchezza d’apporti del mondo italico, con i complessi intrecci che lo attraversarono e trasformarono” (p. VIII).
Alla luce di queste considerazioni, appare significativo che, stando a Capogrossi Colognesi, la peculiarità che con maggiore evidenza e frequenza caratterizzò sin dai periodi più antichi i rapporti tra Sabini e Latini sia stata la permeabilità, non solo culturale, tra i due orizzonti, ad indicare quella sorta di osmosi culturale che riaffiora, di regola, nello studio delle relazioni instauratesi nel corso dei secoli tra le variegate realtà etniche dell’Italia antica.
Nel caso poi dei Sabini e dei Romani e dello studio dei loro reciproci rapporti, sarà da tenere presente la “peculiare comunanza che s’evidenzia nel corso di tutta la storia romana”, poiché essa deve essere considerata come “il fondamento delle scelte intervenute dopo la sanguinosa conquista romana dell’intera Sabina, nel 290 a.C.” (p. IX).
La densa prefazione di Capogrossi Colognesi permette insomma di inquadrare correttamente, in una prospettiva unica ed omogenea, la successiva introduzione (a cura di Daniele F. Maras, Laura M. Michetti, Christopher J. Smith e Elena Tassi Scandone, autori anche di buona parte dei saggi inclusi nel volume) ed i ricchi otto contributi che seguono l’introduzione stessa e precedono il corpus di fonti letterarie sulla storia dei Sabini e della Sabina.
L’introduzione inquadra il volume nel panorama bibliografico attuale sulla Sabina, collocandolo, nel contempo, tra le iniziative scientifiche che hanno segnato la celebrazione del Bimillenario della nascita di Vespasiano.
Punto di partenza per la concezione del volume è stato il moltiplicarsi, nel corso degli ultimi decenni, di studi di carattere storico e archeologico che hanno di volta in volta migliorato ed articolato la nostra conoscenza del territorio sabino e della sua occupazione sin a partire dalle fasi più antiche, dei tempi e modi della romanizzazione della Sabina ed infine dei rapporti intercorsi tra i Sabini e gli ambiti culturali limitrofi, come quello etrusco, falisco, capenate, umbro, piceno e naturalmente latino.
Scopo ultimo del volume è, dunque, quello di partire dalle più recenti acquisizioni che diversi approcci metodologici e disciplinari hanno offerto al dibattito scientifico per giungere a dare un quadro, quanto mai complesso, della storia del popolo sabino da diversi ed interconnessi punti di vista: socio-economico, politico-istituzionale, linguistico, culturale e religioso.
Vediamo ora, per sommi capi, gli aspetti più significativi dei contributi che occupano la parte centrale del volume. Il primo (“Catone e le origini dei Sabini”, di Daniele F. Maras, pp. 17-28) si concentra sul problema delle origini dei Sabini così come sono state trattate da Catone. Giustamente, si mette in risalto come Catone sentisse la necessità di collocare i Sabini nella storia più arcaica, ma anche in quella più recente, di Roma, non tanto o perlomeno non solo, per ragioni di natura prettamente storiografica. Piuttosto, vi sarebbero state anche motivazioni di carattere ideologico, avendo bisogno il Censore di trovare nella storia di Roma un luogo geografico e cronologico in cui collocare la nascita e la diffusione dei più antichi e retti mores dei Romani. I sabini mores, infatti, sono considerati da Catone come il fondamento originario della buona tradizione morale di Roma. La trattazione particolarmente acuta e avvertita delle fonti a disposizione permette all’autore di ricostruire le varie fasi della tradizione antica sui Sabini così come essa si era formata prima di Catone e così come essa fu plasmata da Catone stesso, che, a sua volta, restituì ai posteri la sua particolare immagine dei Sabini. Particolare spazio trova, in questa analisi, l’elemento spartano, che, naturalmente, costituisce la spiegazione eziologica più trasparente dei semplici e valorosi costumi, anche militari, di cui i Sabini erano portatori. Per contro, si mette contemporaneamente in risalto la necessità, altrettanto sentita da Catone, di ancorare saldamente l’elemento sabino, precursore del popolo romano, entro l’alveo delle popolazioni italiche, di cui i Sabini appaiono essere massimi rappresentanti. A rendere poi ancora più complesso il discorso sulle origini dei Sabini interviene l’elemento troiano, inserito nella saga su suggestione della leggenda troiana delle origini di Roma, a confermare e rimarcare la volontà, già antica, di creare un passato comune e indissolubilmente legato tra il popolo sabino e quello romano.
Più ampia risulta la prospettiva storica assunta da Christopher J. Smith che, nel suo saggio “A history of the Sabines” (pp. 29-40), propone un sintetico ma ricco e ben informato quadro degli eventi più importanti della storia di Roma che coinvolsero, a vario titolo ed in modi diversi, la Sabina (o meglio, le due Sabine, quella bassa e quella alta), a partire dalle fasi più mitiche del rapporto romano-sabino, dominato dalla diarchia Tito Tazio – Romolo. Un momento chiave delle relazioni tra Romani e Sabini è certamente rappresentato dalla conquista della Sabina ad opera di Manio Curo Dentato, in seguito alla quale dovettero diffondersi a Roma le notizie relative alla frugalità dei Sabini, che, come notato già da Maras nel suo contributo, occuperanno una posizione importante nella tradizione su questo popolo. La fase della romanizzazione della Sabina viene trattata da Smith sia da un punto di vista istituzionale, sia dal punto di vista dell’organizzazione del territorio, con particolare riguardo per gli edifici di carattere religioso, segno della diffusione di nuovi tipi di culto che si trovarono a convivere con forme religiose di origine autoctona.
Alla sfera del sacro è interamente dedicato il successivo contributo di Laura M. Michetti (“Tra divinità femminili e prodigi: piccoli spunti di riflessione sulla sfera del sacro tra i Sabini”, pp. 95-106). In questo caso, oltre all’utile panorama proposto relativamente ai culti attestati per via archeologica, epigrafica e letteraria nel territorio dei Sabini, appare particolarmente importante la premessa metodologica con cui la studiosa fa iniziare il suo contributo. A fronte di testimonianze di origine locale, in special modo di natura archeologica, talvolta poco chiare o non facilmente interpretabili (soprattutto per età particolarmente risalenti), è corretto ricordare come la maggior parte delle informazioni che abbiamo a disposizione per la conoscenza dei culti di ambito sabino provenga da fonti letterarie latine o greche. Tali tradizioni, evidentemente, tendono ad assimilare le forme di culto locali con le caratteristiche del pantheon romano, cosicché risulta spesso difficile discernere tra l’aspetto genuinamente sabino e la sua interpretazione “romana”. Peraltro, tale dinamica appare talvolta facilitata anche dall’effettiva vicinanza tra le espressioni religiose romane e sabine.
Lo stesso problema, da cui discende il medesimo caveat metodologico, riguarda anche lo studio della lingua dei Sabini, le cui caratteristiche più peculiari sono richiamate nel saggio di Martina Farese (“Le testimonianze degli antichi sulla lingua dei Sabini”, pp. 107-118). Ancora una volta, alla scarsità di testimonianze dirette della lingua sabina si affianca la difficoltà di valutare l’affidabilità delle informazioni che le fonti antiche, latine e greche, ci trasmettono sulla lingua dei Sabini, cosicché è spesso molto difficile distinguere tra l’elemento originario sabino e la sua reinterpretazione da parte della fonte. Nel contempo, dalla rassegna di testimonianze proposta dalla studiosa emerge il carattere estremamente eterogeneo di queste, che impone, a chiunque si accinga a studiare la lingua sabina, di prendere in considerazioni fonti di varia cronologia e diverso tipo.
Alle istituzioni dei Sabini, latamente intese, è poi dedicato il saggio di Iosetta Corda (“La rappresentazione delle istituzioni e della società dei Sabini nelle fonti letterarie. Un’ipotesi di lettura”, pp. 119-132). A partire da brevi cenni alle leggi di Numa Pompilio, il contributo si sofferma sull’organizzazione familiare dei Sabini e la relativa rappresentazione delle figure femminili nella società sabina così come essa emerge dalle fonti letterarie. Dallo studio delle fasi mitiche della storia dei Sabini, che potrebbero aver risentito di riletture seriori, la studiosa ritiene di poter affermare che la donna sabina godesse di maggior libertà ed autonomia di quanto possiamo ipotizzare rientrasse nelle facoltà della donna romana. Lo stesso episodio del ratto delle Sabine dimostrerebbe, una volta sfrondato dei suoi addentellati più letterari, la maggior libertà concesse alle donne sabine. Le leggi di Numa, nel contempo, permettono di svolgere considerazioni relativamente alla struttura parentale che era probabilmente alla base della società sabina, al cui centro si trovava l’omologo del pater familias latino, che però, rispetto al parallelo romano, pare godesse di minori prerogative e poteri. A questa figura, ad ogni modo, era riconosciuta la capacità di definire rapporti giuridici anche all’esterno del gruppo familiare. Le leggi introdotte a Roma da Numa Pompilio sono poi studiate per ricostruire le tracce della repressione criminale tra i Sabini. Anche in questo caso, secondo l’ipotesi prudentemente proposta dalla studiosa, alcune caratteristiche della più antica società sabina sarebbero passate, con aggiustamenti vari, in quella romana: i Sabini, allora, avrebbero trasmesso ai Romani non solo i noti e rigidi mores, come le fonti letterarie esplicitamente ricordano, ma anche, e più in generale, alcuni elementi costitutivi delle forme sociale e del “patrimonio istituzionale” (p. 132) della prima Roma.
Di argomento specificamente giuridico-istituzionale è poi il saggio di Elena Tassi Scandone (“Concessioni della cittadinanza romana e organizzazione territoriale. Il caso dell’ager Sabinorum”, pp. 133-146), che si concentra sul problema della riorganizzazione dell’ager Sabinus e su quello, strettamente collegato, dell’attribuzione della civitas optimo iure. Fondamentale appare, per l’argomentazione proposta dalla studiosa, l’analisi del diverso trattamento che fu riservato, dopo il 290 a.C., alla bassa Sabina e all’alta Sabina, secondo una prospettiva che, peraltro, torna anche nello studio già citato di Christopher J. Smith.
Ancora al territorio sabino è dedicato lo studio di Alice Landi (“Economia ed attività produttive”, pp. 147-164), che prende in analisi le testimonianze antiche relative alle modalità di occupazione e sfruttamento delle terre dell’antica Sabina, da cui emerge la prevalenza di attività agricole e pastorali, inclusa la transumanza. Nel contempo, la studiosa prende in considerazioni fattori diversi, in particolare quelli geografico-climatici ancora oggi desumibili da osservazioni dirette, che potrebbero aver a loro volta influenzato i diversi tipi di sfruttamento del territorio, ed in particolare di produzione agricola, rintracciabili nell’antica Sabina.
Con quest’ultimo saggio si chiude la parte centrale del volume, che, come si vede da questi pochi e selezionati cenni, propone una trattazione complessa ed articolare della storia dei Sabini e del loro territorio da diversi ma interconnessi punti di vista.
A questa sezione segue il corpus delle fonti letterarie, a cui peraltro i contributi appena citati rimandano di frequente, rendendo la consultazione del volume, in tutte le sue parti, particolarmente agevole. Il corpus di fonti è organizzato in due sottosezioni: Graeci Auctores e Latini Auctores. La raccolta di testimonianze, organizzate secondo dei criteri ben precisi che vengono illustrati e chiariti nella densa introduzione, appare particolarmente dettagliata, costituendo uno strumento di lavoro e di consultazione di straordinaria importanza per completezza.
In sintesi, si tratta di un volume particolarmente ricco, di certa e grande utilità non solo per il suo carattere esaustivo, ma anche, e forse soprattutto, per la varietà degli argomenti trattati e per l’approccio critico con cui essi, di volta in volta e da prospettive sempre diverse, vengono affrontati, con il costante e puntuale rimando alle fonti pertinenti.