BMCR 2024.01.19

Clearchus of Soli: the sources, text, and translation

, , , , Clearchus of Soli: the sources, text, and translation. Rutgers University studies in classical humanities . Abingdon; New York: Routledge, 2022. Pp. 622. ISBN 9780367706814.

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La figura di Clearco di Soli è stata indagata in modo sistematico per la prima volta ormai duecento anni fa da J.B. Verraert (1828): del 2022 è l’edizione critica dei frammenti, curata da Tiziano Dorandi, accompagnata da una traduzione in inglese corredata da note di Stephen White. Questa parte del volume è seguita da nove saggi in inglese che indagano diversi aspetti della produzione di Clearco. Come noto, di Clearco non mancano edizioni di riferimento, fra cui spiccano quella a lungo canonica di Wehrli (1948; 19692), seguita dalla recente edizione di Taïfacos (2008), promotore di criteri più ‘elastici’ di Wehrli, ciò che gli ha permesso di annoverare numerosi nuovi frammenti. L’edizione di Dorandi si annuncia già come imprescindibile riferimento rispetto alle precedenti in quanto da esse si distingue per alcuni dati nuovi e per alcuni criteri editoriali (su cui cf. infra), oltre che per l’utilissimo subsidium interpretationis (pp. 266-288). Senza pretesa di esaustività, in questa sede mi limiterò a ripercorrere qualche esempio a mio avviso particolarmente significativo dell’ampia e sorvegliata operazione editoriale condotta, il cui principio generale emerge nell’introduzione, quando Dorandi osserva: “if we do not want to fall back into the vicious circle of nineteenth century Quellenforschung and, at the same time, if we do not want to reduce the collection of Clearchus fragments only to those texts that explicitly include his name – by which we would risk depriving the collection of texts that are important and authentic despite their anonymity – we must do a thorough analysis of each fragment and make choices on a case-to-case basis” (p. 12). A tal proposito, Dorandi cita il caso di alcuni frammenti (92ABC) fra loro evidentemente collegati: fonte per il fr. 92A, sine verbis, è Ateneo (VII 275d-276a), che ricorda Clearco per la festa dei Phagesia e quale testimonianza per la Tragedia delle lettere di tal Callia ateniese (Call. test. *7 K.-A., difficilmente il comico, come perlopiù si osserva). Opportunamente, Dorandi assegna al medesimo passo di Clearco anche la sezione successiva e più lunga dei Deipnosofisti (X 453c-454f), dove il nome di Clearco non compare, ma dove si trovano confermate numerose notizie sull’opera di Callia, esposte nel precedente passo (VII 275d-276e), fra cui l’improbabile informazione per cui Euripide nella Medea e Sofocle nell’Edipo Re avrebbero ripreso questo stravagante prodotto drammaturgico. Rispetto al precedente riferimento del libro settimo, qui si trova l’insolito termine cronologico costituito da Strattide: credo che tale indicazione non sia di Ateneo ma recuperata in qualche modo in Clearco. L’indicazione di Eustazio come fonte del fr. 92B si spiega perché Eustazio si servì dell’epitome di Ateneo: del tutto condivisibile dunque la scelta di Dorandi di adottare sempre lo stesso numero per indicare il frammento di Clearco.

Se si scorre la concordanza della numerazione dei frammenti secondo le tre edizioni (Dorandi, Wehrli, Taïfacos), si potrà agevolmente osservare come Dorandi abbia ricompreso nuovi frammenti o abbia meglio distinto alcuni di essi, un’operazione avviata già da Taïfacos, e che è continuata in questi anni (cf. in generale T. Auffret, Un ‘nouveau’ fragment du Περὶ φιλοσοφίας: le papyrus d’Aï Khanoum, “Elenchos” XL (2019) 25-66, ricordato da Dorandi a p. 11). Opportunamente, Dorandi sostiene la tesi di Louis Robert, rilanciata da Tsitsiridis (si veda Dorandi https://bmcr.brynmawr.edu/2014/2014.05.33/) secondo cui il peripatetico sarebbe il Clearco dell’epigramma della stele dei Sette Sapienti recuperata ad Aï-Khanoum: si tratta del fr. 102 dell’edizione di Dorandi che l’editore riconduce a un’opera di Clearco Περὶ [σοφῶ]ν, secondo la ricostruzione del titolo derivata dal riesame di PSI 1093 cc. I 24-II 41 (del II sec. d.C.), segnatamente alle ll. 35s.

Mi pare significativo il caso del fr. 27 dagli Ἐρωτικά (opera almeno in due libri), testimoniato da Ath. XII 553e-554b in coda a un serie di frammenti comici. Opportunamente, Dorandi non include i frammenti dei commediografi nel testo del frammento di Clearco, ma, alla luce delle considerazioni svolte nell’Introduction, chi si occuperà dei frammenti comici adiacenti non potrà sottrarsi dal valutare se essi erano impiegati da Clearco per formulare le proprie considerazioni sulla seduzione d’antan, oppure se la fonte di Ateneo è diversa. Si può segnalare a mo’ di esempio ulteriore – e felice – il testo del fr. 40, con cui Dorandi non si limita a presentare i dati, ma tenta di dirimere un problema posto nell’introduzione (p. 13), dove egli si interroga su chi ha citato i versi di Saffo nel luogo di Ateneo: l’iniziativa della citazione saffica (fr. 58d,3s. Neri) va ricondotta a Clearco o al testimone, Ateneo (XV 687b), che de suo li ha aggiunti? Posto che il tema della forma dei versi riguarda anche e principalmente la tradizione manoscritta, la domanda risulta importante perché pertiene alla collocazione cronologica della citazione e rimanda all’edizione di Saffo: quella alessandrina, se la citazione si deve ad Ateneo, oppure più antica di quella alessandrina, se la citazione dei versi della poetessa si deve a Clearco (cf. Dorandi p. 13).

Interessante il caso del fr. 85, dove Dorandi ritiene che nella spiegazione del proverbio ὑπὲρ τὰ Καλλικράτους, conservato da Zen. Ath. 3,151 = Ps. Plut. 2,11 (vd. Zen. vulg  6,29) e dalla tradizione lessicografica rappresentata principalmente da Phot. τ 137 Th. (Suda υ 365 A.), vada ascritta a Clearco la sola prima parte: si esclude la menzione di Aristot. Ath. 28,3 (p. 15). Un’indicazione in tal senso era stata fornita già da Dorandi (T. D.,Prolegomeni a una nuova raccolta dei frammenti di Clearco di Soli, “GFA” XIV, 2011, 1-15: 13) con un rimando a Bühler (W. B., Zenobii Athoi Proverbia, vol. V, Göttingen 1999 474-475 e 478), che aveva a sua volta osservato una somiglianza fra la parte finale della spiegazione del proverbio nella tradizione che dipende da Clearco e Zen. Ath. 2,91. Dorandi ne conclude che “the problem remains unsolved, but it was, once again, necessary to make a choice” (p. 16). Sullo stesso testo mi pare importante segnalare la diversa punteggiatura adottata da Dorandi rispetto alla scelta compiuta da Leutsch e Schneidewin per i paremiografi, da Wehrli per Clearco , e da Theodoridis per Fozio: in accordo con la Adler e soprattutto con Kassel (R. K., Peripatetica, “Hermes” XCI, 1963, 52-59: 59), Dorandi pone la virgola prima di ὑπερβολικῶς. La scelta mi pare del tutto condivisibile, cf. Plb. II 62,9.

La nuova edizione dei frammenti conduce a considerazioni anche meno di dettaglio. Ad esempio, mentre si conferma l’interesse del Peripato e già di Aristotele per i proverbi e per i modi di dire, di alcuni si riesce ad apprezzare l’antichità di impiego. Mi pare persuasivo l’inserimento di Ἀκκίζεσθαι tra i frammenti, pur con cautela (*86): la costellazione paremiografica non fa menzione di Clearco ma Crusius a Clearco aveva ricondotto la spiegazione del proverbio (ricordato nel Subsidium, p. 280), perché il detto si trova in una sezione esplicitamente tratta da Clearco; e perché, direi, attestazioni analoghe e da ricondurre alla commedia si trovano in compilazioni antiche, che potrebbero avere proprio in Clearco una fonte più o meno mediata.

Clearco si mosse nel solco del Peripato, come mostrano i titoli, ma dall’andamento dei frammenti superstiti, per quanto si può cogliere, egli non fu incline allo stesso procedere logico caratteristico degli scolari diretti e non di Aristotele; e anche per questo, sono svariati i tentativi di valutare il ‘platonismo’ di Clearco, sostenuto, fra i molti, anche da Wehrli che parlava di Proletariatplatonismus. Il saggio di Richard Schorlemmer intende riconoscere le differenze sulla concezione dell’anima e sulla vita ultraterrena (pp. 327s.) fra Clearco e Platone, differenze che portano lo studioso a valorizzare in Clearco un’influenza dei circoli pitagorici e dell’orfismo: ne conclude che “Clearchus was, philosophically speaking, not a Platonist but a Peripatetic, with strong influences from an Orphic-Pythagorean tradition on his view on the soul and the afterlife” (p. 333).

Sulla collocazione filosofica di Clearco si concentra anche Francesco Verde, interessato alla psicologia indagata nello scritto sul sonno, oggetto di interesse non esclusivo di Clearco. Il programmatico confronto con Stratone di Lampsaco mostra come l’approccio del Peripato a questi temi fu molto vario. Può darsi che Clearco affrontò il sonno anche da un punto di vista fisiologico e biologico, ma ciò che resta del suo scritto, osserva Verde, permette di constatare che il sonno fu piuttosto per Clearco una prova dell’immortalità dell’anima oltre che della sua indipendenza e separabilità dal corpo; in Stratone invece l’approccio è biologico. Questa differenza spinge Verde a concludere: “while remaining a Peripatetic, Clearchus seems to support a more Platonic view” (p. 357).

A questi saggi segue quello di Wolfram Ax (1944-2020), che indaga sul piano esegetico e testuale i frammenti superstiti del Περὶ παιδείας (12-14); lo studioso si sofferma poi sull’anepigrafo fr. 64, abitualmente ricondotto, in via ipotetica, al Περὶ βίων (ma per una bibliografia sugli studi che discutono l’ipotesi che esso derivi dal Περὶ παιδείας si veda l’Appendix di Verhasselt, cf. p. 388). Le valutazioni di Ax sul Περὶ παιδείας sono opportunamente molto caute. Dopo avere valutato rapidamente altri testi in cui sono presenti varie proposte educative, e prima fra tutte quella dei libri 7 e 8 della Politica di Aristotele, lo studioso conclude: “I do not believe that we can really gain any more secure knowledge about Clearchus’ work by projecting onto Περὶ παιδείας content from earlier writings” (p. 383).

Nel successivo articolo Stephen White si occupa dello scritto sull’amore, il cui titolo egli ritiene più probabilmente maschile che neutro plurale, e, dopo una serrata analisi di tutto ciò che nei frammenti può suggerire qualcosa sulla forma e sui contenuti del testo, lo studioso conclude che “Erōtikoi presented eros in a largely favorable light […] something very similar to what today we would call romantic love” (p. 428), cosa che più agevolmente spiegherebbe i numerosi riferimenti e le citazioni dalla lirica (ibid.).

Che il Περὶ βίων sia un’opera sugli stili di vita costituisce l’ipotesi di Fortenbaugh (p. 442), che di questo ramo della speculazione greca ricorda le origini già presocratiche e dell’Accademia. Dopo un riesame dei frammenti e in particolare del fr. 40 (cf. supra), il saggio si conclude con una nota su uno degli esiti estremi, sul piano cronologico, di questo filone di ricerca, rappresentato dall’opera di Didimo (secondo Fortenbaugh Ario Didimo, cf. H. von Arnim, Areios 12, RE II/1, 1895, 626), cf. Stob. II 7.

Nel suo articolo Arnaud Zucker si occupa degli studi paremiologici di Clearco, àmbito presente all’interesse di Aristotele, e da non considerare sinonimi di studi sui proverbi (p. 479). Lo studioso si concentra sulle specificità del testo di Clearco, per concludere che la sua paremiologia “could be another symptom of the fact that the practices and issues destined to play a major role in the Alexandrine culture are already present and crucial in the Aristotelian turning point” (p. 509).

All’interesse sui Sette Sapienti e alla stele di Aï-Khanoum dedica le proprie attenzioni critiche Gertjan Verhasselt, che indaga svariati frammenti anche anepigrafi ma chiaramente interessati ai Sette Sapienti, e si risolve a favore di un’altissima probabilità che il Clearco della stele sia il peripatetico originario di Soli (p. 542).

Oliver Hellmann affronta l’interesse manifestato da Clearco per gli animali acquatici: Clearco non si occupò di animali secondo un’intenzione paradossografica, ma si mosse nel solco di Aristotele e poi di Teofrasto, senza limitarsi a riprodurne le ricerche e a ribadirne gli esiti (cf. in particolare p. 574).

Il saggio che conclude il volume si deve a Robert Mayhew, interessato a esaminare quanto nel De facie in orbe lunae (1-4) Plutarco a vario titolo riconduce a Clearco. A conclusione di un’analisi del passo di Plutarco e di altre testimonianze (in particolare Eust. Od. 1397,27-34), Mayhew ritiene “the Arcesilaus – the only work which we have reason to believe included discussion of celestial objects – may have been the work in which Clearchus discussed (or mentioned) his account of the face appearing in the Moon” (p. 606).

In definitiva, questo volume costituisce un’importante acquisizione negli studi su Clearco, e l’edizione di Dorandi andrà considerata come quella di riferimento.

 

Table of Contents

  1. Clearchus of Soli: The Sources, Text, and Translation, Tiziano Dorandi and Stephen White
  2. Clearchus, a Platonist?, Richard Schorlemmer
  3. Two Concepts of Sleep: Clearchus of Soli and Strato of Lampsacus, Francesco Verde
  4. Clearchus’ Περὶ παιδείας, Wolfram Ax†
  5. Appendix: Some notes on Clearchus’ Περὶ παιδείας, Gertjan Verhasselt
  6. Clearchus on Love, Stephen White
  7. Clearchus, On Lives, William Fortenbaugh
  8. Clearchus and Paroemiology, Arnaud Zucker
  9. The Seven Sages and the Inscription of Ai Khanoum, Gertjan Verhasselt
  10. Clearchus and Peripatetic Research on Aquatic Creatures, Oliver Hellmann
  11. Clearchus on the Face in the Moon, Robert Mayhew