Il volume di Alessia Grillone offre l’edizione critica, nonché la prima edizione a stampa, della traduzione del Nicocles isocrateo di Guarino Veronese, fondata su uno studio meticoloso della tradizione manoscritta e corredata da introduzioni, appendici e dalla traduzione del testo latino in italiano; vengono, inoltre, pubblicati, i paratesti che accompagnano la versione (ma circolano anche indipendentemente con l’epistolario), cioè la lettera di dedica a Leonello d’Este e l’Argumentum,[1] anch’essi con traduzione italiana.
Il lavoro di Grillone ha l’obiettivo di indagare la tradizione manoscritta del Nicocles di Guarino, delineando i rapporti genealogici tra i manoscritti, dei quali è fornito il censimento attualmente più aggiornato e completo. Il lavoro si inserisce, con alcuni validi contributi, in un settore di studi fiorente e segnato negli ultimi decenni da un significativo cambio di prospettiva. Se, infatti, in precedenza le traduzioni umanistiche erano studiate quasi solo per l’apporto che potevano eventualmente fornire alla filologia del testo greco, da alcuni decenni, nel quadro del grande interesse per l’Umanesimo italiano, si è compresa l’importanza di studiarne anche queste espressioni come opere autonome, che, pur nella diversità degli esiti, sono caratterizzate dalla tensione verso l’eloquentia e che ambivano a una circolazione autonoma al pari di opere originali. L’edizione di Grillone, che si basa su uno studio codicologico e paleografico puntuale dei testimoni e getta luce sulla prassi versoria di Guarino, risponde bene a questa nuova angolatura interpretativa.
I “Prolegomena” che precedono l’edizione del testo sono costituiti da quattro capitoli. Il primo contestualizza l’opera nel panorama delle traduzioni umanistiche, fornendo una succinta rassegna degli autori greci più tradotti nella prima metà del Quattrocento e mettendo in luce il ruolo di Manuele Crisolora, di cui Guarino fu allievo, nella definizione di una teoria della traduzione ad sententiam, ma rispettosa della proprietas del greco. Muovendo dagli importanti studi di Gualdo Rosa sulla fortuna di Isocrate nel Quattrocento,[2] Grillone evidenzia il ruolo del messaggio isocrateo nella definizione dell’ideale retorico e pedagogico dell’umanesimo e il valore delle orazioni parenetiche di Isocrate entro il programma pedagogico e politico di Guarino.
Il secondo capitolo inquadra l’opera nella vicenda biografica del traduttore e del dedicatario. Viene messa in rilievo l’importanza di Guarino non solo per la didattica del greco, in cui il tradurre ha un ruolo centrale, ma anche per la definizione del primo programma completo degli studia humanitatis. Il rapporto tra Guarino e Leonello d’Este, che è rappresentato come incarnazione dell’ideale del principe umanista, è delineato a partire dal carteggio tra i due e dalle traduzioni che Guarino dedicò al suo pupillo, perché ritenute strumenti utili alla formazione morale e politica del principe. L’accurata analisi contenutistica e retorico-stilistica che Grillone fa della lettera dedicatoria del Nicocles, inquadrandola nel genere letterario delle epistole di dedica, consente di comprendere il fine della dedica: Guarino intende fornire a Leonello una trattazione completa del «regentis officium», affiancando all’Ad Nicoclem, che Leonello già conosceva nella traduzione di Bernardo Giustiniani, l’altra orazione intitolata al re di Cipro. La lettera a Leonello (1433) costituisce il terminus ante quem per datare la traduzione, da collocare verosimilmente all’inizio degli anni Trenta.
Il terzo capitolo, incentrato sull’originale greco dell’orazione, ne illustra la trasmissione entro il corpus isocrateo e in particolare nel corpusculum parenetico comprendente Nicocles, Ad Nicoclem e la spuria Ad Demonicum, formatosi già in età antica[3] e riflesso nella circolazione delle versioni umanistiche (come attestano le miscellanee in cui il Nicocles è sempre associato ad almeno una delle altre parenetiche). La sintetica trattazione della storia della tradizione testuale di Isocrate, in particolare dei recentiores apografi di Λ,[4] fornisce le coordinate per un’indagine sulla fonte greca usata da Guarino, che si delinea, in forma di ipotesi, fra le “Note di commento” e l’“Appendice 2”.
Questi primi tre capitoli, piuttosto schematici, pur attestando la conoscenza vasta e approfondita della bibliografia da parte della studiosa, non apportano novità allo stato degli studi; tuttavia, le indicazioni bibliografiche, che coprono una pluralità di temi, possono riuscire utili anche agli studiosi di altre traduzioni umanistiche.
Frutto di un lavoro originale di prima mano è invece il quarto capitolo dell’introduzione, mirato alla recensio del testo della traduzione. Grillone ha collazionato integralmente i ventiquattro testimoni da lei individuati e ne ha ricostruito i rapporti genealogici sulla scorta degli errori significativi: la sostanziale unitarietà della tradizione consente di ricondurla a un archetipo perduto (Ω), che Grillone esclude possa coincidere con l’autografo di Guarino sulla base di alcuni errori comuni a tutti i testimoni, e anche con l’esemplare di dedica a Leonello (α), che risulta ad oggi perduto. Lo stemma codicum (p. 91) si articola in famiglie (β, γ, δ) e sottofamiglie in cui si ripartiscono quindici testimoni; ciascuno degli altri nove testimoni è caratterizzato da errori propri e sembra pertanto discendere recta via da Ω.[5] La documentazione testuale fornita è abbondante e mira, secondo l’intenzione dell’editrice, all’esaustività: per ciascun gruppo di testimoni è fornito non solo l’elenco delle lezioni cui è assegnato valore congiuntivo, ma anche, in nota, quello delle coincidenze in errori di probabile origine poligenetica. Il quadro stemmatico è confermato dall’esame del contenuto dei testimoni, quasi tutti miscellanee di traduzioni umanistiche: i manoscritti legati da rapporti di parentela tendono a presentare le stesse opere, talvolta copiate dagli stessi antigrafi.[6] Non sono messe a frutto altre indagini di tipo paleografico-codicologico; anzi, piuttosto sorprendentemente le descrizioni dei testimoni, elemento costitutivo essenziale di un’edizione critica, sono relegate in una delle appendici.
Il fulcro del volume è costituito dall’edizione critica del Nicocles guariniano, accompagnata da una traduzione a fronte in italiano godibile e al contempo precisa e aderente al testo latino, di cui mantiene l’andamento sintattico. Segnalo però la traduzione di [43] «Pur essendoci molte ragioni per cui mi soffermavo su queste pratiche, mi sentivo spinto non poco e mi spronava il fatto…», che è dovuta a un errore di interpretazione della sintassi: Grillone intende incitabar come coordinato a illud me provocabat, ma in realtà è il verbo della frase relativa introdotta da quibus.[7]
La costituzione del testo a partire dalle varianti tràdite generalmente non presenta difficoltà, ad eccezione di due passi problematici: Nic. 5, dove è stato opportuno integrare un <est> verosimilmente omesso per errore già nell’archetipo, e Nic. 17, dove la lezione maggioritaria ad deliberationes agendas ad gerenda necessaria è sintatticamente un po’ dura, ma accettabile considerando coordinati per asindeto i due gerundivi. Queste e altre scelte editoriali sono giustificate nelle “Note di commento”. Non è spiegato, però, perché a Nic. 29 è messo a testo quae a fronte di igitur quae, tràdito dalla maggior parte dei testimoni, anche tra loro indipendenti, e che trova rispondenza nel greco οὖν.[8]
L’apparato critico è «non maasiano», perché riporta anche le lezioni dei codices descripti, vanificando l’eliminatio e rendendo più faticosa e meno efficace la consultazione; l’intento «di fornire un quadro il più possibile completo ed esaustivo della tradizione manoscritta» (p. 99) è già meglio conseguito nei “Prolegomena”. Una complicazione inutile appare anche, in ogni caso, l’inserimento di sigla aggiuntivi rispetto allo stemma, per indicare l’accordo tra antigrafo e il suo apografo. A questo proposito, sarebbe preferibile che i sigla fossero riportati in ordine alfabetico per ciascuna lezione, perché ne avrebbe facilitato la memorizzazione, permettendo al lettore una comprensione migliore dell’apparato.
Nelle “Note di commento” sono anche segnalate le divergenze entro la tradizione del testo greco, incluse però quelle non utili ai fini dell’indagine sulla fonte usata da Guarino, perché è impossibile determinare la lezione greca presupposta dalla traduzione.
Chiudono il volume cinque appendici. La prima riguarda una possibile allusione alla vicenda di Lucrezia contenuta nella traduzione di Nic. 36: lo spunto interpretativo è interessante, ma forse fuori luogo nell’economia dell’edizione. La seconda intende delineare la facies testuale del manoscritto greco usato da Guarino, selezionando le lezioni greche dirimenti tra quelle indicate nelle “Note di commento” (che quindi risultano ridondanti: un’unica trattazione in cui fossero segnalate e discusse solo queste lezioni, sarebbe stata sufficiente)[9]. Nella terza Grillone espone le sue osservazioni sul metodo versorio di Guarino e, nelle note, le mette in relazione con quelle raccolte dagli studiosi di altre traduzioni guariniane: questa sezione è particolarmente importante, perché manca ad oggi uno studio complessivo e sistematico dell’habitus interpretandi di Guarino.[10] Della quarta con la descrizione dei manoscritti, si è detto. Infine, nella quinta è ristampato il testo di Isocrate nell’edizione di Drerup,[11] ma senza apparato critico, cosicché risulta effettivamente poco utile (diverso, semmai, sarebbe leggerlo a fronte del testo latino, al posto della traduzione italiana, ‘scientificamente’ non necessaria).
Questo lavoro, pur meritorio, risente, a mio avviso, della sua origine da una tesi di laurea a causa della presenza di materiali accessori e parti compilative rinunciabili o che avrebbero potuto essere maggiormente circoscritte e approfondite (come nel caso dei primi due capitoli dell’introduzione)[12]. In ogni caso, l’edizione rappresenta indubbiamente un avanzamento importante negli studi su Guarino traduttore, mettendo a disposizione degli studiosi un testo finora inedito in veste criticamente affidabile e gettando le basi per future edizioni delle versioni umanistiche delle altre due orazioni parenetiche del corpus isocrateo, Ad Nicoclem e Ad Demonicum.
Notes
[1] Epistolario di Guarino Veronese raccolto, ordinato, illustrato da Remigio Sabbadini, vol. II, Venezia, 1916 (Miscellanea di storia veneta, 3, 8), pp. 258-260 (n. 675).
[2] Lucia Gualdo Rosa, La fede nella paideia. Aspetti della fortuna europea di Isocrate nei secoli XV e XVI, Roma, 1984 (Studi storici, 140-142). Si veda anche il suo recente Lapo da Castiglionchio il Giovane e la sua versione delle prime tre orazioni di Isocrate. Con in appendice l’edizione critica dei testi, Roma, 2018 (Nuovi studi storici, 109).
[3] La prima attestazione è data da P Kellis III Gr. 95 (IV sec. d. C.).
[4] Manca uno studio specifico sulla tradizione del Nicocles: Grillone si fonda sui risultati delle indagini di Stefano Martinelli Tempesta per il Panegirico e di Mariella Menchelli per Ad Demonicum.
[5] Non tutte le lezioni appaiono ugualmente significative; p. e. di Vat.1 sono elencati anche errori corretti da Vat.12 «ope ingenii» (85-86), ma questi evidentemente non hanno valore separativo.
[6] Come è stato dimostrato p. e. per le traduzioni delle parenetiche di Lapo da Castiglionchio contenute nei codici C, D, L e O.
[7] Piuttosto: «Pur essendoci molte ragioni dalle quali mi sentivo spinto a soffermarmi su queste pratiche, non poco mi spronava anche il fatto…». Il fraintendimento è riflesso nella punteggiatura del testo latino: la virgola va spostata dopo incitabar («Multa cum adessent quibus ut his insisterem exercitiis incitabar, non mediocriter et illud me provocabat…»). Così va corretto p. 182, n. 19, dove è citato tra gli esempi di dittologia incitabar… et… provocabat a fronte del greco παρεκάλεσεν, a cui corrisponde in realtà il solo provocabat.
[8] Fra l’altro, la presenza di igitur in M, ma non in Est.2, può forse suggerire un rapporto di derivazione dallo stesso antigrafo, invece che di filiazione, come invece ipotizza Grillone (p. 73).
[9] Segnalo una svista a Nic. 62: secondo Grillone (pp. 164, 174) la lezione οἵους περ <ἂν>… οἴεσθε della seconda famiglia (Λ Π ς) avrebbe motivato il futuro cernetis nella traduzione. Questo verbo, però, si trova in Nic. 63; in Nic. 62 c’è il presente censetis.
[10] Segnalo alcune imprecisioni: a p. 193, n. 58 (sui vari modi di tradurre δεῖ e χρὴ) Nic. 10 gerant e Nic. 11 suscipiatur sono i verbi di interrogative indirette, non congiuntivi esortativi; a p. 196 (sui modi di tradurre l’infinito sostantivato) Nic. 55 τοῦ… εἶναι non è tradotto con una subordinata infinitiva, ma con i sostantivi saevitiam atque benignitatem; a p. 199 Nic. 3 invadant nell’interrogativa indiretta è congiuntivo, come di norma, e non indicativo.
[11] Isocrates, Opera omnia recensuit, scholiis, testimoniis, apparatu critico instruxit Engelbertus Drerup, I, Leipzig, 1906.
[12] Grillone giustifica la pubblicazione delle parti «di necessità compilative» (p. xv) in quanto utili al lettore non specialista. Ora, è del tutto improbabile che lettori non specialisti ricerchino questo genere di edizioni. Una scelta editoriale più oculata, a mio giudizio, avrebbe consigliato di ripartire i materiali in due distinte pubblicazioni: un’edizione scientifica, come è quella che Grillone dà del testo guariniano, corredata da prolegomena di taglio filologico, e una pubblicazione dedicata a non specialisti (p. e. priva di apparato critico), a cui forse avrei limitato la traduzione italiana.