Il volume raccoglie le testimonianze antiche sulla vita e l’opera del musico Melanippide di Melo e i frammenti relativi alla sua poetica, corredati dalla traduzione italiana e dall’apparato critico, che offre un’ampia lettura delle diverse soluzioni esegetiche proposte dagli studiosi. Rispetto alle precedenti edizioni, emergono sostanziali elementi di novità, come, ad esempio, la valorizzazione dell’opera erudita trasmessa da P. Vind. 19996 (test. 8 e fr.°12) e la diversa valutazione di [Plut.] Mus. 15, 1136b-c, che è annoverato dall’Autore tra i frammenti (fr. 9) e non tra le testimonianze.
L’ampia introduzione è articolata in sette paragrafi, nei quali sono affrontate tematiche e problematiche relative all’identità del poeta, alla cronologia, alla biografia, alle composizioni e alle innovazioni musicali, alla lingua e allo stile, alla metrica, alla fortuna e alla tradizione del testo.
Ad una ricca e aggiornata bibliografia segue la raccolta delle testimonianze divisa in tre sezioni: una relativa alla vita e alla cronologia del poeta (testt. 1-4), l’altra all’attività musicale (testt. 5-8), l’ultima al giudizio degli antichi (testt. 9-10). L’aggiunta di un’appendice su Melanippide I (testt. 1-3), nonno dell’omonimo e più celebre esponente della Nuova Musica, è finalizzata a dirimere la questione sull’identità delle due figure, spesso confuse nel corso della tradizione.
I frammenti sono distinti in ditirambi (frr. 1-3) e frammenti di sede incerta (frr. 4-11), ai quali si aggiunge un frammento dubbio (fr. °12).
Il commento costituisce la parte più cospicua e interessante dell’opera e presenta interpretazioni originali e significative che contribuiscono a fare luce su aspetti ancora ignoti della vita e della poetica di Melanippide.
Chiudono il volume gli accurati indici delle fonti, dei termini e delle cose notevoli.
Il primo problema che l’Autore si propone di indagare è quello dell’identità di Melanippide. La Suda distingue due poeti con questo stesso nome, rispettivamente nonno (μ 455 Adler = App. test. 2) e nipote da parte di figlia (μ 454 Adler = test. 2). L’Autore riesanima le due voci del lessico bizantino sulla cui autenticità alcuni studiosi, a partire da Rohde, hanno espresso dubbi e giunge alla conclusione che siano esistiti due Melanippide, entrambi originari di Melo, l’uno attivo nella prima decade del V secolo a.C., e l’altro tra gli anni ’70 del V secolo e la morte avvenuta alla corte macedone tra il 413 e il 399 a.C., identificabile con l’‘innovatore’ di cui parla Ferecrate nel Chirone (test. 5). La più generica notizia trasmessa dalla Suda (test. 2) che attribuisce al poeta molte innovazioni nel campo della melopea ditirambica è esplicitata da altre fonti: il Chirone di Ferecrate (test. 5) mette in scena Mousike, rappresentata come una donna lacera e malconcia, che si lamenta con Dikaiosyne per lo stato in cui è ridotta. Accusa Melanippide di averla “allentata” e resa “più languida con la sua dozzina di nervi”. Dietro all’allusione oscena, secondo l’Autore si nasconde la denuncia dell’impiego da parte del poeta di un’ampia gamma di note, ottenuta attraverso la frammentazione dello spazio sonoro che consentiva di modulare da un’armonia all’altra, e di aver introdotto armonie “rilassate”, cioè con una tessitura al grave, ribadito in un passo del De musica pseudoplutarcheo (test. 7) che testimonia una maggiore complessità e varietà armonica sperimentate dal ditirambografo nell’auletica.
Da Democrito di Chio (test. 6) sono attribuite a Melanippide anabolai al posto delle antistrofi, un’infrazione alla norma che prevedeva una proporzione tra strofe e antistrofe nella struttura triadica[1]. L’Autore ritiene poco verosimile che il poeta abbia abolito del tutto la responsione, mentre considera plausibile che, in un primo momento, solo la parte proemiale del ditirambo fosse una lunga introduzione strumentale e che l’abolizione completa della responsione strofica abbia costituito uno sviluppo successivo del ditirambo, in cui ebbe un ruolo decisivo Filosseno di Citera, che introdusse assolo lirici virtuosistici anche all’interno del ditirambo (test. 33a Fongoni)[2]. La Suda, del resto, istituisce un legame tra i due poeti (test. 4 = Philox. test. 5 Fongoni), affermando che Melanippide acquistò Filosseno come schiavo e lo istruì nell’arte musicale.
Una testimonianza particolarmente rilevante, ma non sufficientemente valorizzata fino alla presente edizione, è la menzione di Melanippide nel P. Vind. 19996a (test. 8), un trattato erudito di tradizione peripatetica, databile tra I sec. a.C. e I d.C., forse un commentario ad un solo poeta o ai maggiori rappresentanti della Nuova Musica[3], in cui il ditirambografo è ricordato per aver saputo utilizzare l’harmonia più appropriata nel passaggio da una sezione tematica ad un’altra di un brano poetico. L’affermazione rappresenta una novità rispetto a quanto sostenuto nella Politica (8, 1342b 1-14) da Aristotele che, prendendo ad esempio i Misii di Filosseno (frr. 15-16 Fongoni), in cui il poeta aveva tentato una esecuzione in armonia dorica, ricorda che per la natura stessa del ditirambo era stato costretto a ritornare all’armonia frigia, considerata la più adatta al genere.
Nonostante l’esiguità dei frammenti superstiti, all’Autore va riconosciuto il merito di aver ricostruito due tipologie metriche utilizzate da Melanippide: i kat’enoplion-epitriti da un lato (frr. 1, 2, 5) e sequenze miste eoliche e giambo-trocaiche dall’altro (frr. 3, 4, 6, °12)[4]. Come l’Autore osserva, la polimetria appare propria del ditirambo a partire da Pindaro e da Bacchilide. Secondo la testimonianza del De musica attribuito a Plutarco (test. 7), Laso di Ermione avrebbe poi esteso l’andamento ritmico del ditirambo ad altri generi poetici influenzati dalla Nuova Musica. Melanippide occupò quindi una posizione mediana tra la tradizione melica rappresentata da Pindaro e da Bacchilide e la fase più avanzata della Nuova Musica e le sue innovazioni consistettero principalmente in virtuosismi melodici realizzati nelle anabolai, la cui tessitura metrica era certamente più complessa che in altre sezioni della composizione.
L’Autore analizza la lingua dei frammenti, evidenziando che il lessico attinge in gran parte alla poesia epica, melica e tragica, e si serve di termini composti, cifra stilistica del nuovo ditirambo; frequenti sono le figure di suono e di significato come allitterazioni, metonimie e metafore, funzionali ad “una poesia per musica che mira anzitutto ad emozionare, affascinare, sedurre” (p. 25). La coloritura dialettale, propria della melica corale, si limita ad una leggera patina ‘dorica’, e la sintassi appare caratterizzata principalmente da legami paratattici, come nelle composizioni degli altri poeti-musici contemporanei.
Nelle Danaidi (fr. 1), le cinquanta figlie di Danao, descritte prima della loro fuga dall’Egitto/Libia verso Argo, sono caratterizzate come Amazzoni, non si dedicano ad attività femminili ma si allenano su carri da guerra e praticano la caccia e la raccolta di essenze odorose e datteri. Il loro mito è poco attestato: un confronto più significativo si ha con la Danais (fr. 1 Davies = Bernabè = West), un poema epico di incerta datazione (forse VI a.C.), dove sono descritte mentre indossano armi nei pressi del Nilo, e con le Supplici di Eschilo in cui sono rappresentate simili ad “Amazzoni prive di mariti, mangiatrici di carne cruda” (v. 287). Dalla ricostruzione dell’Autore emerge che l’attenzione di Melanippide per il mito delle Danaidi rientra in un più generale interesse per il confronto greci-barbari che caratterizzò il clima culturale ateniese a partire dall’inizio del V secolo a.C. Inoltre il frammento denuncia l’attrazione per quel gusto dell’esotico che accomuna e caratterizza altri esponenti della Nuova Musica: i naufraghi orientali nei Persiani di Timoteo (PMG 791), i Frigi e i Lidi compagni di Pelope in un frammento di Teleste (PMG 810). L’Autore ipotizza che il ditirambo proseguisse con il viaggio delle Danaidi verso Argo, il matrimonio con gli Egiziadi e il loro assassinio, vicenda sulla quale si focalizzò l’attenzione dei tragici già a partire da Frinico e dunque ben nota al pubblico ateniese.
Nel Marsia (fr. 2) Melanippide riprende un mito popolare ad Atene nella seconda metà del V a.C.: il rifiuto dell’aulo da parte di Atena che, dopo averlo inventato, lo abbandona perché suonarlo le deturpa il viso. Lo raccoglie il satiro Marsia che sfida in una gara musicale Apollo: l’esito negativo della gara porta, secondo una versione del mito, allo scorticamento del satiro, secondo un’altra alla sua conversione alla lira. Nel ditirambo verosimilmente si narrava l’agone musicale tra Marsia e Apollo che consentiva al poeta un’esibizione di virtuosismo musicale. A tal proposito, riprendendo un’ipotesi formulata da Boardman[5], alcuni studiosi sostengono l’ipotesi che il ditirambografo avrebbe eseguito nel Marsia un assolo citaristico, mentre l’Autore ritiene che la performance musicale fosse stata eseguita con l’aulo che avrebbe rievocato mimeticamente la musica dello strumento a corde apollineo. Il discorso si inserisce nella discussione più ampia sull’arte auletica attribuita da Ateneo a Melanippide e Teleste. Quest’ultimo, nell’Argo (PMG 805 a-c), avrebbe introdotto una variante mitica rispetto a quanto narrato nel Marsia da Melanippide: Atena, votata alla verginità, non si sarebbe preoccupata del suo aspetto fisico, perciò non avrebbe rigettato l’aulo, ma lo avrebbe donato a Dioniso, dio del ditirambo[6].
Nella Persefone (fr. 3), il poeta menziona l’Acheronte in relazione al rapimento della dea da parte di Ade. Verosimilmente al componimento poteva appartenere anche il fr. 8, di sede incerta, in cui Demetra è identificata con la Madre degli dei. Si tratta di un’assimilazione di Demetra con altre divinità femminili dai tratti simili come Gea, Estia, Rea, che trova riscontro in altre fonti poetiche di età classica e conferma la piena integrazione di Melanippide nel contesto religioso ateniese influenzato dai misteri eleusini e da culti di origine orientale.
Il fr. 4, molto probabilmente un ditirambo, menziona Eneo, re di Calidone, legato all’invenzione del vino; il tema dionisiaco è quasi sicuramente da connettersi con quello trattato nel fr. 5 incentrato sugli effetti prodotti dal bere smodato. Nel fr. 6, un inno o un ditirambo, si affacciano le credenze misteriche bacchico-orfiche con l’invocazione di una divinità identificabile con Zeus o Dioniso; nel fr. 7 spicca l’originale immagine di Eros ‘seminatore’; nel fr. 10 si narra una nuova e problematica versione della nascita di Achille, frutto dell’unione di Zeus e Tetide, e solo in seguito affidato a Peleo, per scongiurare le nefaste conseguenze della profezia di Prometeo o di Temide ovvero che, da quell’unione, sarebbe nato un figlio più forte del padre degli dei.
Rilevante la presenza di un brano del De musica pseudoplutarcheo che per la prima volta è annoverato tra i frammenti di Melanippide (fr. 9). L’Autore dichiara inammissibile la notizia dell’attribuzione a Melanippide del lamento funebre per Pitone in armonia lidia, ma ipotizza che il compilatore possa aver travisato la fonte in cui forse il poeta era ricordato per aver menzionato l’epicedio di Olimpo per Pitone in un suo componimento. Se così fosse, nel De musica sarebbe contenuta la velata notizia di un frammento di Melanippide, simile all’Asclepio di Teleste (PMG 806), che seguirebbe la scia tematica di altri frammenti su vicende mitiche legate alle origini della musica come il Marsia (fr. 2) e il fr. 11, narrazione della vicenda del mitico citarodo Lino, cantore di fama ucciso da Apollo. Testimonierebbe, quindi, l’interesse per la musica del periodo mitico e per le invenzioni che la caratterizzarono.
Unico frammento dubbio è il 12 da attribuire, come ipotizzato di recente da Battezzato, alla Persefone di Melanippide[7].
L’analisi condotta da Marco Ercoles offre un quadro organico e un’indagine critica su notizie e elementi frammentari della produzione di Melanippide di Melo e consente di ricostruire l’immagine di un innovatore moderato che fece da apripista ai successivi rappresentanti del cosiddetto Nuovo Ditirambo; di un poeta molto apprezzato da taluni ma, allo stesso tempo, contestato da altri per le sue innovazioni musicali. Il presente lavoro aggiunge un prezioso tassello alla ricostruzione dell’attività di quel gruppo di avanguardisti che rivoluzionò il concetto di mousike nell’Atene del V-IV secolo a.C. e costituisce uno strumento imprescindibile per chi voglia approfondire lo studio di un periodo, breve ma intenso, della storia poetico-musicale greca.
Notes
[1] Il termine anabole indica nel contesto poetico-musicale l’incipit del canto accompagnato da uno strumento o il preludio strumentale che precede il canto.
[2] Vd. A. Fongoni, Philoxeni Cytherii testimonia et fragmenta, Pisa-Roma 2014, p. 23; 26 s.
[3] Per la ricostruzione del papiro vd. H. Oellacher-Salzburg, Eine exegetische Schrift zum späteren Dithyrambos, in H. Gerstinger – H. Oellacher-Salzburg – K. Vogel (edd.), Griechische literarische Papyri, I, Wien 1932, pp. 136-145.
[4] Il fr. 7 è compatibile con entrambe le tipologie metriche.
[5] J. Boardman, Some Attic Fragments. Pot, Plaque and Dithyramb, «JHS» 76, 1956, pp. 18-25.
[6] Vd. A. Fongoni, Atena e l’aulos nel Marsia di Melanippide (fr. 758 Page/Campbell) e nell’Argo di Teleste (fr. 805 a-c Page/Campbell), in L. Bravi et alii (edd.), Tra lyra e aulos. Tradizioni musicali e generi poetici, Pisa-Roma 2016, pp. 233-245.
[7] L. Battezzato, Dithyramb and Greek Tragedy, in B. Kowalzig-P. Wilson (edd.), Dithyramb in Context, Oxford 2013, pp. 93-110, in part. p. 101 s.