Il libro che qui si segnala contiene l’edizione della Teriaca a Panfiliano e consta di Notice (pp. VII-CLII), Conspectus siglorum (pp. CLIII-CLIV), Texte et traduction (pp. 1-27), Notes complémentaires (pp. 29-69).
Opera di un medico anonimo, questo antidotario entrò nella collezione degli scritti di Galeno di Pergamo già sul finire dell’età antica né della sua autenticità dubitò alcuno degli autori medievali che variamente vi attinsero tra il VI e il XII secolo: Aezio di Amida, Paolo di Egina, Maimonide. Quando però nel 1541 ne fu stampata a Venezia la traduzione latina a cura di Julius Martianus Rota, questi avvertiva il lettore della possibilità che la Teriaca a Panfiliano non fosse da annoverare tra gli scritti genuini di Galeno. Tra i filologi dell’Ottocento che dedicarono parte delle loro cure a Galeno fu Johannes Ilberg a nutrire forti dubbi sull’autenticità della Teriaca (Über die Schriftstellerei des Klaudios Galenos, in «Rheinisches Museum» 51 [1896] 165-196). Il suo autore, infatti, menziona i propri maestri romani, ma Galeno, osservava giustamente Ilberg, era giunto a Roma nella piena maturità e con un solido percorso di studi alle spalle. L’opinione di Ilberg fu poi condivisa da altri studiosi, tra cui nel 1997 Vivian Nutton (Galen on theriac: problems of authenticity, in: Galen on Pharmacology, ed. A. Debru, Leiden 1997, p. 131-151).
Per la storia della ricezione della Teriaca a Panfiliano è illuminante ora il resoconto di V. Boudon-Millot alle pagine VIII-XV della Notice. Un originale contributo della studiosa alla questione dell’autenticità dell’opera è l’analisi del lessico della Teriaca (pp. XVI-XXIV). Ne risulta così che anche da questo punto di vista l’opera è assai difficilmente compatibile con la tesi dell’attribuzione a Galeno. È verosimile datare questa Teriaca tra la fine del II e la prima metà del III secolo, e tale datazione sarebbe coerente con i risultati dello studio del vocabolario usato nell’opera (pp. XXIV-XXV). Assai probabile luogo di composizione potrebbe essere l’Egitto, e più precisamente l’area della città di Alessandria; autore un medico attivo in Egitto, ma forse, come lo stesso Panfiliano, originario di Creta, vissuto a Roma, dove ebbe tra i maestri un altrimenti sconosciuto Eliano Meccio (pp. XXVII-XXVIII).
Nella Notice, alle pagine su datazione e autore ne seguono alcune riguardanti l’analisi dell’opera innanzitutto dal punto di vista del genere letterario di appartenenza, quello “teriaco” appunto, che tradizionalmente procede nell’esposizione della materia secondo un triplice ordinamento: indicazione terapeutica, composizione e preparazione dell’antidoto. Di alcune ricette contenute nella Teriaca a Panfiliano si individuano gli antecedenti in opere di Galeno, ma senza sminuire l’originalità dell’autore di questa Teriaca. Degli scritti di Galeno e di altri medici egli infatti ha cercato di recuperare il metodo per poter utilizzare con successo lo stesso antidoto in casi diversi (pp. LXXIV-LXXXIV). Sulla storia della teriaca Boudon-Millot, in collaborazione con F. Micheau, aveva già prodotto un importante volume miscellaneo, segnalato nella nota 1 di p. VII (La Thériaque: Histoire d’un remède millénaire, Paris 2020).
La seconda parte della Notice (pp. LXXXV-CLII) è dedicata alla tradizione dell’opera. Ci conservano il testo greco della Teriaca a Panfiliano otto codici di età compresa tra il V-VI secolo e il XVI. Tra essi si segnala un palinsesto, l’attuale Neapolitanus Lat. 2 che nella scrittura inferiore contiene estratti da testi medici, tra cui anche la Teriaca. I rimanenti sette codici si possono raggruppare in due grandi famiglie: quella il cui capostipite è l’Ambrosianus B 108 sup. del secolo XIV e l’altra risalente al Laurentianus plut. 74.5 del secolo XII. Il codice Laurenziano e i suoi tre discendenti di età umanistica (il Marcianus Gr. Z 281, il Parisinus Gr. 2164 e il Parisinus suppl. Gr. 35) sono mutili della fine del trattato. L’Ambrosiano, più recente del Laurenziano, tramanda molte buone lezioni in accordo con il testo nel palinsesto. Dall’Ambrosiano derivano i codici umanistici Vaticanus Urbinas Gr. 70 e Marcianus Gr. Z. 279, dei quali il primo è importante per la costituzione del testo in quanto contiene la parte finale del trattato andata perduta nell’Ambrosiano. I risultati delle indagini sul testo dei manoscritti greci sono riassunti nello stemma dei codici a p. CV. Si evince che alla base dell’edizione di Boudon-Millot stanno i capostipiti delle due famiglie di manoscritti individuate, pur con l’apporto essenziale del codice Urbinate.
Oltre che di una tradizione greca, la Teriaca a Panfiliano gode anche di una orientale, testimoniata oggi da una traduzione in arabo nel codice Aya Sofya 3590, traduzione che cronologicamente si può collocare a monte del cosiddetto archetipo dei manoscritti greci, per il fatto di contenere porzioni di testo da essi omesse. È verosimile che la traduzione risalga al secolo IX e che, stante la testimonianza del traduttore e dotto arabo Hunain ibn Ishaq, essa dipenda dall’intermediazione di una precedente traduzione siriaca. La traduzione araba fu utilizzata da Maimonide negli Aforismi medici, a riprova della sua fortuna.Traduzioni latine della Teriaca a Panfiliano furono realizzate in età medioevale da Nicola da Reggio, il quale impiegò un manoscritto greco testualmente affine al Laurenziano, e in epoca umanistica da Camerario, Rota e Rasario (pp. CXXIII-CXXIX). Dei testimoni indiretti (Aezio di Amida e Paolo di Egina), con la loro posterità in alcune compilazioni di tarda epoca bizantina, e delle edizioni succedutesi tra l’Aldina del 1525 e la Kühniana del 1827 trattano le pagine CXXX-CXLIX nella Notice.
Il testo greco, stampato come di regola nelle edizioni di questa collana sulle pagine di destra, è corredato nella parte inferiore della pagina di due apparati: quello dei testimoni, con le informazioni essenziali sullo stato della tradizione e gli eventuali luoghi paralleli, e l’apparato critico. Sulle pagine di sinistra è stampata la traduzione francese. Della teriaca il nostro trattato lascia emergere l’aspetto di un sapere pratico, il cui vantaggio sarebbe nullo se limitato esclusivamente al possesso di nozioni teoriche avulse dalla pratica (cfr. p. 4,2-6 nella presente edizione). Del resto, è proprio l’esperienza nell’arte, unita alla duttilità dell’ingegno, a segnare la differenza del già nominato Eliano Meccio dagli altri maestri dell’autore (cfr. p. 6,7-7,3). Notevole è nel testo anche la registrazione di usi epicorici quanto all’onomastica: per esempio, nel caso della fava egizia a p. 13,5-7 o dell’antidoto noto come galene, da alcuni chiamato “teriaca” (cfr. p. 22,7-10).
Accompagnano il testo le Notes complémentaires dedicate non solo alla spiegazione delle scelte editoriali, ma anche all’illustrazione dei numerosi Realien medici, botanici e farmacologici presenti nel testo cosicché chi voglia affrontare la lettura della Teriaca a Panfiliano può ora orientarsi meglio sul piano ecdotico e su quello storico-archeologico.