BMCR 2023.06.13

Early Latin poetry

, Early Latin poetry. Brill research perspectives in classical poetry. Leiden; Boston: Brill, 2022. Pp. 137. ISBN 9789004518261.

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Il campo di indagine di questo libro di Jackie Elliott è ben individuato nell’”abstract” introduttivo (p. 1), in cui si precisa che l’”early Latin poetry” a cui si riferisce il titolo è, più specificamente, la più antica poesia romana che ci è pervenuta solo in frammenti, quindi con l’esclusione di Plauto e Terenzio. Da vari cenni nel libro si capisce poi che nel titolo la presenza dell’aggettivo “early” è frutto di una scelta deliberata per evitare l’aggettivo “archaic”, percepito come un implicito giudizio negativamente connotato secondo una prospettiva della poesia latina successiva (cfr. in part. p. 72; e nei rari casi in cui è usato a indicare la poesia latina più antica, l’aggettivo “archaic” è usato tra virgolette: cfr. p. 56, n. 224 ; p. 64, n. 271): si avverta che qui, pur nella consapevolezza delle connotazioni negative dell’aggettivo, in mancanza di alternative soddisfacenti in italiano, continuerò per brevità a usare “arcaico”.

Con analoga consapevolezza nei confronti dei possibili condizionamenti a cui rischiano di esporci inavvertitamente le classificazioni e le informazioni che ci giungono filtrate e plasmate attraverso una tradizione plurisecolare, Elliott, nel capitolo finale, il settimo (“Reflection”: 86-89), presenta la stessa categoria di “early Latin poetry” come “conventional”, e la selezione degli argomenti e degli autori trattati nel corso del libro (e in particolare nel capitolo 5, pp. 53-83, costituito da 6 sottocapitoli dedicati rispettivamente a Livio Andronico, Nevio, Ennio, Pacuvio, Lucilio e Accio) come “narrow and artificial” (88), e la giustifica convincentemente in quanto si tratta di autori che “our problematic sources, for better or for worse, present as the ones necessary to an interpretation of the history here in question” (88). Proprio alla luce di queste considerazioni, mi risulta tuttavia meno chiara la ragione dell’assenza, tra gli autori trattati nel volume, di Cecilio che, come viene ricordato anche da E. (cfr. p. 60 e 74), venne considerato il migliore autore comico sia da Volcacio Sedigito che da Cicerone.

Sempre nelle conclusioni finali si esplicita l’obiettivo del libro: “to offer orientation to those newer to or more distant from the material in question”. Diciamo subito che il lavoro di Elliott presenta tutti i requisiti utili al pieno raggiungimento di questi scopi; innanzitutto una struttura chiara che permette di avere un immediato quadro di insieme degli argomenti trattati, suddivisi in complessivi 7 capitoli: il primo (pp. 1-18) è dedicato alla problematica individuazione delle origini della letteratura latina; il secondo (pp. 18-22) affronta molto opportunamente più generali questioni di metodo per affrontare i difficili testi frammentari oggetto di studio nel libro; il terzo (pp. 22- 31) è incentrato sulle questioni, in passato troppo spesso trascurate, attorno ai destinatari e alle modalità di circolazione originaria delle opere latine arcaiche; il quarto (pp. 31-53) e il già menzionato quinto capitolo (pp. 53-83) sono tra loro complementari perché trattano i testi frammentari della letteratura latina arcaica da due diversi punti di vista: per genere letterario nel quarto capitolo (suddiviso in 5 sottocapitoli, rispettivamente dedicati alla Fabula crepidata, alla Fabula praetexta, all’epica, alla satira e ad altri generi) e, come si è visto, per autore nel quinto capitolo. Segue infine un sesto capitolo dedicato specificamente alla ricezione: la brevità della discussione dedicata a tale questione (pp. 83-86) non deve ingannare non solo perché si tratta, al solito, di pagine molto dense e informate, ma anche perché in tutto il libro di Elliott l’analisi della documentazione relativa alla poesia latina arcaica si intreccia sempre strettamente con una attenta considerazione delle fonti successive che ce l’hanno conservata. Dopo il già citato, ultimo capitolo, il settimo, quello dedicato alle conclusioni, il volume termina con una amplissima bibliografia che occupa 42 pagine (pp. 89-131), quasi un terzo dell’intero libro. Nel complesso, proprio grazie alla chiara organizzazione del volume, che permette di ritrovare abbastanza agevolmente le numerose discussioni anche su questioni più specifiche che arricchiscono il lavoro di Elliott, non si fa rimpiangere troppo l’assenza di un indice delle cose notevoli e di un index locorum, che però avrebbero aiutato a recuperare informazioni che si annidano nel corposo apparato di note (392, spesso molto estese) che accompagnano il testo principale. Si vedano ad esempio casi come la ricca n. 39 sulla documentazione materiale relativa alle rappresentazioni teatrali in epoca arcaica, ma l’esemplificazione potrebbe facilmente moltiplicarsi. Un indice delle cose notevoli avrebbe potuto anche dare uno sguardo di insieme su questioni che vengono toccate a più riprese nell’ambito del libro: ad esempio per la questione della “literacy” (di cui si parla alle pp. 3-4 e nn. 10 e 11; p. 13 e n. 48; p. 24 e n. 93; degli elementi autobiografici in Nevio toccata a p. 60 si fornisce opportunamente un rinvio al medesimo tema trattato in relazione a Ennio a p. 71 e n. 307: ma in quest’ultima trattazione manca un rinvio al precedente neviano discusso a p. 60.

Oltre all’organizzazione del materiale, concorrono all’intento introduttivo perseguito da Elliott anche una esposizione chiara, affidabile e attentissima a distinguere, all’interno della documentazione che ci è pervenuta, i dati certi o almeno accertabili con sufficiente sicurezza (assai pochi, come mette ben in evidenza Elliott), da quelli che appaiono il frutto di ipotetiche ricostruzioni successive (di cui Elliott ricostruisce di volta in volta i peculiari presupposti culturali e ideologici: particolarmente efficaci mi sono sembrate le pagine riservate alla questione delle origini – si veda la discussione sulla famosa testimonianza di Livio 7,2: p. 8 – e quelle relative agli Annales di Ennio, pp. 46 ss., in cui ovviamente Elliott ha potuto far confluire la sua ben nota competenza acquisita nei suoi importanti lavori in materia). Un aspetto che trovo particolarmente apprezzabile in generale, e tanto più in lavori con intenti introduttivi su testi estremamente controversi come i frammenti di tradizione indiretta, è l’approccio antidogmatico e sanamente problematico che, pur senza rinunciare a prendere posizione, porta Elliott a considerare tutte le possibili soluzioni alternative e a mettere così il lettore nelle condizioni di formarsi una propria opinione al riguardo (si tratta peraltro di un approccio che riflette coerentemente le importanti considerazioni di metodo sull’allestimento di edizioni di testi frammentari che Elliott svolge nel secondo capitolo, di cui si veda in particolare p. 22, e che vengono riprese nelle conclusioni, p. 88). Da segnalare che Jocelyn (The Tragedies of Ennius, Cambridge 19671, 19692) non fu il primo editore a presentare i frammenti direttamente all’interno del contesto di provenienza (così E., p. 21); da questo punto di vista, Jocelyn trova un precedente già almeno nella edizione dei Remains of Old Latin di E.H. Warmington, Cambridge (Mass.) 1935-19401. A Jocelyn sembra che si possa attribuire il titolo di primo editore a disporre i frammenti tragici enniani non in base alla loro ipotetica collocazione all’interno del dramma, ma alla cronologia delle loro fonti (un criterio poi adottato nei Tragicorum Romanorum fragmenta in corso di pubblicazione dal 2012 a cura di vari autori).Infine la discussione di Elliott risulta un’introduzione utilissima sugli argomenti trattati anche perché offre un’accurata panoramica della relativa bibliografia che risulta non solo, come abbiamo visto, amplissima ma, per quanto ho potuto vedere, pressoché esaustiva e aggiornatissima (e che include anche la discussione di vari lavori citati come “forthcoming”): da questo punto di vista, il libro si raccomanda come introduzione rivolta non solo “to […] newer to or more distant from the material in question”, ma anche agli addetti ai lavori, che dalle pagine di Elliott potranno utilmente avere un aggiornato e ragionato stato dell’arte sulle innumerevoli questioni lì trattate. Peraltro, Elliott non manca di indicare ulteriori prospettive di ricerca molto promettenti, come ad esempio (p. 86, n. 388) lo studio della presenza di Ennio in testi in prosa, e in particolare negli storiografi, soprattutto in Sallustio e Livio.

In un lavoro che si occupa di questioni tanto numerose e varie, non sorprenderà che restino margini per qualche piccola osservazione su singoli punti. Ad esempio, è opportuno ricordare che il termine satura è usato in riferimento a Ennio non solo da Porfirione e Diomede (p. 50, n. 201), ma anche già da Quintiliano (e poi da Gellio, Nonio e Servio). E, in una mole così grande di dati, risulterà tanto più notevole la cura meticolosa con cui il testo è stato dato alle stampe:[1] un ulteriore elemento che contribuisce a rendere il libro di Elliott un’utilissima e affidabile guida, e non solo per i principianti, nel difficile campo della poesia latina arcaica in frammenti.

 

Notes

[1] Davvero pochi e facilmente correggibili gli errori di stampa che mi è capitato di rilevare: a p. 25, n. 98 “Jackson 2020” deve essere corretto in “Jackson 2019”; a p. 64 la campagna d’Ambracia viene datata al 187 anziché al 189 a.C. (così correttamente a p. 40, n. 163); a p. 64, n. 270 si legge “text if these epigrams” anziché “text of these epigrams”; a p. 68, n. 288 il rinvio a “Skutsch 2003” deve essere corretto in “Suerbaum 2003”; nella bibliografia in fondo a p. 96 c’è disordine nelle entrate: Blänsdorf è dopo Boex e Boyle; sempre nella bibliografia, p. 95, manca l’indicazione delle pagine (127-148) per il contributo di Baldarelli 2008.