Il volume nasce dall’esperienza diretta di Corinna Rossi come archeologa nel sito di Umm-al-Dabadib nell’Oasi di Kharga in Egitto. L’autrice racconta come il viaggio verso questa remota località situata nel deserto occidentale egiziano costituisca un percorso a ritroso nel tempo che in soli quattro giorni riporta indietro di sedici secoli, a un’epoca durante la quale gli spostamenti erano effettuati a piedi o con l’aiuto di animali. Anche se i moderni mezzi di trasporto consentono di muoversi rapidamente e con una fatica limitata, ancora oggi per raggiungere l’estremità dell’acquedotto che un tempo portava l’acqua all’insediamento di Umm-al-Dabadib è necessario camminare a piedi per 3 km con un minimo di bagaglio sulle spalle. Si tratta, dunque, di una monografia che ha come peculiarità il fatto di non essere frutto semplicemente di una ricerca in biblioteca ma di vita vissuta, che conduce l’autrice a comprendere come l’odierna mobilità influenzi il nostro modo di intendere gli eventi del passato.
Lo scopo del libro è mettere in evidenza come le antiche civiltà dell’Egitto, della Grecia e di Roma si sono sviluppate in tre contesti geografici differenti, che hanno influito sulle vicende storiche e sulla creazione della memoria culturale di questi popoli. Per la formazione della loro identità hanno avuto un ruolo fondamentale le caratteristiche del territorio che hanno determinato particolari modalità di interazione con il mondo circostante.
Il libro, rivolto a un pubblico che si suppone già avere conoscenze di base di storia antica, è suddiviso in cinque capitoli. Il primo (“Limits”) riguarda gli aspetti che costituiscono i limiti del volume ma anche le linee guida che sono in grado di orientare il lettore e far comprendere le scelte dell’autrice. La decisione di occuparsi in particolare dell’Egitto, della Grecia e di Roma viene spiegata con il legame tra queste tre civiltà e con la rilevanza della cultura greco-romana e di quella egizia nella formazione degli studiosi del gruppo socioculturale (“southern European scholars”) a cui ella appartiene. Queste pagine iniziali chiariscono il significato con cui viene usato il termine «geografia», da intendersi nel suo valore etimologico di “descrizione della terra”, e la volontà di tenere presente sempre due piani, quello della visione dall’alto consentita dalla moderna tecnologia e la prospettiva da terra, propria degli antichi.
Il secondo capitolo (“Ancient Egypt”) mette a fuoco il rapporto tra le stagioni determinate dalle piene del Nilo e l’evoluzione delle civiltà egizia. L’ambiente naturale, caratterizzato dal deserto e dalla valle del Nilo, favorisce uno sviluppo economico volto ad arricchire il Regno faraonico e non all’espansione al di fuori dei suoi confini, per quanto siano attestate rotte commerciali verso il Corno d’Africa. La stabilità e la prosperità dell’Egitto dipendono sia dalla regolarità e dall’intensità delle piene sia dalla capacità dei sovrani di gestirle e dominarle. Non è un caso che anomalie ambientali e fattori climatici abbiano avuto conseguenze negative sull’ultimo periodo del Medio Regno. L’acqua e il sole sono gli elementi essenziali del mondo egizio e si riflettono simbolicamente anche nelle credenze religiose: il mito del dio Osiride, che torna alla vita dopo essere stato fatto a pezzi dal fratello Seth, richiama il risveglio della natura dopo l’inondazione.
Nel terzo capitolo “Ancient Greece” viene evidenziato come l’ambiente ebbe un ruolo fondamentale nel determinare l’identità dei Greci e le caratteristiche politico-economiche della loro civiltà. Uno sguardo alla carta geografica permette di cogliere il territorio prevalentemente montuoso, l’estensione della costa e il gran numero di isole presenti nel Mar Egeo. Tali caratteristiche della geografia fisica ben lasciano capire l’importanza del mare, la necessità di cercare nuove terre al di fuori della Grecia e il frazionamento che segnò le poleis greche. Se l’Egitto è una civiltà concentrata intorno alla valle del Nilo, al contrario quella greca per la diversità del contesto geografico in cui si sviluppa, è portata a espandersi con la fondazione di colonie sia nel Mediterraneo occidentale sia in Oriente fino al Mar Nero. Gli spostamenti per mare lungo la costa, che costituivano il modo consueto per viaggiare, sono all’origine della letteratura dei periploi, che registrano porti, distanze e punti di riferimento a terra.
Il quarto capitolo “Ancient Rome” riguarda l’Impero romano e la straordinaria ampiezza del suo territorio comprendente aree geografiche tra loro molto diverse, come ben si può constatare a colpo d’occhio dalla carta fisica ottenibile con Google Earth. Quando si prendono in considerazione gli aspetti politici e militari legati alla conquista romana, non si può prescindere da questioni di geografia fisica. L’autrice sottolinea il ruolo fondamentale dell’ambiente nell’espansione romana, che si arrestò di fronte a territori di difficile penetrazione per i quali sarebbe stato necessario impiegare risorse maggiori dei benefici e delle ricchezze ottenibili. Gli elementi naturali, quali fiumi e montagne, costituirono inoltre molto spesso i confini delle diverse regioni, attraversate da un reticolato di strade che mettevano in comunicazione tra loro e con Roma tutti le parti dell’Impero, favorendo il passaggio delle merci e degli eserciti, necessari per garantire l’esercizio del dominio sulle terre conquistate. Ampiamente documentato è l’uso degli itineraria, elenchi di luoghi e distanze che dovevano essere coperti per raggiungere una certa destinazione.
Nell’ultimo capitolo (“Recontextualisations”), che rappresenta la conclusione del volume, l’autrice delinea tre modelli, corrispondenti alle tre civiltà analizzate: per l’antico Egitto si può parlare di “mega-place”, in quanto gravitante su un’unica grande realtà centrale, la valle del Nilo; in Grecia le diverse poleis costituiscono un “para-place”, ossia una rete di punti che collegano tra loro luoghi diversi e indipendenti ma con caratteristiche simili; l’impero romano, infine, realizza un “meta-place”, ossia un sistema di connessioni dove la mobilità è essenziale per la trasmissione e la diffusione degli elementi che concorrono a formare un’identità globale, quali le strutture amministrative, il sistema commerciale, l’esercito e la cittadinanza romana.
Il libro è arricchito di mappe chiare che sono un valido supporto per il lettore. Ogni capitolo propone, inoltre, in apertura la carta fisica tratta da Google Earth che consente quello sguardo dall’alto che gli antichi non potevano avere e che permette di confrontare lo spazio geografico in cui fiorirono le tre civiltà.
Ognuna delle cinque parti di cui è composto il volume contiene riferimenti alle fonti, delle quali l’autrice dimostra padronanza, ed è corredata di indicazioni bibliografiche che includono sia le fonti primarie sia quelle secondarie, offrendo in tal modo utili informazioni a chi voglia approfondire le tematiche affrontate.
Il presente volume si inserisce nel filone degli studi di geografia antica e in particolare di quelli di geografia storica. Il suo pregio consiste nel far emergere in modo sintetico, chiaro ed efficace il ruolo dell’ambiente e quello della mobilità nello sviluppo politico-economico di un popolo e nella creazione della sua memoria storica: non si può concepire la storia senza prendere in considerazione lo spazio geografico in cui gli eventi hanno avuto luogo e dal quale sono stati in un certo modo prodotti. L’autrice coglie il senso dell’interdipendenza tra spazio e storia e soprattutto il significato di rapportarsi al territorio così come lo avrebbero fatto gli antichi, provando a spogliarsi di categorie e preconcetti che appartengono inevitabilmente al mondo moderno ma rischiano di falsare la nostra comprensione del passato. Capire l’influenza dello spazio e come questo abbia plasmato la storia induce anche l’uomo moderno a una maggiore consapevolezza dello stretto e imprescindibile legame tra luogo e tempo e della sua rilevanza nel determinare le caratteristiche e gli sviluppi di una civiltà.