David Neal Greenwood ha già pubblicato numerosi contributi su diversi aspetti della polemica religiosa di Giuliano contro i cristiani. Il libro oggetto di questa recensione riprende e approfondisce le analisi precedenti, per studiare un aspetto finora relativamente trascurato della “reazione pagana” dell’imperatore: la maniera in cui egli tentò di contrastare il mito costantiniano tanto sul piano della speculazione filosofico-religiosa quanto su quello dell’azione politica.
Nell’Introduzione (“Opening the Hostilities”), dopo una breve presentazione dell’infanzia e della formazione di Giuliano (2-10) e dei principali contributi della critica su questa complessa figura (10-16), Greenwood espone la tesi alla base del suo studio: l’opposizione di Giuliano al cristianesimo non può essere compresa senza tener conto della “reazione viscerale contro suo cugino e suo zio” (17) e dell’uso polemico del pensiero cristiano. L’Autore paragona il progetto di Giuliano alla teologia della ricapitolazione, sviluppata soprattutto da Ireneo:[1] attraverso un’accorta azione politica e una presentazione originale di alcune divinità e della propria biografia, l’imperatore ha voluto rispondere punto per punto alle azioni dei suoi predecessori e alle pretese del modello cristiano.
Il saggio procede grossomodo in ordine cronologico, esaminando le scelte di Giuliano dalla sua ascesa al potere alla sua morte, e si articola in tre parti, dedicate rispettivamente ai rapporti con Costanzo II e Costantino (“Co-opting a Framework”, capitoli 1-2), all’elaborazione di un discorso religioso metanarrativo capace di opporsi al cristianesimo (“Crafting a Religious Metanarrative”, capitoli 3-5) e alla realizzazione concreta di tale discorso nell’azione politica di Giuliano (“Constructing a Legacy to Reflect the Narrative”, capitoli 6-8).
Nella prima sezione, l’Autore mostra in maniera convincente come le figure di Costanzo II e Costantino, accomunate da Giuliano in un giudizio assai negativo, presentassero ciascuna tratti propri e richiedessero dunque strategie polemiche diverse. Se per contrastare il primo bastarono a Giuliano il talento militare e un’abile presentazione della propria ascesa al potere (capitolo 1), l’eredità costantiniana era ben più ingombrante. Il “mito” creato da Lattanzio ed Eusebio, così come l’azione evergetica di Costantino,[2] non trovano corrispondenza nel regno di Costanzo II: questo spiega perché Giuliano sentì la necessità di creare un “antimito” personale, da opporre a quello dello zio – una “ricapitolazione” in senso cristiano, come nota Greenwood (capitolo 2).
I tre capitoli della seconda parte studiano la polemica contro Costantino e il cristianesimo in altrettante opere giulianee. Il capitolo 3 s’intitola “Mocking the False Savior” ma è dedicato pressoché interamente alla datazione dei Cesari. Contrariamente alla maggior parte degli studiosi, Greenwood data l’opuscolo al 361, con argomenti interessanti. Nel far ciò, egli offre spunti importanti per la cronologia e per la comprensione globale dell’opera di Giuliano, spesso condizionate dall’idea di una “evoluzione” dell’imperatore verso l’intolleranza.
I ritratti poco lusinghieri di Costantino e Gesù presenti nei Cesari costituiscono per l’Autore una sorta di pars destruens della polemica giulianea, mentre alla pars construens sono consacrati i capitoli 4-5, che studiano rispettivamente la presentazione di Eracle e Asclepio negli opuscoli di polemica contro i Cinici e negli inni di Giuliano. Secondo Greenwood, in ambo i casi Giuliano persegue un duplice obiettivo. Innanzitutto, egli contrappone ai Vangeli un altro racconto salvifico, con tratti simili (cfr. la tabella a p. 90) ma con protagonisti dèi pagani. In secondo luogo, l’imperatore rielabora la propria storia personale sul modello di quella di Eracle, Asclepio e Gesù, affermando in opposizione a Costantino l’origine divina della propria autorità e della propria missione di restauratore del paganesimo. Sebbene non tutti i paralleli segnalati dall’Autore appaiano ugualmente convincenti,[3] questi capitoli forniscono nel complesso un’analisi solida e dettagliata dell’uso di motivi evangelici nelle opere di Giuliano. L’argomentazione ivi presentata invita anche a riconsiderare l’apporto di Porfirio alla filosofia di Giuliano. Sulla base di paralleli testuali e tematici, Greenwood ritiene che il discepolo di Plotino fosse per l’imperatore “fonte e guida” (91) per l’originale presentazione di Eracle e Asclepio (58-63.89), nonché delle dynameis di Helios (81-83). Nonostante le differenze tra i due e la possibilità di una fonte comune, l’ipotesi è verosimile. Va però sottolineato che i paralleli segnalati da Greenwood non riguardano il Contro i cristiani, con un’apparente eccezione: Greenwood scrive che Giuliano avrebbe potuto trovare nel Contro i cristiani un oracolo pagano che stimava a 365 anni la sopravvivenza della religione cristiana (107).[4] Lo stesso dicasi delle analisi dell’illustre giulianista Jean Bouffartigue cui Greenwood rimanda a sostegno della propria tesi (85, n. 67 e 107, n. 24).[5] Nel concludere che lo studio attento degli scritti di Giuliano suggerisce la conoscenza di quest’opera (107: cfr. anche 58 e 85), l’Autore sembra dare per scontata l’estensione al trattato anticristiano delle sue legittime conclusioni su altri testi porfiriani. In mancanza di nuovi elementi, non possiamo infatti che sottoscrivere il giudizio dello stesso Bouffartigue: “Una cosa è certa in ogni caso: non abbiamo la possibilità, e quindi nemmeno il diritto di dire che il C.G. [Contro i Galilei] di Giuliano utilizza in maniera significativa il C.C.[Contro i cristiani] di Porfirio”.[6]
Nella terza parte del libro, Greenwood mette in luce gli sforzi di Giuliano per annullare gli atti di Costantino in favore del cristianesimo. È così che a Costantinopoli l’imperatore celebra nuovamente sacrifici e costruisce templi pagani financo nel palazzo imperiale, ove Costantino aveva posto una croce (capitolo 6).
Il capitolo 7 commenta due celebri iniziative di Giuliano: il tentativo di creare una “chiesa pagana” e l’editto de professoribus. Per delle questioni tanto dibattute, la trattazione dell’Autore è certo breve (quattro pagine), ma originale nell’inserire le due azioni nel quadro della “ricapitolazione” del cristianesimo costantiniano.
L’ottavo e ultimo capitolo discute le iniziative di Giuliano riguardanti due città: Antiochia e Gerusalemme. Greenwood sottolinea il valore simbolico della prima, non solo per le origini del cristianesimo ma anche per il declino del paganesimo: è infatti ad Antiochia che ebbe luogo, alla presenza di Diocleziano (e forse di Costantino), la consultazione oracolare all’origine della Grande Persecuzione. Come a Costantinopoli quindi, Giuliano si adopera per cancellare le tracce della cristianizzazione operata dai Costantinidi, prendendo di mira, non a caso, solo il culto di Babila a Dafne, promosso sotto Costanzo II. Quando poi il tempio pagano appena ripristinato brucia in un incendio, la sua rappresaglia colpisce unicamente la chiesa di Costantino. Diversa è la strategia adottata per Gerusalemme, ove Giuliano si propone di restituire un edificio sacro non ai pagani, bensì al culto israelita. Si tratta ovviamente del Tempio, che l’imperatore tenta di far ricostruire: così facendo, egli spera sia di annullare l’intervento costantiniano, sia di smentire le profezie cristiane. Come per la sezione precedente, Greenwood riassume efficacemente in una tabella la propria interpretazione della politica religiosa di Giuliano (116).
Nella conclusione, prima di riassumere la propria tesi, l’Autore commenta gli ultimi mesi di vita di Giuliano, caratterizzati da conflitti sempre più aperti con i cristiani e dalla campagna contro la Persia, interpretata come un tentativo da parte dell’imperatore di consolidare la propria posizione rispetto alle figure di Costanzo II e Costantino.
Completano il volume un’Appendice, che presenta in una tabella i momenti chiave della vita di Giuliano (permettendo di cogliere appieno le implicazioni delle ipotesi di Greenwood), e un Indice dei nomi e delle cose notevoli.
Seppur concepita per un lettore anglofono (i titoli non in inglese sono accompagnati da una traduzione), la bibliografia offre un’ampia panoramica degli studi su Giuliano e sul suo tempo pubblicati in varie lingue. Alcune scelte e assenze lasciano nondimeno perplessi. La tesi di dottorato di Pascal Célérier ad esempio è citata dal manoscritto, nonostante la versione pubblicata sia di più agevole consultazione.[7] Sulla filosofia di Giuliano, Greenwood cita poi un articolo di Maria Carmen De Vita del 2012, ma non la più esaustiva monografia sul tema pubblicata della stessa nel 2011.[8] Infine, mi sembra azzardato affermare che i ricercatori abbiano trascurato gli attacchi di Giuliano contro la divinità di Gesù e la sua conoscenza dei dibattiti cristologici dell’epoca (80): diversi studi commentano questi due punti.[9]
Queste e simili riserve nulla tolgono al valore indubbio del libro di Greenwood, la cui originalità è tanto più degna di nota, se si tiene conto del numero e della varietà degli studi consacrati all’affascinante figura dell’imperatore Giuliano. La prospettiva innovativa della “ricapitolazione” permette all’Autore di esaminare sotto una nuova luce il breve regno di Giuliano dal punto di vista della produzione letteraria, della riflessione filosofica e dell’attività politica, nonché dell’impatto delle scelte di Giuliano sui contemporanei, oggetto di analisi brevi (86-89. 113-117) ma significative per la comprensione del progetto giulianeo. Attraverso questa nuova chiave di lettura, egli fornisce così una sintesi efficace dell’opposizione al cristianesimo condotta dall’imperatore, che non mancherà d’interessare gli specialisti di questo autore e della polemica anticristiana antica.
Notes
[1] Sarebbe stato forse opportuno anticipare la riflessione sulla nozione di ricapitolazione e sul suo legame con l’opera di Giuliano, menzionati alle pp. 1, 17 e 18 ma spiegati solo alle pp. 38-40.
[2] Greenwood è ben conscio dei giudizi spesso contrastanti sulla fede di Costantino, ma osserva acutamente che per Giuliano, Costantino era certamente cristiano, e che pertanto questa lettura è l’unica che conta per comprendere il pensiero dell’Apostata (37).
[3] Ad esempio, Greenwood vede nel mito narrato nel discorso Al cinico Eraclio una riscrittura della tentazione di Gesù nel deserto (70-74). Ma conviene forse pensare all’uso di motivi platonici: cfr. A. Mastrocinque, “Giuliano l’Apostata sulla montagna di Zeus”, in M. Cassia et alii (edd.), Pignora amicitiae. Scritti di storia antica e di storiografia offerti a Mario Mazza, Acireale/Roma, 2012, 359-370; E. Soler, “‘Le songe de Julien’: mythes et révélation théurgique au IVe siècle apr. J.-C.”, in E. Amato, V. Fauvinet-Ranson e B. Pouderon (edd.), Ἐν καλοῖς κοινοπραγία. Hommages à la mémoire de Pierre-Louis Malosse et Jean Bouffartigue, Revue des Études Tardo-antiques – Supplément 3, 2014, 475-496 (la discussione cui si fa qui riferimento è alle pp. 480-484).
[4] L’oracolo in questione è riportato da Agostino, Città di Dio XVIII 53, che lo attribuisce ad alcuni non meglio precisati deorum multorum falsorumque cultores. Sebbene probabile, l’origine porfiriana del responso non è quindi certa, e in ogni caso il testo non è mai stato attribuito al trattato anticristiano, ma (ben più verosimilmente) alla Filosofia rivelata dagli oracoli: cfr. J. J. O’Meara, Porphyry’s Philosophy from Oracles in Augustine, Paris 1959, 67-72; H. Chadwick, “Oracles of the End in the Conflict of Paganism and Christianity in the Fourth Century”, in E. Lucchesi e H.-D. Saffrey (edd.), Mémorial André-Jean Festugière. Antiquité païenne et chrétienne, Genève, 1984, 125-129; A. Busine, Paroles d’Apollon. Pratiques et traditions oraculaires dans l’Antiquité tardive (IIe-VIe siècles), Leiden/Boston 2005, 421-422. Un’attribuzione al Contro i cristianiavrebbe richiesto una discussione approfondita.
[5] Questa scelta che si riflette anche nei lavori citati: l’Autore rimanda solo una volta a uno studio del Bouffartigue incentrato sulla questione (“Porphyre et Julien contre les chrétiens: intentions, motifs et méthodes de leurs écrits”, in S. Morlet [ed.], Le traité de Porphyre contre les chrétiens: un siècle de recherches, nouvelles questions. Actes du colloque international organisé les 8 et 9 septembre 2009 à l’Université de Paris IV-Sorbonne, Paris 2011, 407-426). Per il resto, egli cita pagine di una monografia di argomento più generale (L’empereur Julien et la culture de son temps, Paris 1992) che non trattano i rapporti tra il Contro i Galilei e il Contro i cristiani.
[6] Bouffartigue, “Porphyre et Julien” (cit. n. 5), 409.
[7] L’ombre de l’empereur Julien. Le destin des écrits de Julien chez les auteurs païens et chrétiens du IVe au VIe siècle, Nanterre 2013 (496-498 e 491-492 per le analisi citate da Greenwood rispettivamente a p. 68, n. 103 e 69, n. 117).
[8] Giuliano imperatore filosofo neoplatonico, Milano 2011. Segnalo en passant che il secondo nome della studiosa è citato dall’Autore come parte del cognome.
[9] Cfr. e.g. D. Hunt, “The Christian context of Julian’s Against the Galileans”, in N. Baker-Brian e S. Tougher (edd.), Emperor and Author. The Writings of Julian the Apostate, Swansea, 2012, 251-263; M. C. De Vita, “Giuliano l’Apostata e il Vangelo di Giovanni”, Koinonia 41 (2017), 147-167; M.-O. Boulnois, “L’incarnation en question dans la polémique antichrétienne de Celse, Porphyre et Julien”, Schweizerische Zeitschrift für Religions- und Kulturgeschichte 112 (2018), 27-51.